Editoriali

Fine dei bluff

Non c’è che un modo per affrontare il più lungo conflitto del dopoguerra, quello più mediatizzato e incancrenito, una dose adeguata di realtà. E’ sotto gli occhi di tutti coloro che hanno la vista tarata sulla inequivocabile eloquenza dei fatti, che il paradigma degli Accordi di Oslo, terra in cambio di pace, basato sulla prospettiva della nascita di uno futuro Stato palestinese, sia stato un fallimento radicale.

Ed è stato un fallimento perché, già nell’ormai lontano 1993, invece di basarsi sulla concretezza delle cose, sul riconoscimento che il lord of terror Yasser Arafat, ridotto all’epoca ad essere un paria dallo stesso mondo arabo, non avrebbe mai potuto trasformarsi in un nation builder allo stesso modo in cui una pietra non può trasformarsi in pane e diventare commestibile. Eppure si è preferito convincersi ostinatamente del contrario. Il marxista György Lukács non sosteneva forse che quando si verifica un contrasto fra teoria e fatti, si deve affermare “Peggio per i fatti”?.

Non è però quello che pensa l’Amministrazione Trump, finora la più rivoluzionaria (non in senso marxista) nel suo approccio al conflitto arabo-israeliano, e rivoluzionaria appunto perché ha riconosciuto il primato dei fatti, ovvero della realtà, su quello della teoria, ovvero dell’ideologia. Lo ha fatto in modo determinato e dirompente il 6 dicembre scorso, dichiarando,  come il bambino della celebre favola di Andersen, il quale davanti alla folla ammutolita afferma la nudità del re, che Gerusalemme è la capitale di Israele. Cosa evidente a tutti, ma costantemente e ipocritamente aggirata. Lo ha fatto di nuovo tagliando i fondi all’UNRWA e all’Autorità Palestinese, e di nuovo lo ha fatto mostrando chiaramente l’assoluta irrilevanza politica di Abu Mazen e dell’Autorità Palestinese, preferendo al vecchio capobastone di Ramallah, interlocutori molto più autorevoli di lui, quali gli stati arabi sunniti, in testa l’Arabia Saudita. Si appresta a farlo di nuovo prendendo nuovamente di mira l’UNRWA e la sua grande truffa, quella di avere moltiplicato i rifugiati arabi-palestinesi della guerra del 1948, da 700,000 a 5 milioni, di fatto estendendo alla loro discendenza lo statuto di rifugiato a scopo unicamente politico.

Come ha ricordato John Bolton, Consigliere per la Sicurezza Nazionale e profondo conoscitore del conflitto e di ciò che gli ruota intorno, “L’UNRWA è un meccanismo fallito. Viola la legge internazionale standard relativamente allo statuto dei rifugiati. Il programma dell’UNRWA è l’unico nella storia basato sull’assunzione che lo statuto di rifugiato sia ereditario. E’ da molto tempo che è necessario ridurre i suoi fondi”.

Gli Stati Uniti sono il maggiore contribuente dell’organizzazione, l’anno scorso, da soli, hanno versato nelle sue casse 368 milioni di dollari. Si tratta dunque di procedere nella direzione auspicata da John Bolton, obbligando l’UNRWA a ridefinire se stesso e a considerare che ad oggi, i più giovani rifugiati della guerra del 1948, hanno settanta anni, la data stessa della nascita di Israele, così come che il loro numero effettivo può essere calcolato solo nell’ordine delle decine di migliaia.

E’ una mossa che se verrà fatta potrà unicamente contribuire a sgomberare il campo da un’altra finzione e ad aprire un confronto basato interamente su presupposti empirici.

Nella logica contrattuale di Donald Trump ci si siede a un tavolo e ci si confronta a carte scoperte. I bluff, che gli arabi-palestinesi hanno perpetuato per decenni, con l’appoggio, va detto senza esitazione, delle precedenti amministrazioni americane, non sono più ammessi.

 

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