La guerra di Gaza ha posto per la prima volta della storia la questione dei bambini uccisi. Ne abbiamo scritto in più occasioni. La macchina immensa della propaganda (e la guerra a Gaza è la più mediatizzata a livello planetario) ha costantemente e ossessivamente insistito sulla morte dei bambini a Gaza come conseguenza dell’offensiva israeliana, elevando il numero delle vittime a cifre inverificabili, tutte unicamente fornite da Hamas. Ma c’è da aggiungere un altro aspetto. Il concetto di “bambino” (e di “bambina”) per la mentalità islamica è diverso da quello che si ha in Occidente, ed è particolarmente diverso per Hamas. Quando, durante la trasmissione È sempre Cartabianca, Eyal Mizrahi, presidente dell’Associazione Amici di Israele, ha chiesto a un esagitato Ezio Iacchetti, comico e presentatore, che tra le altre cose accusava Israele di sterminare i bambini “Definiscimi ‘bambino'”, ha sottolineato un aspetto che non può essere sottaciuto.
Per Hamas, dai cinque anni in su, i bambini devono essere programmati per diventare feroci combattenti, predisposti per uccidere gli ebrei. In questo senso va ricordato il kindergarten retto dall’associazione di beneficienza al Jamia al Islamiya, dove, durante la cerimonia di consegna dei diplomi del 2002 apparve un esercito in miniatura di milleseicento bambini in età prescolare addobbati in uniforme e dotati di fucili finti. Chissà se qualcuno di loro, diventato adulto, ha poi partecipato alla mattanza del 7 ottobre.
Sì, le prime vittime di questa guerra sono i bambini, vittime di una cultura sanguinaria dell’odio, sottratti alla loro infanzia per essere trasformati successivamente in terroristi. Ogni bambino morto a Gaza è una tragedia, ma è altrettanto tragica la programmazione che di loro fa Hamas.
