Oggi, in Occidente, è in corso una guerra ideologica totale contro Israele e il sionismo, una guerra capace di mobilitare milioni di persone contro l’unico Stato ebraico del mondo. Ondate di «indignati» chiedono l’isolamento diplomatico di Israele, così che le einsatzgruppen di Hamas e della Jihad islamica palestinese possano uccidere gli ebrei con maggiore facilità (e soprattutto nel silenzio di una comunità internazionale stanca di questo piccolo popolo dalla dura cervice).
L’israelicidio è ciò che affratella tutti i nemici della civiltà occidentale, che sullo Stato ebraico proiettano il vecchio odio per l’Occidente «imperialista» e «colonizzatore». La giudeofobia, soprattutto nella forma dell’antisionismo, è in grado di superare tutte le barriere ideologiche (estrema destra, estrema sinistra, tradizionalismo cattolico, anarchismo) e generazionali. La «causa palestinese» unisce laddove altro separa. Dichiararsi «per la Palestina» significa schierarsi dalla parte del «Bene», non esiste causa più commovente di quella per Gaza.
L’ultima escatologia occidentale è questa lotta religiosa – perché il «palestinismo» è una religione politica come lo furono il nazionalsocialismo e il comunismo – contro quello che viene reputato l’ultimo «razzismo» della storia: il sionismo. «From the river to the sea» è la visione apocalittica di un mondo emendato dal sionismo. Una promessa di libertà che non riguarda solo il cosiddetto «popolo palestinese», bensì tutta l’umanità, perché Israele è considerato la «testa» di una setta conquistatrice responsabile di ogni oppressione e di ogni ingiustizia.
L’antisionismo è costitutivamente sterminazionista. Com’è possibile, infatti, vivere in pace con questo Stato razzista, autoritario e intrinsecamente perverso? Come possiamo far sì che questo popolo ostinato, abbandoni da sé il suo nefasto proposito di voler dominare il mondo? E ancora: come si può distruggere il sionismo, il suo progetto di una sovranità ebraica sulla Terra Santa, senza eliminare tutti i sionisti? A queste domande, il «palestinista» occidentale dà la medesima risposta dello jihadista: sterminio.
I buoni sentimenti (antirazzismo, ecologismo, umanitarismo…) vengono così messi al servizio di una politica di distruzione, che ha come fine l’omicidio di massa dei sionisti e degli ebrei.
La Shoah non è altro che un sottile baluardo morale, che agli antisionisti sembra sempre più un mito fabbricato per cancellare la memoria della Nakba. Il sospetto si trasforma progressivamente in negazione, ed ecco che tutto diventa di nuovo possibile, tutto ricomincia.