Interviste

Lia Quartapelle: “Contributo Brigata Ebraica da ricordare. E stavolta diremo No alla risoluzione Unesco”

Lia Quartapelle è una giovane e molto attiva deputata del Pd. Milanese, capogruppo in Commissione Affari Esteri, economista, esperta in materia internazionale e da sempre attenta alle posizioni di Israele. In questi giorni, proprio alla vigilia del 25 aprile, è stata protagonista della proposta di legge, poi approvata all’unanimità, relativa alla concessione di una medaglia d’oro al valor militare alla Brigata ebraica. Partiamo proprio dalle ultime polemiche relative alla Festa della Liberazione.

Onorevole Quartapelle, siamo prossimi al 25 aprile. Anche quest’anno non mancano le polemiche legate alla partecipazione della Brigata ebraica al corteo ufficiale organizzato dall’Anpi. Non riusciamo proprio ad uscire da questa brutta vicenda e dalle strumentalizzazioni che vengono fatte?

La proposta di legge per la concessione della medaglia d’oro al valor militare alla Brigata ebraica, approvata all’unanimità da tutte le forze politiche il 20 aprile in Commissione difesa alla Camera, ha proprio questo obiettivo: creare una memoria storica condivisa da tutte le forze politiche sul contributo storico dei 5mila volontari della Brigata ebraica alla lotta di Liberazione. Il primo passaggio alla Camera è stato molto positivo in questo senso perché, appunto, siamo riusciti a costruire un consenso unanime intorno alla proposta e mi auguro che i prossimi passaggi confermino che il Parlamento in modo unitario vuole onorare la memoria e lo straordinario coraggio di quei ragazzi, volontari per la libertà e la pace.

Il premier Gentiloni, da ministro degli Esteri, promise che alla prossima risoluzione Unesco anti-israeliana su Gerusalemme l’Italia avrebbe modificato il proprio voto di astensione per esprimere un parere contrario. Il primo maggio capiremo se questo intendimento sarà mantenuto. Qual è la sua opinione in merito? 

La formulazione della risoluzione Unesco su Gerusalemme era e resta inaccettabile perché utilizzando solo i toponimi arabi precludeva la possibilità di riconoscere la pluralità religiosa che costituisce la ricchezza di Gerusalemme. Per questo Gentiloni da ministro degli Esteri fece bene ad annunciare una revisione del nostro comportamento di voto, revisione che sono certa sarà confermata nel voto di maggio.

A sinistra, come sa, le posizioni sulla questione israelo-palestinese sono diversificate. Le divisioni interne sono molte ed esiste una propensione filo-palestinese che, in alcuni casi, è prodromica ad atteggiamenti antiebraici. La sua onestà intellettuale è nota. Cosa ne pensa? 

Parlo per il mio partito, il Pd. La nostra posizione è sempre stata di sostegno a tutte le iniziative che spingessero per l’adozione di una soluzione di pace basata sull’idea di due popoli e due Stati. Negli ultimi anni in particolare è stato fatto un lavoro che ci permette oggi di essere tra le poche forze politiche con una posizione equilibrata e totalmente condivisa sul tema. Altre posizioni, tipiche di alcune frange estreme, molto filo-palestinesi sono pericolose perché in alcuni casi esse escludono in modo surrettizio il mutuo riconoscimento, arrivando fino a negare il diritto a esistere di Israele: ma senza mutuo riconoscimento non ci può essere sicurezza e quindi pace.




Terrorismo internazionale: l’Italia appare ben attrezzata dal punto di vista della sicurezza, ma nessun Paese è purtroppo a rischio zero. Qual è secondo lei il rapporto tra Islam e terrorismo? Cosa possiamo fare ancora per migliorare la capacità di prevenzione dagli attacchi?

Il terrorismo, o meglio la minaccia del terrorismo, che ci troviamo ad affrontare è una minaccia esistenziale per le nostre società. Va quindi definito bene che cosa è questo terrorismo: un terrorismo di matrice islamista che, ammantandosi di religione, rischia di mettere in discussione come funzionano le nostre società. Per sconfiggerlo dobbiamo avere ben chiaro che questo terrorismo trova una giustificazione in una lettura distorta dell’islam, è quindi è solo coinvolgendo i musulmani che vivono nelle nostre società che riusciremo a contrastarlo. La demonizzazione indiscriminata del musulmano non aiuta a risolvere la questione, anzi rischia di radicalizzarla: riconoscere le radici religiose di questo tipo di terrorismo deve aiutarci a discriminare e creare regole di convivenza utili a difendere l’essenza delle nostre società, rendendole insieme più inclusive e quindi più forti.

Un’ultima domanda sul dramma della Siria, che è sotto gli occhi di tutti. Lei è già pubblicamente intervenuta sul tema. Ritiene che l’Europa possa e debba fare di più? Quale ruolo può e deve avere l’Italia? 

Il dramma della Siria è una guerra civile, scatenata da un regime spaventato di perdere il potere, e poi trasformatosi in guerra per procura tra le potenze regionali  che dura da sei anni e va sempre di più complicandosi. La soluzione di questo rompicapo geopolitico – che contribuisce fortemente al fatto che la situazione globale dei rifugiati sia la peggiore crisi umanitaria da dopo la Seconda guerra mondiale – deve essere quella di una soluzione politica. L’Unione europea, che risente direttamente delle conseguenze della guerra civile siriana, deve essere più presente al tavolo delle negoziazioni. Chiarendosi su tre questioni: esclusione di Assad dalla soluzione pacifica; attenzione da subito alla crisi umanitaria; coinvolgimento degli attori regionali, fondamentali per la soluzione.

 Intervista di Massimo Montebove  (con la collaborazione di Riccardo Ghezzi)

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