Editoriali

La prossima guerra di Israele

Si addensano le nubi al confine nord di Israele. Addensamento da tempo in corso e prossimo a generare quel temporale di fuoco che sarà la futura guerra di Israele. Il teatro siriano in cui l’ISIS sta progressivamente tracollando è territorio assai ghiotto per l’Iran, il cui progetto palese è di trasformarlo in una sua provincia. L’egemonia iraniana si estende tentacolarmente in Iraq, Siria, Yemen e Libano, dove Hezbollah garantisce saldamente la continuità del regime sciita. Per Teheran ora si tratta di posizionarsi sul confine col Golan e da lì prepararsi a consolidare ulteriormente la propria sfera di influenza regionale.

La geografia resta sempre la base principale per comprendere cosa bolle nella pentola politica, soprattutto in una regione ad alto tasso di sommovimento tellurico come il Medioriente. Come ci ricorda Emil Avdaliani, docente di Storia e di Relazioni Internazionali all’Università di Tiblisi, “Gli imperi e le nazioni sono sorti e caduti nel corso della storia. I grandi leader sono stati seguiti da leader minori, gli sviluppi economici variano, ciò che resta costante è la geografia”. In questo senso, spiega, “La prospettiva strategica dell’Iran è rimasta coerente sia durante la sua storia antica che durante quella medioevale. Gli achemenidi, i parti, i sasanidi, i safavidi e le dinastie successive hanno tutti cercato di dominare l’Iraq, il Caucaso del sud, l’Asia Centrale e parti dell’Afghanistan. Solo l’impero achemenide estese i suoi confini in tutte le direzioni, giungendo fino al Mediterraneo e al Mar Nero. Quest’ultimo spiega il coinvolgimento di Teheran in Siria e in Libano e la corsa per estendere la propria presa sulla costa mediterranea. Anche il coinvolgimento iraniano in Yemen, il quale può apparire fuori dalla logica, ha un precedente: nel 570 D.C. lo scià iraniano Khusro Anushirwan invase il sud della penisola arabica”.

Le considerazioni di Avdaliani ci riportano al perno del discorso che Benjamin Netanyahu tenne al Congresso degli Stati Uniti il 3 marzo del 2015 in vista dell’accordo sul nucleare che Barack Obama si apprestava a siglare con Teheran. Fu in quella occasione che egli disse, “Dobbiamo sempre ricordare che il maggiore pericolo che deve fronteggiare il mondo è il matrimonio tra l’Islam militante e gli ordigni nucleari. Sconfiggere l’ISIS ma permettere all’Iran di avere gli ordigni nucleari significa vincere una battaglia ma perdere la guerra”, evidenziando la pericolosità ben maggiore presente e futura dell’Iran rispetto allo Stato Islamico.

Ora che la vittoria sull’ISIS in Siria è prossima, si profila alle spalle della sua disfatta il pericolo iraniano paventato da Netanyahu, pericolo potenziato economicamente in virtù dell’accordo fortissimamente voluto da Obama. Il combustibile economico è un propellente assai efficace per le mire espansionistiche.

Il corrispettivo di quanto sta accadendo sul teatro di guerra siriano è il cospicuo incremento di truppe di Hezbollah che si sono radicate nel sud del Libano. Ed è al Libano che guarda l’Iran per incrementare e rinnovare il proprio arsenale costruendo nuove fabbriche per la produzione di missili e non facendosene mancare una anche in Siria, dove, secondo le informazioni più aggiornate, è prevista la costruzione di una base missilistica. Di pari passo sta procedendo il progetto di costruire un porto marittimo che gli consenta uno sbocco sul Mediterraneo.

Tutto ciò sta avvenendo con la benedizione di Bashar Assad, (il quale vede nell’Iran una garanzia per il mantenimento del proprio potere), il consenso russo e la disastrosa miopia e consueta, ormai, latitanza americana.

L’accordo fatto dall’Amministrazione Trump con i russi perché tutelino l’area garantendo che le milizie sciite rispettino le distanze delle zone cuscinetto dal confine israeliano (inizialmente di 20 miglia, successivamente ridotte a 10), certifica di fatto il disimpegno americano relativo alla sicurezza dello stato ebraico.

E’ di tutta evidenza come questo scenario rappresenti per Israele una seria minaccia. Il recente incontro di Netanyahu con Putin, avvenuto a Sochi, è stato centrato fondamentalmente su questa questione, con un avvertimento esplicito da parte del premier israeliano, Israele non potrà che intervenire nel momento in cui riterrà che la minaccia è diventata troppo incombente.

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