Israele e Medio Oriente

Io riconosco te, o Gerusalemme … Il significato che la presa di posizione di Trump avrà nella regione è tutt’altro che chiaro

A distanza di quasi 70 anni esatti dal Piano di Partizione delle Nazioni Unite – il quale propose di internazionalizzare Gerusalemme, con il risultato di rendersi responsabile del mancato riconoscimento della sua sovranità da parte di ogni altra nazione nel mondo – oggi il Paese più potente del mondo riconosce la città santa come legittima capitale di Israele. Lenorme portata di un simile passo, in termini diplomatici, è difficile da valutare. Tra pochi mesi ricorrerà il settantesimo anniversario della nascita dello Stato ebraico. Mercoledì scorso, per la prima volta in due millenni, una superpotenza riconosce la rivendicazione da parte dello Stato ebraico alla propria antica capitale.

La gioia incontenibile di molti israeliani è certo comprensibile. Non pochi di loro hanno elogiato il presidente americano Donald Trump per aver corretto ciò che ritenevano una anomalia storica. Altri hanno più sobriamente sottolineato che il suo discorso dava semplicemente espressione a quanto era in realtà per loro ovvio da decenni. Infatti, a parte limpegno di Trump di spostare lambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, un provvedimento che probabilmente richiederà diversi anni, ben poco di quanto affermato avrà un impatto concreto e diretto nella vita di ogni giorno degli israeliani. A meno che piuttosto non lo abbia, ovviamente, la ripercussione dellira araba. Trump ha rinnovato anche il proprio desiderio di mediare un processo di pace tra Israele e Palestina, ma non ha chiarito come intenda giungere ad un tale risultato.




Parlando di fianco ad un albero di Natale nella sala ricevimenti della Casa Bianca, Donal Trump si è fermato al termine Gerusalemme, ha evitato cioè di definire una connotazione politica ben più importante: se avesse fatto riferimento a Gerusalemme Ovest, avrebbe dato adito ad un palese apprezzamento verso la rivendicazione da parte dei Palestinesi della parte est della città, o avrebbe ad ogni modo affermato di non riconoscere lannessione unilaterale da parte di Israele della parte Est della città.

Allo stesso modo ha evitato di parlare di una Gerusalemme unitao di una capitale indivisa, lasciandoci indovinare a quale parte della città facesse riferimento come pertinente ad Israele e quale, se ve ne fosse una, dovrebbe nel suo intendimento appartenere al futuro stato palestinese. Alcuni hanno visto nel discorso di Trump un riferimento allAtto dellAmbasciata Americana del 1995, il quale chiedeva esplicitamente che la città rimanesse indivisa, e nelle sue parole relative alla città come luogo nel quale gli Ebrei pregano al cospetto del muro ovestla considerazione di Gerusalemme come di una città unita. Anche il negoziatore palestinese Saeb Erekat sembrerebbe aver inteso le parole del Presidente in questo modo. Nessuna nazione al mondo ha riconosciuto lannessione di Gerusalemme Est da parte di Israele, ad eccezione del Presidente Trump questa sera, ha affermato adirato.







Daltro canto, il presidente ha sottolineato che gli Stati Uniti non stanno prendendo posizione in alcun intendimento definitivo, né sulla sovranità di Israele su Gerusalemme né sui suoi confini contesi. Queste questioni sono argomento di negoziato esclusivamente tra israeliani e palestinesi. Trump ha espresso inoltre la propria prontezza a sostenere una soluzione a due stati, ma solo qualora questa sia appoggiata da entrambe le parti. Questa formulazione, se da un lato apparentemente intende placare i palestinesi, dallaltro sembra ripetere la posizione espressa lo scorso 14 Febbraio alla Casa Bianca, posizione secondo la quale il presidente aveva affermato di essere propenso tanto per la soluzione a due stati quanto quella a uno stato, e di preferire quella che entrambe le parti avrebbero preferito. Nessun impegno per una indipendenza della Palestina, né allora né adesso.

Il primo ministro Benjamin Netanyahu, nella sua prima risposta al discorso di Trump, non si è affrettato a professare un aperto sostegno per la soluzione a due stati. Il discorso di Trump dello scorso mercoledì, che a suo dire accelererebbe il processo di pace, è stato condannato allunisono da tutto il mondo arabo e musulmano. Rimane fortemente dubbio che la nuova posizione degli Stati Uniti ottenga i risultati sperati dal presidente, dal momento che ha scatenato lira di una parte dando allaltra qualcosa su cui la prima non era in realtà neanche particolarmente concentrata. Trump avrebbe potuto giocarsi la carta dellambasciata sia come incentivo (per Israele) che come minaccia (per i palestinesi). Compiendo questo passo unilateralmente in assenza di un autentico processo di pace, ha scoperto le carte senza alcun apparente guadagno. Come esattamente questo passo aiuterà, a questo punto, nel processo per la pace, rimane completamente oscuro. Eventualmente, potrebbe aver stroncato ogni prospettiva della amministrazione Trump di riuscire negli sforzi per un accordo di pace e potrebbe addirittura spingere la fragile e instabile regione in una nuova spirale di violenza. La clamorosa reazione alla decisione di Israele, la scorsa estate, di installare metal detectors al Monte del Tempio (in risposta ad un attacco terroristico avvenuto presso il sito stesso), ha dimostrato quanto i palestinesi siano sensibili quando si tratta di Gerusalemme.

Trump e Netanyahu hanno entrambi confermato che lo status quo al Monte del Tempio non subirà alcuna modifica. Ma il presidente dellautorità palestinese Mahmoud Abbas ha ammonito che il discorso di Trump servirà solo a sostenere i tentativi dei gruppi estremisti di trasformare il conflitto nella regione in una guerra di religione. Non ha tuttavia invocato alcuna protesta. Insieme alla immediata recrudescenza della violenza nellintera area, la drammatica decisione di Trump potrebbe avere anche implicazioni a lungo termine. Nessuno fa niente per niente, e gli esperti hanno iniziato a chiedersi quale favore Trump avrà intenzione di chiedere a Israele in cambio di questa eclatante concessione. Farà richiesta a Netanyahu di accogliere pubblicamente la soluzione a due stati, o altri accomodamenti? Alcuni sostenitori sono convinti che egli abbia agito spinto da una genuina convinzione. Quando si fa la cosa giusta, non cenessun prezzo da pagare, sostiene il Ministro dellEducazione Naftali Bennet, capo del Partito Ortodosso Nazionalista Ebraico. Ci siamo fatti convincere che per fare la cosa giusta ci sia sempre un prezzo da pagare e questo non evero, ha affermato. Ad ogni modo, Abbas ha annunciato che secondo il proprio punto di vista il riconoscimento di Gerusalemme da parte di Trump simboleggi la volontà da parte degli Stati Uniti di ritirarsi dal ruolo che nei decenni passati hanno rappresentato nel processo di pace. Sei mesi dopo che Abbas aveva lodato, del presidente, il coraggioso sostegno, la saggezza e la grande abilità nella negoziazione, che avrebbero finalmente donato ai palestinesi speranza, pare adesso irremovibile nel ritenere che la presente amministrazione non potrà giocare più alcun ruolo nel processo di pace.

Saranno potenze come la Russia e la Cina destinate a riempire questo vuoto? Mosca e Pechino hanno cercato a lungo di ampliare i propri ruoli nel conflitto mediorientale. Netanyahu vanta rapporti di amicizia con entrambi gli stati, ma difficilmente rimpiazzerebbe con uno di essi o entrambi il ruolo di tutela che gli Stati Uniti hanno nelle discussioni al tavolo della pace. Netanyahu non è disposto a negoziare la sicurezza di Israele con alcun governo che tenga rapporti con lIran. In meno di due settimane, il vicepresidente Mike Pence arriverà in Medio Oriente. A Gerusalemme sarà accolto come un eroe. Sarà interessante osservare quale accoglienza gli riserverà Ramallah.

Articolo di Raphael Ahren per il Times of Israel, tradotto in italiano

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