Editoriali

Iran, il futuro della libertà

Trentotto anni di dittatura. Trentotto anni di fascio-islamismo sciita. Trentotto anni di oppressione e oscurità salutati con ardore dagli amici occidentali del regime di Teheran, dagli antisemiti duri e puri come il complottista Maurizio Blondet e altri compagni di merende, che si recano in Iran per sdilinquirsi nei confronti di chi vorrebbe Israele distrutto e una nuova Shoah in atto.

Trentotto anni che si stanno sgretolando giorno dopo giorno malgrado una politica internazionale fondata, come quella hitleriana, sul lebensraum, articolata in modo tentacolare tra Libano, Iraq, Siria, Yemen.

Miliardi di dollari sottratti alla popolazione e all’ammodernamento del paese per finanziare il progetto palingenetico di una setta di fanatici arrivati al potere nel 1979 e salutati con entusiasmo da intellettuali animati da ardori “profetici”, come Michel Foucault che si inebriava davanti ai mullah. Sei miliardi di dollari spesi dal 2011 a oggi solo per appoggiare Bashar al Assad allo scopo di fare della Siria un proprio protettorato e un avamposto da dove potere minacciare Israele, oltre al Libano degli Hezbollah.

Trentotto anni che sabato, a Parigi, al convegno superprotetto della dissidenza iraniana sono diventati nelle parole dei partecipanti il limite oltre il quale forse oggi più che mai è possibile immaginare e progettare la libertà e la rivincita del popolo iraniano. “Rinnovo il saluto ai miei connazionali assetati di libertà”, ha dichiarato Marjam Rajavi, la presidente eletta della resistenza iraniana a cui ha fatto eco, tra i numerosi ospiti, Rudolph Giuliani, “Gli iraniani stanno andando avanti per ottenere la libertà e oggi possiamo dire che l’amministrazione americana precedente aveva girato le spalle al popolo iraniano. Oggi non è più così, l’amministrazione americana attuale è a sostegno dell’Iran libero e democratico”.

Il paese è stremato economicamente. L’uscita degli Stati Uniti dal deal nucleare voluto da Barack Obama ha prodotto l’inevitabile peggioramento facendo perdere recentemente al rial il 50% del suo valore d’acquisto. Tutto questo viene dopo l’ondata di protese dell’anno scorso diffuse in 75 città e cittadine, le maggiori dopo quelle del 2009, quando gli USA voltarono la testa dall’altra parte. Proteste che provocarono 5000 arresti. E ora, di nuovo, sono in atto altre proteste in città come Khorramshahr nel nord del paese, che si trova in ginocchio a causa della siccità e a Teheran, dove si sono sentite per la prima volta, urla come “Morte alla Palestina”, “No a Gaza, no in Libano”, “Lasciate la Siria e pensate a noi”.

Le cose sono drammaticamente cambiate e assai in fretta. Sembrano secoli da quando un raggiante Mohammad Javad Zarif si metteva in posa accanto a una altrettanto raggiante Federica Mogherini, dopo la stipula dell’accordo sul nucleare iraniano, strenuamente voluto da Obama e altrettanto strenuamente osteggiato da Benjamin Netanyahu, e di nuovo, strenuamente sostenuto dall’Europa con in testa Germania, Francia, Gran Bretagna.

Teniamo tutti famiglia e si possono fare ottimi affari con un regime terrorista che ha alle spalle una lunga scia di sangue cominciata con 63 morti il 18 aprile 1983 all’ambasciata americana a Beirut e poi proseguita sempre nella capitale libanese, il 23 ottobre 1983, con 241 marines trucidati, a cui fecero seguito altri attentati, in Kuwait, di nuovo a Beirut, in Arabia Saudita, a Buenos Aires  il 18 luglio del ’94, dove venne fatta saltare per aria l’AIMA il centro della comunità ebraica, provocando 85 morti e 372 feriti. Target preferiti, americani ed ebrei. Ma chi si ricorda di tutto ciò? scurdámmoce ‘o ppassato, bisogna andare avanti. Così fece Obama regalando all’Iran un accordo di grande vantaggio scommettendo irrealisticamente su un futuro di progresso in cui il regime si sarebbe ammorbidito. Ma questo non era e non è mai stato il futuro reale, l’unico possibile non si basa su di un calcolo politico totalmente privo di concretezza empirica ma è quello a cui guardano i dissidenti radunati a Parigi, ma certo non solo loro, è il futuro di una nuova mappa mediorientale a cui pensa con manifesta chiarezza l’Amministrazione Trump e che nel discorso tenuto da Mike Pompeo un mese fa, si riassume nella linea senza sconti che gli USA adotteranno nei confronti del regime degli ayatollah. Sanzioni economiche “come non se ne sono mai viste”, nelle parole del Segretario di Stato americano.

L’Iran cerca come può di trovare sostenitori e amici, cerca di ovviare all’uscita americana da un accordo che per il regime era soprattutto una garanzia di sopravvivenza, una promessa di felicità. Chi vorrà davvero fare affari con l’Iran a fronte di sanzioni americane che si prevedono pesantissime e di cui, quelle secondarie, colpiranno appunto gli attori terzi?

Forse, davvero, dopo trentotto anni siamo giunti a uno snodo della storia, con Trump in sella e Israele e stati sunniti convergenti come non mai sulla stessa agenda mentre in Siria, Vladimir Putin ha iniziato a prendere le distanze dall’ingombrante alleato sciita il quale non ha alcuna intenzione di abbandonare il paese dopo l’enorme impiego di risorse finanziare e il prezzo pagato in vite umane per fare di Assad il proprio plenipotenziario.  Ciò nonostante, Putin sa benissimo che Israele non permetterà mai che l’Iran si consolidi alle pendici del Golan, e una guerra tra Israele e Iran in Siria è l’ultima cosa che la Russia vuole.

E’ questo il momento di spingere l’acceleratore. Trentotto anni sono davvero troppi per un popolo, quello iraniano, al quale non c’è che da augurare di ritrovare la propria libertà.

Ndr. Le citazioni delle dichiarazioni di Mariam Rajavi e Rudolph Giuliani sono tratte da “Free Iran, The Alternative, convegno 2018 a Parigi” pubblicato da Caratteri Liberi.

 

 

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