Israele e Medio Oriente

Dietro la facciata del successo

Si sigla a Sharm El Sheik l’accordo tra Israele e Hamas dopo due anni di guerra. Si sigla la cosiddetta “prima fase”, con la mediazione-benedizione del Qatar e della Turchia, che di Hamas sono sostenitori e, con quella decisiva americana, in virtù della quale Israele non riprenderà più la guerra.

Gli ostaggi ancora detenuti a Gaza e le salme dei defunti saranno riconsegnati a Israele in cambio del rilascio di circa duemila assassini, tra i quali molti ergastolani. Felicità per le famiglie di coloro che in questo due anni sono stato tenuti in cattività. Tornano finalmente a casa, ma a che prezzo?

L’accordo prevede altre fasi, ma è impensabile che Hamas abbia deciso di rinunciare alla sua unica assicurazione sulla vita, gli ostaggi, unicamente in cambio del rilascio di detenuti.

Gli obiettivi della guerra erano due per Israele: la vittoria sul gruppo terrorista, la sua eliminazione da Gaza e il ritorno degli ostaggi. Il secondo è stato raggiunto al netto di tutti quelli che sono morti nel frattempo, il secondo è fallito. Hamas non è stato distrutto e nonostante i proclami di Trump, che dovrà disarmarsi e rinunciare ad avere un ruolo politico a Gaza nel futuro, appare fantasioso immaginare che ciò avverrà, soprattutto con la garanzia ottenuta già nella prima fase dell’accordo, che Israele progressivamente ritirerà l’esercito e lascerà la Striscia. Questi sono gli obiettivi dell’organizzazione jihadista fin dal principio, ben sapendo che non avrebbe mai potuto vincere l’esercito israeliano militarmente ma a intestarsi la vittoria nell’unico modo possibile, dimostrando di avere “resistito” fino alla fine.

Guardare in faccia la realtà significa vedere che Israele aveva le spalle al muro, che dopo due anni non era più in grado di vincere la guerra a causa di molteplici fattori. Il primo, la presenza degli ostaggi, la carta fondamentale che Hamas ha saputo giocare spregiudicatamente e che ha costretto l’IDF a operazioni militari che dovevano tenere conto come obiettivo essenziale la salvaguardia della loro salvezza. Il secondo, a causa della contrarietà di una parte dell’esercito e dei Servizi alla sconfitta totale di Hamas, che si è espressa costantemente, fin dall’inizio della guerra, contrastando i continui proclami di vittoria di Netanyahu. Anche recentemente, Eyal Zamir, capo di stato maggiore, alla vigilia dell’attacco a Gaza City aveva espresso la sua contrarietà, affermando che l’attacco avrebbe messo in mora la vita degli ostaggi e quella dei soldati e aggiungendo che l’idea di occupare Gaza da parte di Israele esigeva un costo troppo alto. Il terzo, a a causa di una pressione internazionale insostenibile, che ha progressivamente trasformato, soprattutto in virtù di una impressionante rete di sostegno mediatico nei confronti di Hamas, Israele in uno Stato criminale.

L’attacco fallito a Doha a settembre, che il Mossad non ha appoggiato (altro segno tangibile delle fratture tra governo e Servizi) è stato l’episodio che ha segnato lo spartiacque in questa guerra e si è rivelato per Israele un boomerang.

Il Qatar, la cui leva lobbistica a Washington è massiccia, è riuscito trasformare questo insuccesso di Israele in una grande vittoria personale, ottenendo dagli Stati Uniti una cosa mai concessa a uno Stato arabo, la garanzia che se dovesse essere ancora attaccato gli Stati Uniti interverrebbero in sua difesa. A corredo di ciò, Netanyahu è stato costretto pubblicamente a scusarsi telefonicamente con l’emiro del Qatar.

Il Qatar e la Turchia, che in Egitto hanno avuto un ruolo decisivo nella mediazione che si è conclusa ieri sera, sono insieme all’Iran, i padrini di Hamas e, per il loro protetto, hanno ottenuto la salvaguardia che Israele non riprenderà la guerra. 

Israele incassa il ritorno degli ostaggi, Trump il podio su cui può presentarsi al mondo come il facitore della risoluzione del conflitto “millenario”(è previsto un suo discorso alla Knesset) in attesa che qualcuno a Stoccolma prenda sul serio la sua aspirazione al Nobel per la Pace, e Israele una vittoria mutilata, l’unica che poteva sperare di ottenere in un Medioriente che al netto dei trionfalismi non ha subito una palingenesi e dove, lo Stato ebraico, da Hezbollah, all’Iran a Hamas, ha ottenuto importanti successi tattici ma nessuna vittoria conclamata.

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