Antisemitismo, Antisionismo e Debunking

Contro Israele: I manovali della propaganda

Nelle gerarchie più alte, come nell’inferno dantesco, stanno i demoni superiori, nei gironi bassi, si collocano i Cagnazzo, i Calcabrina, i Rubicante, tutti solerti addetti alla bisogna. Obbediscono ai superiori nel tormentare i reprobi e lo fanno con piacere e scarsa autonomia. Va detto subito, a scanso di ogni equivoco, i manovali della propaganda non hanno un pensiero proprio, ma simili ai pupazzi del ventriloquo parlano parole che gli sono suggerite ad una ad una, senza fallo. Tale è Gianluca Ferrara, questo il nome, un blogger a traino de Il Fatto Quotidiano, il cui compulsivo odio per Israele si alimenta di patacche tra le più grossolane per fornire a un pubblico a digiuno di storia e studio (ah che fatica!), ciò che famelicamente chiede, cibo guasto dal sapore forte, quasi nauseabondo, perfetto per un’epoca, la nostra, in cui la coprofagia è patologia assai diffusa.

In un suo pezzo, il Ferrara (nessuna parentela con Giuliano, beninteso) ci dice come mai “a suo parere” il prossimo Giro di Italia non dovrebbe partire da Israele. Perbacco, “a suo parere”, qui l’Autore parla con l’inciso di una soggettività perentoria e prorompente. Siamo pronti ad ascoltare tale auctoritas. Ed eccolo subito all’opera lo strillone:

“Purtroppo, la stampa internazionale cela ai più l’occupazione illegittima e violenta di Israele contro il popolo palestinese, reo di trovarsi in un territorio che i sionisti, già alla fine del 1800, hanno deciso si (sic) occupare”.

Suona forte, perentorio. E’ questa l’architrave di tutto l’edificio, “l’occupazione illegittima” (leggi alla voce “ladrocinio”) di terre altrui, quelle di un pueblo autoctono espropriato. Rimosso questo architrave crolla rovinosamente tutto. Badate al sostantivo, “sionisti”, come suona bene per marchiare negativamente gli ebrei che venuti dall’Europa là dove la storia del loro popolo, nei millenni, non li aveva mai staccati, arrivarono per comprare regolarmente e il più delle volte pagando prezzi esorbitanti, terreni dai latifondisti arabi allora sudditi dell’impero ottomano. Non vi era allora alcun pueblo palestinese, vittima di soprusi da parte di “colonialisti” rapaci e violenti. Non vi sarebbe stato fino al 1964, quando l’OLP lo generò ideologicamente rafforzandone la gracile costituzione dopo la Guerra dei Sei Giorni, malauguratamente per gli arabi vinta da Israele. Ma questa, che si chiama storia, fondata sui sassi duri e indigeribili dell’empiria, è materia troppo tosta per i cultori di fiction larmoyant in cui da una parte c’è la “vittima”, l’arabo-palestinese, e dall’atra “l’oppressore”, l’ebreo-sionista.

“Il Giro d’Italia partirà 10 giorni prima di una data che in Occidente è ignota ai più, ma che i palestinesi ben conoscono. Il 15 maggio in Palestina si commemora il giorno della Nakba (catastrophe in arabo): dopo la guerra arabo-israeliano (sic) (1948-1949), decine di villaggi e città palestinesi vennero distrutti e più di 700 mila palestinesi dovettero lasciare le proprie case e diventare profughi”.

La frase fa un certo effetto, non c’è che dire. Suscita nel lettore analfabeta o ideologicamente catafratto (il che è la stessa cosa) un moto di ripulsa e indignazione. Siamo sempre all’epos delle vittime e degli oppressori, e naturalmente, per ogni uomo giusto e pio, il cuore dovrebbe battere per le vittime. Il martirologio palestinese è un must della propaganda. Bisogna dirlo con franchezza, essere riusciti a trasformare l’esito di una guerra di aggressione nei confronti di uno stato appena nato, forse quello più certificato legalmente a livello internazionale, in una catastrofe per gli aggressori, è un capolavoro che non sarebbe dispiaciuto a Joseph Goebbels.

Certo ci furono circa 700,00 arabi-palestinesi (“palestinese” allora era ancora una definizione che afferiva alla regione e non una imposture etnica, tanto che gli ebrei residenti in Palestina si consideravano pure loro, al pari degli arabi, “palestinesi”) che sotto la pressione degli eventi diventarono rifugiati. Furono il risultato di una guerra, e dovettero sì lasciare le loro case, come tanti altri hanno dovuto farlo a causa dei conflitti. La guerra, si sa, è cosa brutta e sporca. Muoiono innocenti, donne e bambini, avvengono episodi atroci. Se non sarò io ad ammazzarti sarai tu ad ammazzare me. E se gli ebrei non avessero vinto quella guerra, oggi non ci sarebbe la Nakba da celebrare ma ci sarebbe da commemorare l’appendice mediorientale della Shoah. Per il resto si consoli il nostro apparatčik, la Nakba è ampiamente conosciuta in Occidente. L’UNRWA è stato creato apposta all’ONU per consolare i rifugiati, cioè i perpetui eredi di coloro i quali dovettero lasciare la Palestina a causa della guerra del 1948. Unico caso al mondo in cui lo status di rifugiato trapassa di generazione in generazione.

“Come ho già avuto modo di ricordare, a partire da quella data Israele iniziò il percorso di colonizzazione di terre non sue e di crescente allontanamento degli autoctoni. Unità paramilitari speciali come l’Hagana, il Palmach e l’Irgun occuparono con violenza i villaggi palestinesi e deportarono gli abitanti che furono costretti a lasciare la loro terra mentre vedevano le ruspe distruggere le loro case”.

Va riconosciuto, anche qui l’immagine è avvincente, manca solo la donna con il bambino in braccio morto e la vecchietta presa a calci, oppure, in alternativa, il soldato ebreo con il bambino arabo infilato nella baionetta. Ovviamente non ci fu alcuna colonizzazione, ci fu l’esito di una guerra vinta come conseguenza del costante rifiuto arabo di legittimare il venire in essere di uno stato arabo su terra sì colonizzata, questo è indubbio, dall’Islam nel VII secolo e da allora considerata in puro spirito musulmano Dār al-Islām per l’eternità. Ma va anche detta un’altra cosa, in un altro senso, certamente i palestinesi sono vittime, come tutte le popolazioni che hanno subito le conseguenze di un conflitto e che ancora oggi si trovano nella condizione di non avere un proprio stato realmente e non virtualmente stabilito. Purtroppo questa condizione è la conseguenza inesorabile dell’avere rifiutato senza sosta tutte le negoziazioni e gli accordi proposti dagli inglesi, all’epoca del Mandato Britannico e successivamente dagli israeliani. Dal 1937 con la Commissione Peel che propose agli arabi il 70% dei territori e agli ebrei il 17% per arrivare alla proposta Olmert del 2008. Nelle parole di Benny Morris: Nel novembre del 1947 quando venne proposta una partizione del paese ci sarebbero dovuti essere quattrocentomila arabi nello stato ebraico e appena più di cinquecentomila ebrei, e i leaders sionisti, tra cui Ben Gurion e Chaim Weizmann, accettarono la cosa, la presenza di una larga minoranza araba nello stato ebraico. Si potrebbe affermare che non fossero sinceri, che non lo intendessero realmente, ma dissero di sì. Gli arabi dissero di no e iniziarono a sparare”(Benny Morris intervista con l’autore, Niram Ferretti, Benny Morris, Alla Scuola della Realtà, L’informale, 11/07/2016).

Nel 1967, Israele, con la Guerra dei Sei Giorni si impossessò delle Alture del Golan, la Striscia di Gaza, la penisola del Sinai e Gerusalemme Est. Nel 2008, con l’operazione Piombo Fuso, fu persino usato il fosforo bianco. Nel luglio 2014, con Margine Protettivo, Gaza fu colpita dai caccia israeliani, un intero popolo senza via di fuga (Gaza è una prigione a cielo aperto cui non è permesso né accedere, né uscire) fu sottoposto ai raid di uno degli eserciti più potenti spalleggiato e protetto anche dagli Usa. Centinaia furono i bambini uccisi”.

La propaganda per funzionare deve incardinarsi su semplici ed efficaci presupposti, omettere, mentire, deformare. La realtà dei fatti, la sua complessità, viene sostituita con una fiction condensata che della realtà ha la parvenza ma che null’altro è se non una sua immagine distorta grossolanamente. La Guerra dei Sei Giorni fu un’altra guerra aggressiva da parte degli stati arabi guidati da Nasser, il cui scopo dichiarato era l’annichilimento, non riuscito nel 1948, dello Stato ebraico. Anche in questo caso, Israele vinse contro ogni aspettativa. E sì, conquistò (non “si impossessò”) di territori sotto il dominio dei suoi aggressori, come è sempre accaduto nel corso della storia a tutti gli eserciti del mondo a seguito di una vittoria su chi li aveva aggrediti. Nel 1978 in virtù degli Accordi di Camp David, il Sinai, la parte più cospicua della vittoria di Israele del 1967 venne restituita all’Egitto in cambio della pace. Il Sinai, contrariamente alla Giudea e alla Samaria, non era mai stato attribuito a Israele dal Mandato Britannico per la Palestina del 1922 e Israele, sotto pressione americana, ritenne che in cambio di buoni rapporti con l’Egitto fosse il caso di restituirlo. Alla faccia della colonizzazione e dell’espansionismo.

Per quanto riguarda l’uso del fosforo bianco, anche qui fa effetto il binomio. “Fosforo bianco” evoca una piaga biblica, una terribile sciagura, un’arma tra le più spietate. Peccato che il suo utilizzo sia permesso sotto la legge internazionale. In realtà esso serve per creare a scopo difensivo una densa barriera di fumo a protezione dei soldati impegnati sul terreno. Nel 2013, il quotidiano inglese The Observer, dovette correggere un articolo nel quale si affermava fraudolentemente che il fosforo bianco fosse un agente chimico. La smentita fu così formulata, “Il fosforo bianco usato dalle forze israeliane a Gaza nel 2008, non è un’arma chimica così come è inteso dalla Convenzione sulle Armi Chimiche, e il suo utilizzo non è “in contrasto con tutte le convenzioni internazionali”. Quanto a Gaza, “prigione senza uscita”, anche qui l’immagine, ormai un topos consunto, è suggestiva, ed è uno dei cavalli di battaglia di Gideon Levy, il più furente propagandista israeliano contro Israele. Certamente Gaza è una specie di prigione e lo è grazie a Hamas, il gruppo fondamentalista sunnita che nel 2007, con un colpo di stato ha preso il dominio dell’enclave costiera stabilendo un regno del terrore. Lo strillone non ci ha mai messo piede, ovviamente. Dovrebbe farlo, la visita gli riserverebbe molte sorprese.

Si prosegue poi con un altro classico, la presunta occupazione illegale dei territori della cosiddetta West Bank, o Cisgiordania o, per fare riferimento ai nomi ebraici precedenti alla loro annessione illegale da parte della Giordania nel 1950, Giudea e Samaria. L’occupazione illegale riguarderebbe anche Gerusalemme Est, annessa anche essa illegalmente dalla Giordania e conquistata da Israele nel 1967.

“Il popolo palestinese, nell’indifferenza internazionale, subisce un’occupazione che trasgredisce il diritto internazionale: sono decine le risoluzioni Onu che Israele sistematicamente viola”.

Qui Ferrara non Giuliano da fiato all’ugola senza sapere di cosa parla. Confonde l’ONU con una istituzione che promana leggi, cosa che non è, ne è mai stata, e in pieno ossequio alla propaganda fa credere che risoluzioni assai problematiche siano decreti legge, cosa che non sono né possono essere in alcun modo. Ma questo è il compito dei piccoli travet quale è lui, incessantemente spingere davanti a sé simile a Sisifo, il masso solidificato delle menzogne.

Come ha sottolineato Julius Stone, “Il precetto basilare della legge internazionale concernente i diritti di uno stato vittima di una aggressione, il quale abbia legalmente occupato il territorio dello stato aggressore per legittima difesa, è chiaro. E sussiste ancora come legge internazionale a seguito della Carta, la quale non concede alcun potere all’Assemblea Generale dell’ONU di emendare tale legge. Il precetto è che un occupante legale come Israele è autorizzato a restare in controllo del territorio coinvolto in attesa della negoziazione di un trattato di pace”. A sostegno di quanto affermato da uno dei maggiori giuristi internazionali, Dame Rosaylin Higgins, già Presidente della Corte Internazionale di Giustizia afferma testualmente:

“Non vi è alcunché nella Carta delle Nazioni Unite o nelle leggi internazionali che lasci supporre che l’occupazione militare, in assenza di un trattato di pace sia illegale…La legge dell’occupazione militare, col suo tessuto complesso di diritti e di doveri, rimane integralmente rilevante fintanto che le nazioni arabe accettino di negoziare un trattato di pace, Israele è di pieno diritto autorizzato a rimanere nei territori che attualmente detiene”.

Si potrebbe continuare, naturalmente con altre citazioni e altri esempi, ma siano sufficienti questi per smascherare la collezione di patacche venduta come se fossero opere pregevoli dalla manovalanza a basso costo. Altri sono più scaltri, posizionati meglio, con megafoni che amplificano di più il loro verbo, hanno giornali, riviste, aule da cui potere pontificare. Ma a ognuno tocca la posizione che gli è data in serbo.

Gli apparatčik come Ferrara non Giuliano non vanno disprezzati, hanno sempre svolto una funzione egregia nella tessitura dei grandi orditi menzogneri.

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