Elementi di propaganda

Flottilla da Genova a Gaza: il business milionario della solidarietà da crociera

Ogni estate ha il suo spettacolo: c’è chi organizza festival musicali, chi maratone e chi, con un tocco di autocelebrazione militante, preferisce imbarcarsi in una “flottilla per Gaza”.

Piccole e grandi barche, bandiere colorate, slogan roboanti e carichi che farebbero sorridere persino la Croce Rossa: qualche scatolone di medicinali, due pacchi di pasta e tanta voglia di selfie. È la “solidarietà da crociera”, versione ONG.

Dietro questo teatrino c’è la Freedom Flotilla Coalition, un patchwork internazionale che va dagli svedesi di Ship to Gaza agli irlandesi di Irish Ship to Gaza, passando per i turchi dell’IHH – organizzazione già criticata da vari governi occidentali e oggetto di inchieste internazionali per presunti legami controversi con ambienti radicali. In Spagna troviamo Rumbo a Gaza, in Canada e negli Stati Uniti altri gruppi satellite, tutti accomunati da un obiettivo: trasformare un gommone traballante in un’arma di propaganda.

Il copione è collaudato: le navi salpano, la marina israeliana interviene, gli attivisti resistono o fanno resistenza passiva, le telecamere riprendono. Fine dell’operazione. Il carico umanitario è irrilevante, ma il bottino mediatico è assicurato. Non a caso, il caso della Mavi Marmara del 2010 – finita in tragedia – è diventato per i promotori una sorta di mito fondativo: il giorno in cui il “diritto internazionale” si sarebbe ribellato al blocco israeliano, dimenticando che quel blocco è stato ritenuto legittimo da diverse fonti giuridiche internazionali per impedire il contrabbando di armi verso Hamas.

In questo copione si è inserita anche l’Italia, con la flottilla partita dal porto di Genova. Presentata come un’iniziativa “dal basso” con il sostegno di associazioni locali e sindacati, è stata in realtà collegata a sigle della Freedom Flotilla Coalition e a reti internazionali di attivismo politico filo-palestinese. Il tutto condito da conferenze stampa, dichiarazioni roboanti sul “diritto di resistenza” e passerelle di attivisti pronti a immortalarsi sul ponte con kefiah e megafono. Un’operazione che ha garantito grande visibilità mediatica agli organizzatori e zero impatto reale per la popolazione di Gaza.

Sul piano economico, secondo varie inchieste giornalistiche e rapporti di think tank, parte dei finanziamenti che orbitano intorno a queste iniziative proviene da fondazioni islamiste in Europa e da reti di donatori del Golfo. In diversi dossier viene citata anche Qatar Charity, più volte accusata da fonti occidentali di sostenere indirettamente la causa palestinese e attività connesse. Anche realtà associative riconducibili alla galassia della Fratellanza Musulmana hanno espresso supporto politico e mediatico a queste campagne.

Israele, dal canto suo, guarda a queste “carovane del mare” come a semplici operazioni di marketing ideologico. Le IDF intercettano le navi, spesso senza colpo ferire, ma il rumore mediatico è già scritto. Non sorprende quindi che il ministro Itamar Ben-Gvir abbia annunciato un trattamento speciale: detenzione prolungata per gli attivisti nelle carceri di massima sicurezza di Ketziot e Damon e confisca delle imbarcazioni, magari da riutilizzare per la polizia israeliana.

In definitiva, la flottilla non serve a Gaza: serve a se stessa. È un’operazione perfetta per attivisti in cerca di gloria, ONG affamate di donazioni e governi come quello del Qatar desiderosi di posizionarsi come difensori della causa palestinese. Un misto di turismo ideologico e farsa geopolitica, dove la merce più preziosa non sono i medicinali o gli alimenti, ma le fotografie da postare su Instagram.

E qui arriviamo al capitolo italiano. La flottilla partita da Genova ha trasformato il porto ligure in una passerella ideologica: kefiah al vento, dichiarazioni di “resistenza”, applausi di circostanza e un carico di illusioni più che di aiuti. Un reality show marittimo dove gli attivisti nostrani recitano la parte dei rivoluzionari in vacanza, pronti a sfidare Israele con l’eroismo di chi, in realtà, non rischia nulla. Gaza, intanto, resta dov’era: stretta tra Hamas e la miseria. Ma almeno a Genova, per qualche giorno, qualcuno ha avuto il suo quarto d’ora di gloria.

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