Storia di Israele e dell’Ebraismo

La prospettiva della candidatura di Trump e le perplessità degli ebrei repubblicani

La dirompente candidatura di Donald Trump ha fatto correre molti brividi lungo le schiene dell’élite repubblicana ed ha creato molta preoccupazione tra gli ebrei repubblicani, alcuni dei quali sono talmente innervositi da voler votare Hilary Clinton se Trump vincesse la nomination. Tuttavia molti altri sostengono che nonostante la promessa di Trump di rimanere “neutrale” verso Israele e la sua apertura verso il suprematismo bianco i principi conservatori richiedano fedeltà all’eventuale candidato.

“Villano come è, spesso incosciente, e pure aggressivo come sa diventare, voterei comunque per Trump ogni giorno, piuttosto che per la Clinton”, afferma Ari Fleischer, ex portavoce del Presidente George W. Bush e membro del consiglio della Republican Jewish Coalition. Fleischer sostiene di parlare a titolo personale, e non per il Consiglio intero, che ha invece evitato ogni commento.

Per altri conservatori, Trump risulta davvero troppo sgradito, e per ovvie ragioni. Ha rifiutato di sedere apertamente a fianco di Israele, evitando durante un recente evento di condannare apertamente Israele o la Palestina per il conflitto in Medio Oriente, dichiarandosi “neutrale”. Le sue credenziali conservative sono traballanti, avendo in precedenza sostenuto il diritto all’aborto e discusso di tasse – che è una sorta di anatema per la comunità del business. La retorica di Trump ha guadagnato il supporto al magnate miliardario del settore immobiliare da parte di aree non proprio note per la loro sensibilità verso gli ebrei, incluso l’ex capo del Ku Klux Klan, David Duke, ed il leader della Nation of Islam, Louis Farrakhan.

In un editoriale di questa settimana, Willian Kristol, il rampollo neoconservatore che dirige The Weekly Standard, ha affermato che il partito dovrà essere salvato da questo “ciarlatano e demagogo”. Il Comitato Emergenza per Israele, che Kristol ha fondato, ha inoltre diffuso un video nel quale Trump parla in favore del leader siriano Bashar Assad, del presidente libico Gheddafi e di Saddam Hussein.

“Per questo i repubblicani, e forse anche altri, possono solo votare per Hilary Clinton”, scrive Robert Kagan – veterano del Dipartimento di Stato al tempo di Reagan e ora socio della Brooking Institution – in un editoriale molto diffuso dal titolo “Il partito non può più essere salvato, ma la nazione sì”.

Johnatan Tobin, editore online per il Commentary, un magazine conservatore che non prende parti sui candidati, sostiene che difficilmente Trump otterrà il supporto degli ebrei repubblicani. “Ci sono ebrei repubblicani che prestano attenzione alla politica estera, alla politica economica – il sentimento comune di questi gruppi è che Trump non parli per loro”, dice Tobin. “Il punto è: se lui fosse il candidato presidente – e per ora sembrerebbe esserlo – voterebbero per lui? Il sospetto è che molti non lo farebbero”.

Un funzionario ebreo repubblicano, che parla anonimamente, afferma che più di un elettore repubblicano voterebbe in segreto per Hilary Clinton se Donald Trump vincesse la nomination. “Preferiremmo avere dei candidati che non indulgono in demagogia, etnocentrismo e razzismo”, dice il funzionario, riferendosi al recente appoggio di Trump a Duke. Trump la scorsa settimana ha bruscamente rinnegato Duke, ma in una intervista di domenica alla CNN ha dichiarato poi di non sapere neanche chi fosse l’ex capo del Ku Klux Klan. Poi ha nuovamente sconfessato l’affaire Duke via Twitter dopo la diffusione dell’intervista, incolpando un auricolare difettoso. Il giorno successivo, la Lega Anti Diffamazione ha diffuso una lista di candidati estremisti da evitare, con Duke in testa.

Alcuni repubblicani hanno avanzato l’ipotesi che la candidatura di Trump avrebbe potuto far guadagnare voti al Congresso: essendo lui così sgradevole, è di fatto in grado di dare la presidenza di Hilary Clinton per certa, ma di contro rafforzerebbe il peso del GOP in campo legislativo, come mezzo per tenerla a freno. Tobin rimane tuttavia scettico: “Gli ebrei repubblicani, come gli altri repubblicani, potrebbero anche sostenere questa ipotesi, ma quando si parla di elezioni presidenziali, se non ti piace il tizio in cima alla lista, questo fatto affossa l’intera parte. Il mio sospetto è che gli ebrei repubblicani non ci staranno”.

Per quanto Trump possa disgustare molti ebrei repubblicani, potrebbe ancora ottenere il loro sostegno, non fosse altro per la profonda fedeltà al partito. Fred Zeiman, uomo di affari di Houston e supporter dell’ex governatore della Florida Jeb Bush, ricorda che è buona educazione mostrare lealtà al vincitore.

“Non dirò niente di negativo su Trump più che sugli altri candidati repubblicani”, afferma Zeidman “mi auguro magari che abbia un approccio diverso, ma in America c’è il voto, e se la maggior parte dei repubblicani vuole Donald Trump, così sia. Il punto della questione è che dobbiamo andare avanti e battere il candidato democratico”.

Alcuni ebrei repubblicani restano riluttanti ad esporsi. Il mega donatore repubblicano Sheldon Adelson, che ha dichiarato di essere incerto su Rubio e Cruz, si è premurato di coprire il proprio voto al ballottaggio in Nevada la scorsa settimana. Ma un reporter del Wall Street Journal ha potuto vederlo marcare la terza voce in basso sulla scheda, che includeva i nomi di Rubio, Trump e Santour, ex-governatore della Pennsylvania che ha poi abbandonato la corsa.

Trump rappresenta un vero e proprio shock per l’elettorato ebreo, che negli ultimi anni ha potuto dire di aver plasmato il partito come indiscutibilmente corretto verso Israele e aperto alle minoranze. Fleischer ha co-firmato un rapporto dopo le scorse elezioni nel quale delinea proprio questa apertura. “Trump ha dato a tante persone molti motivi per fermarsi a chiedersi se sia o meno un sostenitore di Israele”, ha detto Fleischer. “La parola neutralità ha avuto il suono di un’unghia lungo una lavagna per la comunità ebraica. È un allarme e lancia ogni tipo di allarme su chi sia Trump ed in cosa creda”.

 Norm Coleman, ex senatore repubblicano del Minnesota che parteggia per Rubio, crede che la sfida non sia ancora chiusa: “Non parlerò di ciò che non si può sapere, ma credo che il mio partito alla fine non nominerà Trump: la prospettiva che sia lui il leader è profondamente problematica. Sarebbe deleteria per il partito, danneggerebbe il paese e ci restituirebbe quattro altri anni di politica estera Clinton-Obama, che ci ha già gravemente indebolito nel mondo ed ha indebolito i nostri alleati”.

Articolo di Ron Kampeas per il Times of Israel, tradotto in italiano 

Clicca per commentare

Devi accedere per inserire un commento. Login

Rispondi

Torna Su