Editoriali

L’attentato di Gerusalemme e le sue implicazioni

Non ci possono essere dubbi sul fatto che l’atto terroristico che ha avuto luogo stamattina all’esterno del comprensorio del Monte del Tempio e della Spianata delle Moschee a Gerusalemme adiacente la Porta dei Leoni, da parte di tre arabi-israeliani provenienti dal villaggio di Um-el-Fahem, abbia un preciso obiettivo, quello di mobilitare una risposta rilevante da parte del mondo arabo.

I tre terroristi responsabili della morte di due poliziotti israeliani-drusi e del ferimento di un terzo, colpiti utilizzando una mitraglietta a basso costo Carlo, erano perfettamente consapevoli che difficilmente sarebbero sopravvissuti all’attentato. Dopo avere sparato ai poliziotti di vigilanza sono rientrati all’interno del comprensorio. Hanno dunque scelto di morire sul sagrato del terzo sito sacro dell’Islam. La scelta dell’attentato, il venerdì di preghiera, e l’inevitabile intervento dei militari israeliani che, per ragioni di sicurezza, hanno chiuso l’accesso al sito ai fedeli musulmani obbligandoli a pregare al suo esterno, rappresenta il corollario inevitabile e prevedibilmente premeditato dell’azione del commando. I terroristi, imparentati tra di loro, due dei quali appena diciannovenni, erano membri del Ramo Nord del Partito Islamico, la formazione musulmana operativa in Israele, che lo Stato ebraico ha dichiarato illegale nel 2015 a causa dei suoi legami stretti con Hamas e i Fratelli Musulmani.

L’obbiettivo scoperto dell’attentato è quello di provocare una reazione dura da parte di Israele in modo di poterlo accusare di volere strumentalizzare la situazione per modificare lo status quo sul Monte del Tempio-Spianata delle Moschee, in vigore dal 1967. Un vecchio cavallo di battaglia utilizzato anche da Abu Mazen nel 2015, quando lanciò la medesima accusa invocando il “sangue puro dei martiri” da spargere a difesa della moschea di Al Aqsa, a suo dire contaminata dagli ebrei, dando così vita alla cosiddetta Intifada dei coltelli.

Abu Mazen ha condannato l’attentato, affrettandosi poi a chiedere a Israele la riapertura del sito non dimenticandosi di sottolineare le conseguenze di un eventuale tentativo israeliano di modificarne lo status quo vigente. Come sempre, quando si tratta del vecchio capobastone di Ramallah, risplende la sua doppiezza.

L’accusa nei confronti degli ebrei di volere impossessarsi del sito sacro all’Islam venne lanciata per la prima volta negli anni ’30 dal Mufti filonazista di Gerusalemme Amin al-Husseini. Ci troviamo dunque davanti a un vecchio canovaccio che si ripropone. Sobillare la folla araba a una rivolta contro quelli che una volta erano gli ebrei e che oggi sono diventati gli israeliani. Non è certo un caso (nulla in questo episodio calcolato al millimetro lo è) se il Mufti attuale di Gerusalemme, Hussein fermato temporaneamente dalle forze dell’ordine israeliane, nel suo sermone ha incitato la massa araba a invadere la Spianata accusando Israele di aggressione.

L’attentato, di cui non è ancora chiara la matrice, non essendoci al momento alcuna rivendicazione ufficiale, ha un alto valore simbolico proprio per il luogo dove è accaduto e per le potenziali pericolose ripercussioni regionali che potrebbe generare.

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