Autoflagellazione
Ormai sembra regnare la convinzione che la storia non ci riguardi più. Ci siamo persuasi che questo lato del mondo non abbia più nemici ma abbia, secondo una lettura distorta, solo un problema morale: vergognarci del nostro passato, di tutto il male fatto a quel terzo mondo privo di ogni responsabilità verso se stesso, che si ritrova nelle condizioni nelle quali si trova a causa nostra, di noi, immondi occidentali, razzisti e colonialisti. Non abbiamo nemici e nemmeno niente da difendere e onorare, anzi, dobbiamo liberarci della nostra storia e della nostra identità rinnegando le coordinate culturali dalle quali essa è scaturita: diritto romano, filosofia greca e religione giudaico-cristiana. Paragonando l’Occidente a un immenso organismo biologico che non percepisce più pericoli esterni ecco che il suo sistema immunitario, che da essi dovrebbe proteggerlo, si disabitua al ruolo di sentinella che gli è proprio. Tuttavia, ha pur sempre una natura guerriera e la rivolge contro l’organismo al quale egli stesso appartiene: ne aggredisce gli organi vitali. Tale fenomeno fa indebolire e ammalare l’organismo che si autodistrugge nel caos di una guerra interna mentre virus e batteri esterni penetrano in esso senza più ostacoli.
L’Europa e l’America, attraverso il folle revisionismo “antistorico” e autoflagellante della cultura Woke e dell’antirazzismo estremo, autodistruggono se stesse permettendo al virus dell’immigrazione di massa e al batterio dell’islamizzazione strisciante di porre le basi per la loro decadenza e sottomissione finali. I sacerdoti del politicamente corretto ci spiegano che non solo l’immigrazione di massa arabo musulmana non è un pericolo, ma, anzi, ne abbiamo bisogno. La vittimizzazione dei palestinesi e la mostrificazione di Israele rientrano in questo orizzonte, costituendo un paradigma pedagogico atto all’ islamizzazione dell’Europa. Diamoci da fare, dunque, per riconoscere anche uno Stato palestinese, molto probabilmente teocratico, antioccidentale, antisemita e lasciamo che le teocrazie mediorientali annientino definitivamente lo Stato democratico di Israele. Continuiamo a chiamare quest’ultimo, usurpatore di territori e colonizzatore (per sfruttare non si sa quali beni e risorse locali visto che dove è sorto non c’era nemmeno un albero per ripararsi dal sole se gli ebrei non ne avessero piantati a milioni) a casa propria facendo strame della realtà storica dei fatti.
Israele, però, è vicino ma lontano da noi e trovandosi da sempre sotto attacco ha mantenuto un sistema immunitario attivo che sa riconoscere i nemici e li combatte senza sottovalutarne l’intrinseca pericolosità. Una democrazia che ha sviluppato un’economia fondata prevalentemente sulla ricerca scientifica che produce migliaia di brevetti per nuove tecnologie di ogni genere. Molta della tecnologia che usiamo ogni giorno ha origini israeliane. Sarebbe opportuno che i tanti odiatori dell’Occidente osservassero attentamente quello che sta succedendo nei paesi detti in via di sviluppo, sia in Africa (Nigeria, Kenya, Sudafrica, Etiopia, Tanzania, Repubblica Democratica del Congo, Angola) che in Asia (India, Indonesia, Cina, Bangladesh, Vietnam, Pakistan, Filippine, Malesia). Questi paesi si stanno sviluppando grazie all’adozione di modelli politici, economici e scientifici di natura prettamente occidentale. Sistemi politici, capitalistici, industriali e scientifici totalmente estranei alle loro culture, alle loro tradizioni e alle loro storie. L’odiato Occidente costituisce un modello da seguire e allo stesso tempo l’agnello da sacrificare a cominciare dallo Stato di Israele che ne rappresenta, secondo loro, un’odiata particella in terra arabo-islamica. Non dimentichiamo all’interno dei paesi che hanno fondato il BRICS: Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, dal primo gennaio 2024 sono stati ufficialmente ammessi gli Emirati Arabi Uniti, l’Etiopia, l’ Iran e l’Egitto, dando vita a un gruppo che accorpa oltre il 40% della popolazione mondiale e il 37% del PIL globale. I paesi che vogliono entrare a farne parte sono: Bielorussia, Serbia e Turchia, solo per rimanere in Europa, ma, tra gli altri, ci sono anche Algeria, Nigeria, Tunisia, Bolivia, Colombia, Venezuela, Iraq, Pakistan e Vietnam. Il BRICS si propone il raggiungimento di una situazione multipolare nel mondo, di potere contare all’ONU, di potere contrastare ad armi pari il peso del dollaro ma, allo stesso tempo: la Russia invade l’Ucraina, l’Iran brama l’annientamento di Israele e la Cina minaccia Taiwan. La Corea del Nord dà manforte alla Russia sui campi di battaglia ucraini e la Cina conforta Putin con altri tipi di aiuti ma anche l’Iran lo foraggia con droni di sua progettazione e costruzione. La Russia sta avendo un ruolo sempre più importante anche nel fenomeno dei flussi migratori dall’Africa verso l’Europa.
Riconoscere lo Stato di Palestina?
Mentre dalla conferenza promossa da Francia e Arabia Saudita alle Nazioni Unite (28 luglio 2025) giunge, da parte della Lega Araba, la richiesta a Hamas di consegnare le armi all’Autorità nazionale palestinese e abbandonare la Striscia, da parte di Parigi, Londra, il Canada e la sinistra italiana si brandisce l’eventuale riconoscimento dello stato di Palestina come una minaccia rivolta nei confronti di Israele.
Il documento della Lega Araba è importante per più ragioni ma una si impone sulle altre, la presa d’atto che finché Hamas resterà a Gaza non potrà mai esserci la pace e neanche la possibilità concreta di dare vita ad un eventuale Stato palestinese.
In più occasioni si è fatto e si fa riferimento al diritto internazionale citandolo come punto di riferimento per le relazioni tra Stati ma diventa del tutto impossibile considerare il riconoscimento di uno “Stato” palestinese nulla più di un azione demagogica e priva di qualsivoglia aggancio alla realtà.
É opportuno fare presente che nel corso degli anni, dopo le guerre scatenate dal mondo arabo contro Israele e regolarmente perse, ad ogni richiesta da parte del secondo di essere riconosciuto come Stato, è sempre stato risposto picche. Se un futuribile Stato palestinese si ostina a non riconoscere il confinante Israele come Stato in che modo potrà giungere ad un tracciato concordato dei propri confini? Tuttavia, ammesso che si sblocchi l’aspetto del riconoscimento, perché Israele dovrebbe rinunciare a quei confini armistiziali della linea verde frutto di conquista di una guerra subita, quindi, di difesa della propria incolumità? Lo stesso discorso dovrebbe valere per la Giordania che, nel 1978, durante gli accordi di Camp David, con la mediazione del Presidente americano Jimmy Carter, si rifiutò di riacquisire la Cisgiordania in cambio del riconoscimento dello Stato di Israele. La disponibilità di quest’ultimo a fare un passo indietro rispetto alle conquiste della guerra dei Sei giorni si dimostrò con la restituzione del Sinai all’Egitto che ne riconobbe il diritto all’esistenza. Allo stesso tempo, l’Egitto rifiutò di riprendere Gaza, considerandola una fucina di grattacapi dovuta alla radicalizzazione dell’Olp.
La firma dell’accordo di pace con Israele costò la vita al presidente egiziano Anwar Sadat che, il 6 ottobre 1981, venne ucciso dai Fratelli Musulmani con l’accusa di avere tradito la causa palestinese per ottenere la restituzione del Sinai.
Israele non rinuncerà mai alla propria sicurezza e ai confini che la determinano, e non sarà la perdità di se di buona parte dell’Occidente che lo costringerà a farlo.