Antisemitismo, Antisionismo e Debunking

La bufala del giudice “sorella dell’attivista filopalestinese”

Il sito internet Ynetnews, versione on line in lingua inglese del quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth, ha pubblicato una notizia non verificata che sta creando notevole suggestione persino in Italia: secondo il sito, il capo giuria Maya Heller, del collegio giudicante della corte marziale che ha condannato il soldato Elor Azaria, sarebbe la sorella di un’attivista filopalestinese e convertitasi all’Islam: Tali Fahima.
La notizia, per la verità, non sarebbe neppure uno scoop del sito e nemmeno del giornale cartaceo, che non è la fonte diretta, ma si tratta di una ipotesi di qualche utente sui social network che la testata on line ha deciso di riportare con la formula dubitativa. Una sorta di “su facebook si dice che”. I classici rumors che a volte i giornali riprendono per “colorare” un articolo. Quindi non è neppure realmente una notizia di Ynetnews.
In molti, troppi, però l’hanno scambiato per uno scoop giornalistico verificato. Anche se non è stata esibita alcuna prova.
La notizia è ovviamente falsa: Maya Heller e Tali Fahima non sono sorelle o parenti. Non se ne parla da nessuna parte se non sui social network e su Ynetnews, in un articolo in cui i tre giudici che hanno condannato il soldato per omicidio preterintenzionale sono raffigurati con il baffetto alla Hitler. Un fotomontaggio in linea con il tono del pezzo.
Far credere all’opinione pubblica che la corte marziale israeliana, così come la giustizia in generale, sia “in mano agli arabi” e “ai simpatizzanti dei terroristi” è però piuttosto pericoloso per la stabilità del Paese. Ancor di più lo è diffondere la falsa credenza che i giudici di una corte marziale siano selezionati tra i filoterroristi o loro parenti.
Ci si arriva con competenza, preparazione e onorata e fedele dedizione alle forze armate. Esattamente questo è stato il percorso di un altro dei tre giudici, Karmel Wahabi, definito “giudice arabo”: è in realtà un druso con alle spalle un lungo e onorato servizio nelle fila dell’IDF, l’esercito israeliano, come gran parte dei suoi parenti.
La condanna al soldato che ha sparato al terrorista palestinese ormai a terra e inoffensivo è quindi motivata dagli atti acquisiti, tra cui l’inequivocabile video, e non certo da complicità tra la corte marziale o il governo israeliano e il terrorismo islamista. Men che meno da suggestivi rapporti di parentela ipotizzati in rete solo a causa di una vaga somiglianza.


Sono bugie pericolose anche per la stabilità di Israele. Diffonderle è sciocco, oltre che offensivo per la correttezza d’informazione.

 

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