Israele e Medio Oriente

Ammonimenti a Trump

L’annuncio di Donald Trump di spostare l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme fatto all’AIPAC (American Israel Public Affairs Committee) l’anno scorso durante la campagna elettorale e poi ribadito dal neoeletto ambasciatore americano in Israele David Friedman è stato un ballon d’essai oppure no? Si tratterà di misurare in parte la consistenza del nuovo presidente americano su un annuncio così impegnativo e foriero di reazioni sicuramente non amichevoli nel mondo arabo. Tenute sottotraccia fino ad ora, con l’approssimarsi dell’insediamento del suo insediamento, iniziano a manifestarsi.

Da Ramallah, Abu Mazen ha già lanciato i suoi avvertimenti: “La invitiamo a non dare seguito alla sua dichiarazione perché la consideriamo una dichiarazione aggressiva”. In stile puramente para mafioso Abu Mazen ha poi aggiunto che un eventuale trasferimento dell’ambasciata sancirebbe il superamento di una “linea rossa” e che le conseguenze di una simile decisione sarebbero “irreversibili”. L’Autorità Palestinese non starebbe a guardare e prenderebbe delle iniziative. E’ forse la minaccia di una nuova intifada?

Saeb Erekat, il negoziatore dell’Autorità Palestinese nonché diffamatore professionale di Israele, il mese scorso ha dichiarato che se l’ambasciata verrà trasferita si dimetterà, che il processo di pace terminerà per sempre, che l’OLP disconoscerà il suo riconoscimento di Israele e che nel mondo arabo tutte le ambasciate americane e israeliane saranno costrette a chiudere i battenti. L’apocalittico Erekat, non ha considerato che le sue dimissioni provocherebbero un battito di ciglia, così come si dimentica di dire che il processo di pace non è mai realmente cominciato, che l’OLP non ha mai riconosciuto in nessun documento ufficiale Israele (è riconosciuta di fatto la sua sola esistenza, ma non la sua effettività come Stato ebraico), e che buona parte del mondo arabo, Arabia Saudita in testa, è da tempo stanco della “causa palestinese” e molto più interessato a mantenere legami proficui, economici e strategici con gli Stati Uniti.

Anche da Amman arrivano ammonimenti sulle conseguenze “catastrofiche” della mossa. Per la Giordania si tratterebbe di un regalo agli estremisti e di una provocazione che incendierebbe la regione.

Due cose vanno dette. Un eventuale spostamento dell’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, (proposta insediata al Congresso americano da decenni ma mai fatta passare) significherebbe una plateale sconfessione della Risoluzione 2334 votata il mese scorso dal Consiglio di Sicurezza ONU con il placet astensionista degli USA. Per la risoluzione, ricordiamolo, il quartiere ebraico e il Kotel (Muro del Pianto) riconquistati da Israele alla Giordania nella Guerra dei Sei Giorni del 1967, sono “territori palestinesi occupati”. Ricollocare l’ambasciata americana in quella che il popolo ebraico considera da sempre la propria capitale eterna romperebbe il costante neutralismo statunitense sulla questione e sancirebbe de facto il riconoscimento americano nei confronti della rivendicazione israeliana.

Si tratterebbe dunque di una mossa dal dirompente valore simbolico la quale avrebbe un senso solo se la nuova amministrazione americana sarà pronta a impegnarsi contestualmente in una politica di risoluto sostegno politico nei confronti di Israele e della sua guerra perdurante contro il terrorismo palestinese-islamico che lo logora da sempre.

 

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