Diritto e geopolitica

Il discorso di Pompeo e il riconoscimento dei fatti

Il breve ma incisivo discorso del Segretario di Stato Mike Pompeo, a poche ore dalla sua diffusione, è stato dipinto dai mass-media e dagli immancabili “esperti” come un discorso in aperta rottura con la politica americana dell’ultimo cinquantennio e in contrasto con il diritto internazionale. Ma le cose stanno davvero in questi termini?

Nella parte finale del suo discorso Pompeo rimarca il fatto che il caso di Giudea e Samaria sia un “unicum” nella storia dei territori contesi. Questo è vero anche per il diritto internazionale, e non è certo un’interpretazione del Segretario di Stato. Infatti, il preambolo del Mandato di Palestina approvato nel 1922 dalla Società delle Nazioni, rimarca la “storica connessione tra il popolo ebraico e la Palestina” e la necessità di “ricostituire” uno Stato degli ebrei in quella terra. Questa specificazione esiste solo nel Mandato di Palestina e non è presente in nessuno degli oltre 20 mandati approvati contestualmente dalla Società delle Nazioni. E’ importante ricordare come tutti i mandati ancora esistenti nel 1945, quando fu approvato il Trattato di San Francisco con cui si costituì l’ONU, furono incorporati nel diritto internazionale con l’art. 80 dello Statuto dell’ONU. Quindi Pompeo non ha detto nulla di rivoluzionario ma ha dimostrato di conoscere il diritto internazionale.

Più volte nel suo discorso, Pompeo, ha rimarcato che l’unica possibilità di trovare una soluzione alla controversia territoriale può avvenire unicamente tramite negoziati diretti tra le parti. Anche qui non si tratta certamente di una “rivoluzione” nell’approccio al conflitto. Infatti, sono esattamente le parole utilizzate nella Risoluzione 242 del 1967, confermata dalla Risoluzione 338 del 1973, che sono la base degli accordi di pace tra Israele ed Egitto, tra Israele e Giordania e non da ultimo degli Accordi di Oslo firmati nel 1995 con l’OLP. E vero semmai il contrario: qualsiasi tentativo di imporre confini alle due parti è una violazione del diritto internazionale sancito dagli Accordi di Oslo stessi che sono vincolanti per Israele, per l’Autorità Nazionale Palestinese, ma anche per i garanti degli Accordi: USA, UE, Russia, Norvegia, Egitto e Giordania.

Quindi volendo riassumere la legalità della presenza ebraica nei territori, che solamente dal 1995 sono contesi, si possono citare come fonti del diritto internazionale: il Mandato britannico di Palestina, lo Statuto dell’ONU, le risoluzioni 242 e 338 e gli accordi di Oslo. Nessuna fonte del diritto dice il contrario anche se UE e numerose agenzie dell’ONU asseriscono il contrario. Cosa ribadita dalla Mogherini pochi minuti dopo il discorso di Pompeo. Ma a che cosa si riferisce la Mogherini?

Ad una interpretazione della IV Convenzione di Ginevra. In particolare il comma 6 dell’art. 49. Il testo dell’articolo è il seguente:

[…]

Comma VI:

         “La Potenza occupante non potrà procedere alla deportazione o al trasferimento di una parte della sua propria popolazione civile nel territorio da essa occupato.”

[…]

La prima annotazione importante da fare è la seguente: questo articolo, come peraltro nessun articolo del diritto internazionale, fa alcuna menzione a “insediamenti”, “colonie” o sinonimi attinenti. Allora perché si continua a dire che per il diritto internazionale gli “insediamenti”, diventati nel tempo “ebraici”, sono illegali se non esistono concettualmente per il diritto internazionale? Per mere ragioni politiche.

Inoltre, l’art. 49 della IV convenzione di Ginevra, non è applicabile alla West Bank , Cisgiordania o Giudea e Samaria, perché si applica, solamente, nel caso di conflitto armato tra due Stati, cosa evidentemente non applicabile ai “territori” riconquistati da Israele dalla Giordania che li aveva occupati illegalmente mentre il diritto internazionale li aveva assegnati agli ebrei fin dal 1920.

Inoltre entrando nel dettaglio, si può affermare che il significato dei verbi “trasferire” o “deportare” presuppone che un governo o una forza occupante sposti in massa un certo numero di persone da una località ad un’altra in maniera organizzata e coatta. Cosa che, evidentemente, non è applicabile al caso degli abitanti ebrei di Giudea e Samaria, perché qui la popolazione è tornata, in taluni casi, dopo essere stata cacciata dai giordani, in altri casi acquistando un terreno ed edificando, in altri ancora, acquistando una casa. Quindi, dei privati cittadini che sono andati a vivere in diversi luoghi di una regione – non in un luogo unico e concentrato – in modo indipendente e senza imposizioni governative. Tanto è vero che in molti casi sono state demolite abitazioni costruite abusivamente e senza autorizzazioni con sentenza della stessa Corte Suprema israeliana. Il termine “trasferire”, nella IV convenzione di Ginevra –oltre nell’art. 49 citato- si trova negli art. 45 e art 127 con lo stesso significato.

Anche secondo l’interpretazione fatta dalla Croce Rossa Internazionale, l’art. 49 comma VI si riferisce all’opera di deportazione e colonizzazione che fece la Germania nazista durante la Seconda Guerra mondiale quando invase i paesi dell’Est Europa. Nel commento della Croce Rossa Internazionale si fa esplicito riferimento al “trasferimento” forzato “sotto minaccia delle armi”. Ma la vera prova del nove sull’infondatezza di tali accuse si è avuta con l’istituzione della Corte Penale Internazionale, creata con il Trattato di Roma del 1998 ed entrata in vigore nel 2002. All’art 8 comma VIII, al concetto di deportazione o trasferimento è stato aggiunto quello di crimine di guerra, ripreso – copia e incolla – dalla IV Convenzione di Ginevra. L’unica aggiunta, sotto espressa richiesta dei paesi arabi, è stata la dicitura “diretta o indiretta” riferita al trasferimento di popolazione, con il chiaro intento di aggiungere il concetto di trasferimento “volontario” di persone per poterlo un giorno applicare alla popolazione israeliana.

E’ opportuno ribadire che in nessun caso al mondo, anche in caso di reale occupazione, è mai stato applicato l’art. 49 comma VI della IV Convenzione di Ginevra.

Alla luce di quanto esposto l’Amministrazione Trump per bocca del suo Segretario di Stato non ha fatto altro che ribadire dei concetti di diritto già espressi da numerosi giuristi che hanno contribuito alla formazione del diritto internazionale con le loro opinioni, come i professori di diritto internazionale Rostow, Stone, Swhebel e Morris Abram che fu uno dei redattori della IV Convenzione di Ginevra: per tutti loro gli “insediamenti” non sono illegali e il territorio di Giudea e Samaria non è occupato.

Ma questa posizione assunta dall’Amministrazione Trump è poi così di “rottura” con il passato? Anche questa affermazione è falsa concettualmente o perlomeno è una forzatura giornalistica, poichè la prima amministrazione USA che decise “politicamente” di considerare illegali gli insediamenti è stata quella di Carter nel 1978 ben 11 anni dopo che Israele aveva riconquistato i territori di Giudea e Samaria. Tutte le amministrazioni precedenti non avevano eccepito nulla sulla presenza israeliana. Però già nel 1981 l’amministrazione Reagan aveva ribaltato questa posizione. La posizione politica americana è rimasta ondivaga nel corso degli anni in base all’orientamento politico dell’amministrazione che di volta in volta governava. Il penultimo capito fu la decisione di Obama di far passare la Risoluzione 2334 al Consiglio di Sicurezza dell’ONU che ribadiva l’illegalità della presenza ebraica. La posizione espressa da Mike Pompeo è solo l’ultimo capitolo di questa saga in cui la politica ha preso il posto del diritto scalzandolo dalla scena.

Nel discorso di Pompeo, si fa riferimento esplicito al fatto che l’amministrazione Trump ha seguito una posizione politica già espressa in passato dall’amministrazione Reagan e che non c’è nulla di nuovo, è semplicemente una rottura politica rispetto all’amministrazione che l’ha preceduto così come, parole di Pompeo, l’amministrazione Reagan aveva ribaltato la posizione di Carter. Mentre i consulenti legali dell’amministrazione hanno confermato la legalità dell’acquisizione territoriale e la presenza ebraica nei “territori”.

In conclusione, questa amministrazione ha ribadito un’ovvietà che è peraltro utilizzata in tutti i casi di contese territoriali nel mondo: le contese si possono risolvere solo tramite accordi diretti tra le parti e non imposte da altri. Bisogna solo farlo capire a Federica Mogherini e alla UE.

 

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