Ebraismo

Il «silenzio parlante» di Nelly Sachs

«Che silenzio parlante tra noi, amata beata anima di mia madre. Che silenzio parlante», sono queste alcune parole in esergo al libro Lettere dalla notte di Nelly Sachs1. Il «silenzio parlante» sarà l’itinerario dominante non solo di questo testo, ma dell’intera ricerca dell’opera di questa monumentale scrittrice, vincitrice del premio Nobel per la Letteratura nel 1966. 

Lettere dalla notte venne scritto a pochi mesi dalla morte della madre nel febbraio del 1950. Il «silenzio» con la sua connotazione dialogante è un chiaro riferimento biblico, in particolare al momento in cui il profeta Elia incontra Dio (1Re 19,11-13)2. L’ossimoro della poetessa, «silenzio parlante», manifesta in primo luogo la percezione di una interazione che non può essere interrotta e di uno spazio ben definito dove quest’ultima continuerà per sempre a realizzarsi. In Nelly Sachs il «silenzio» non ha una dimensione assoluta, infatti non è concepito come uno spazio vuoto: ha una voce «parlante» e questo participio ne caratterizza l’essenza. Il «silenzio parlante» risiede e rivive, inoltre, nella «memoria» delle nostre esistenze. Sachs gli dà una sua espressa connotazione e funzione, e ne deduce lo stato d’animo: «La morte è la dissipatrice del superfluo. Respiro, sangue, carne, ossa, cervello, denti, occhi, viscere – corrosi – rimane il silenzio parlante, la nostalgia»3. Dunque anche se la morte compie il suo disegno, non tutto può essere corroso: al contrario, il «silenzio parlante» sopravvive e viene «personificato» a sua volta dalla «nostalgia». Il corpo è una traccia del passaggio, dell’attraversamento, nulla sopravvive perché è sempre in eterna corrosione e disfacimento, ma ciò che appare più etereo e impercettibile, materialmente vive. In merito alla parola «nostalgia», nel testo Sehnucht, Anna Ruchat cita in nota Ida Porena, autrice dell’introduzione alle Poesie di Nelly Sachs, che precisa: «Parola chiave del romanticismo tedesco, indica l’anelito, la tensione verso un Dio, un amore, una casa o una patria. Dopo Rilke la parola era pressoché scomparsa dalla poesia tedesca e Nelly Sachs la reintroduce con forza, dandole una valenza mistica di “superamento dell’attuale, del possibile»4. La nostalgia non ha alcuna carica annichilente, è invece motore e, soprattutto, «ricongiungimento mistico fra i trapassati e il Dio nascosto»5. 

L’esistenzialismo di Sachs, nonostante sia il risultato di una esperienza tragica, ha una valenza positiva, rigenerante, scandisce il tono della sofferenza, entra nelle sue pieghe, ammette lo spegnimento del corpo, ma non abiura alla possibilità di un «moto di rinascita». Rivolgendosi ancora alla morte come controparte della sua dialettica poetica, non è difficile rendersi conto che rimane indubbia la potenza vivificatrice della stessa: «Morte, tu che paghi per affrancare la nostalgia. Morte, tu che partorisci le anime, tu, involucro della nostalgia placata. Placata nell’eternità». La nota della curatrice Anna Ruchat è illuminante, laddove avverte il lettore che la parola stillen, in tedesco, ha significato ambivalente e la traduzione necessita di un approfondimento per il lettore: può significare placare o allattare, dunque nutrire. Il «silenzio parlante», la nostalgia, è dunque nutrimento. Profondo è il legame con la madre scomparsa: sono i termini «silenzio», «parlante», «placato» che fanno assumere al testo, come oggetti-luoghi della missiva, le sembianze di una poesia, talvolta una preghiera per chi non c’è più, forse un canto funebre. 

Con la madre Nelly Sachs aveva un rapporto simbiotico, determinato anche dalle circostanze della vita. Nel 1930, anno del superamento di una malattia che colpisce ambedue le donne, viene a mancare il padre William. Nelly e sua madre, essendo ebree, vennero perseguitate e vissero sotto minaccia fino a che la poetessa, convocata dalla Gestapo, rischiò di essere deportata in un campo di sterminio. Sfuggì alla deportazione, ma non evitò nel 1939 l’esproprio della casa dove abitava. Già all’età di quindici anni cercò, con le sue missive, contatti con la scrittrice svedese Selma Lagerlöf, uno scambio di lettere che durerà 35 anni e faciliterà la sua richiesta d’aiuto quando deciderà di fuggire in Svezia. Tuttavia determinante fu l’intervento di un’altra amica, Gudrun Dähnert, che consentirà alle due donne di ottenere l’affidavit a Stoccolma. I primi tempi furono durissimi, anche perché Selma Lagerlöf morì proprio al suo arrivo in Svezia. In totale solitudine Sachs sbarcò il lunario con lavori umili, prima di entrare in contatto con le avanguardie svedesi e iniziare ad apprendere la lingua. Familiari e amici della poetessa, intanto, venivano falcidiati nei campi di sterminio e fu forse proprio in questo momento che Sachs cominciò ad approfondire la conoscenza delle sue radici ebraiche, con il riferimento iniziale di un’opera del filosofo Martin Buber, Erzählungen der Chassidim. A 59 anni Nelly Sachs visse una grave depressione che la vide ricoverata in clinica, ma grazie all’aiuto della biblioteca della Comunità ebraica di Stoccolma, tornò alla scrittura con alcuni studi, fra i quali uno sulla morte intesa come metamorfosi dal titolo Fuga e metamorfosi. Quest’ultimo testo fu alla base delle sue Lettere dalla notte, che non rappresenta altro se non il «momento della collisione fra il lutto personale e l’elaborazione della perdita delle vittime della Shoah»6. È il momento della lettura e della profonda analisi dello Zòhar e della mistica ebraica, che rende forte in Sachs l’idea della «presenza poetica come voce soltanto che prescinde dalla persona»7. L’insegnamento dello Zòhar consolida il rapporto che la poetessa stabilisce con un tu che è Dio, calato nell’alfabeto. Nel 1950 comincia una corrispondenza con lo scrittore Paul Celan, momento che segna tra i due un connubio non solo artistico, ma soprattutto umano. Per un lasso di tempo breve il misticismo e la profondità di pensiero della poetessa riescono a placare le instabilità di Celan, di quarant’anni più giovane. Lo stesso valse per Sachs, che intravide nel poeta «una scintilla di luce che penetra nel cuore gelato della principessa chiusa in una bara di ghiaccio»8. Determinante in questo rapporto con Celan è quello che la scrittrice pensa di lui: «il poeta che annoda i fili dell’avanguardia con quelli della mistica ebraica in una poesia in cui Dio è assente»9. Finalmente nell’estate del 1960 i due si incontrano a Zurigo e a Parigi, e sarà l’ultima volta. Per Sachs lo scrittore è «Baalshem, il poeta dell’indicibile, benedetto da Bach e da Hölderlin, benedetto dai chassidim»10, ritenendo che egli possedesse una funzione salvifica, che la poetessa aveva attribuito addirittura al Dio nascosto, all’angelo, a quel tu immerso nell’alfabeto. Purtroppo dopo l’incontro Sachs viene ricoverata per una crisi psicotica e rimane in ospedale per anni, mentre Celan è attanagliato da sensi di colpa. Nonostante questo la relazione epistolare fra i due sopravviverà fino al 1969: nel 1970 subentra la morte per tumore di Nelly Sachs, che coinciderà con il giorno del funerale di Paul Celan. Le raccolte poeticheUnd niemand weiß weiter e Flucht und Verwandlung furono pubblicate nel 1957 e nel 1959 ad Amburgo, Monaco di Baviera e Stoccarda. Nel 1966 è la prima donna a ricevere il premio Friedenspreis des Deutschen Buchhandels. 

Tornando alla prosa poetica delle Lettere, forte è il tema della migrazione-trasmigrazione delle anime: «Ora faccio parte del seguito. Nient’altro. Di coloro che devono seguire attraversando il sale, immersi nell’acqua del lutto. Nessuno sa se le stelle marine, le meduse, i pesci e tutte le cose che soffrono nella cecità stiano ancora andando o siano già nulla sulla via del ritorno»11. Il ritorno nella tradizione chassidica è la migrazione delle anime, elemento che viene costantemente affrontato da Sachs: la poetessa crede fermamente in questa eternità, nella rinascita dalla fine della vita. Infatti subito dopo afferma che, «come un seme, il terzo occhio [Dio] a volte nel sogno si apre e ci guarda – e allora noi sappiamo che la morte si tramuta in vita»12. Questo tema, come ben specificato in calce alle note del testo di Sachs, ci fa comprendere che il ritorno di un’anima in un nuovo corpo, come dal glossario di Storie e leggende chassidiche, rappresenta l’accesso a uno stadio superiore, un livello di perfezione nel «processo di riparazione cosmica»13 

Profonda gratitudine e grazia appartengono allo spirito poetico di Nelly Sachs, che si abbandona fra le righe di queste meravigliose Lettere alla recitazione di un vero e proprio credo, intriso di umanesimo e delicata appartenenza al dolore e alla rinascita ineluttabile. In qualche modo si percepiscono il dolore e la morte certo come aspetti endemici dell’essere umano, ma che non pregiudicano la rinascita, contribuiscono al contrario al perfezionamento del proprio spirito. «Il silenzio parlante va soltanto da me a te perché l’umiltà vieta l’ascolto di ciò che viene dall’alto. Eppure in certi momenti sfiorati dalla grazia io so come nascerà il sorriso»14: sono parole che possono derivare soltanto da un inconfondibile talento poetico e umano che mi riporta sulle tracce di Simone Weil ed Etty Hillesum. L’amore ha una valenza e una cifra di eternità in qualsiasi dimensione avvenga, alla stregua di un miracolo, grazie alle parole che sono «solo cartelli e lapidi». È così che Sachs ci avverte: «l’odio non ci riguarda». Eppure quanto è difficile trasformare «la terra in amore», con gli uomini che portano «paraocchi»: «Questo mollare della carne debole, questo tradimento della fedeltà. Questo stancarsi del proprio amore, questo ammalarsi della disponibilità a soccorrere, questo chiudere l’occhio dell’anima di fronte alla prima parola sofferente dell’eternità»15.  

Nelly Sachs rimane una delle voci più profonde del Novecento, chiare e definite; la poetessa non si abbandona al labirinto incomprensibile dell’epistemologia religiosa e nelle complessità che la contraddistinguono. Avverte come un canto di prima mattina che l’amore è motore e la morte non è mai risolutiva, il silenzio mai tace e le parole costruiscono faticosamente sentieri di pace.  

Una voce unica nei nostri giorni di follia e senza via di scampo. 

1 Nelly Sachs, i, a cura di Anna Ruchat, Giuntina, Firenze 2015.

2 Ivi, p. 23

3 Ibid.

4 Ibid., nota 3.

5 Ibid.

6 Ivi, p. 10.

7 Ivi, p. 11.

8 Ivi, p. 13.

9 Ivi, p. 15.

10 Ibid.

11 Ivi, p. 24.

12 Ivi, p. 25.

13 Ibid.

14 Ibid.

15 Ivi, p. 28.

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