Editoriali

Alea iacta est

Nel suo discorso al Congresso degli Stati Uniti il 3 marzo del 2015, Benjamin Netanyahu, dedicò largo spazio all’Iran, al pericolo che rappresentava per Israele e per tutto il mondo democratico. Questo avveniva pochi mesi prima che l’accordo sul nucleare iraniano voluto da Barack Obama, venisse siglato a Vienna. Allora l’ISIS non era ancora stato sconfitto, e nel suo discorso, Netanyahu fece un paragone tra la setta islamica capeggiata da Abu Bakr al-Baghdadi e il regime di Teheran:

“La differenza è che l’ISIS è armato di coltelli da macellaio, armi da preda e YouTube, mentre l’Iran potrebbe presto essere dotato di missili balistici intercontinentali e bombe nucleari. Dobbiamo sempre ricordare – lo ripeto ancora una volta – che il pericolo maggiore che il nostro mondo si trova ad affrontare è il connubio tra l’Islam militante e le armi nucleari. Sconfiggere l’ISIS e permettere all’Iran di dotarsi di armi nucleari equivarrebbe a vincere la battaglia, ma perdere la guerra. Non possiamo permettere che ciò accada”.

Sono passati dieci anni da quel discorso e la lunga attesa è finita. Con l’attacco preventivo in Iran di ieri notte, Israele ha attraversato il suo Rubicone allo scopo di impedire al regime di Teheran di dotarsi delle armi nucleari a cui Netanyahu faceva riferimento nel 2015 e alle quali, secondo l’ultimo rapporto dell’AEIA era ormai assai vicino. Ma l’attacco all’Iran, preceduto in questi anni da una serie di sabotaggi e di operazioni mirate da parte di Israele, atte a rallentare la capacità del regime di avvicinarsi all’obiettivo, ha anche un altro scopo, quello di indebolire e forse compromettere del tutto, l’attore politico che ha dato vita al cerchio di fuoco che, dal 7 ottobre gli si è avviluppato intorno, costituito da Hamas, Hezbollah (pronto a un 7 ottobre su scala assai magiore) gli Houti, e cellule jihadiste in Cisgiordania.

L’Iran è, dal 1979 in poi, quando prese il potere Khomeini che si intestò insieme ad Arafat la salvaguardia della “causa palestinese”, il nemico più insidioso e più potente per la sicurezza e la stessa esistenza dello Stato ebraico, quello che ha programmaticamente annunciato la sua distruzione, e che ha potuto progressivamente approssimarsi all’obiettivo.

Hamas, Hezbollah, gli Houti, sono solo i tentacoli della piovra che negli ultimi trent’anni ha cercato di allargare la propria influenza dal Libano allo Yemen passando per l’Iraq, e si è reso responsabile di numerosi azioni terroristiche che hanno causato la morte non solo di ebrei, come l’attentato all’AMIA a Buenos Aires del 1994, ma di soldati americani, a Beirut, in Kuwait in Arabia Saudita.

Ma se per l’Iran, la distruzione del Grande Satana, gli Stati Uniti, resta un obiettivo sostanzialmente fuori dalla sua portata, non lo è quello del Piccolo Satana, Israele.

Come ha evidenziato Matthias Küntzel, “La politica estera iraniana non è mai orientata allo status-quo ma è millenarista e rivoluzionaria, con la distruzione di Israele in cima alle sue priorità”.

Dopo anni di preparazione si è giunti infine allo scontro più rilevante tra Israele e un suo nemico dalla fine della guerra di Yom Kippur, il cui esito potrà ridisegnare in modo radicale la fisionomia del Medio Oriente per come l’abbiamo conosciuta fino ad ora.

 

 

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