Editoriali

Mi sono messo per un attimo nei panni di uno di quei borghesucci di estrema sinistra

Mi sono messo per un attimo nei panni di uno di quei borghesucci di sinistra sinistra che dicono di stare al fianco del “popolo palestinese che lotta contro l’imperialismo e il sionismo” e ne sono uscito traumatizzato.

Quel popolo che lotta… Il nazionalsocialismo della pubertà è dimenticato, il nazionalismo pansiriano e panarabo un errore di gioventù, del socialismo dell’era sovietica ne è diventato il simbolo il miliardario egiziano che di nome faceva Arafat, l’antisemitismo è sempre stato e rimane una congiura dei sionisti, gli attentati in mezzo mondo incidenti di percorso, l’islamismo di ieri e di oggi uno sfondo sfuocato, i tanti rifiuti arabi punti interrogativi senza risposte, le tante guerre scatenate – sante o non sante – guerre di liberazione. La “Palestina” è la non-nazione inventata dall’uomo con più liberatori perdenti della storia di Allah. Quanto a questi e alla sua religione, in fondo anche Marx lo diceva: «La miseria religiosa è insieme l’espressione della miseria reale e la protesta contro la miseria reale. La religione è il sospiro della creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore così come è lo spirito di una condizione senza spirito. È l’oppio dei popoli». Che almeno possa sospirare, il miserabile. Forse lo penserà, ma non lo dice, il borghesuccio.

I “partigiani” di oggi sventolano svastiche. I “poveri” di oggi sono sostenuti da almeno una cinquantina di paesi islamici, sei dei quali si trovano nella top ten per riserve petrolifere presenti sul Pianeta Terra. Per tacere dell’Unione Europea, prima finanziatrice di quel pezzo di terra asiatico. La “resistenza” cerca di invadere e occupare un paese straniero. L’”occupante” non è presente là dove dovrebbe occupare, l’”occupato” invece è presente sia di qua che di là. Vedono l’”apartheid” in una democrazia multiculturale e non la sharia della “loro terra” mai promessa. La “prigione a cielo aperto” è dotata di hotel a 5 stelle, parchi giochi e centinaia di postazioni di lancio per razzi. Artigianali – direbbe quell’esemplare da Campidoglio che sta a Bruxelles – ma non è vero e pare ammazzino ugualmente. Alle “manifestazioni pacifiche” non compare nemmeno un manifestante, né cartelli o striscioni. In compenso abbondano mitragliette, esplosivi, molotov, asce, coltelli, pietre, volti coperti, fiamme e fumo. Nero come la pece, nero come Hamas. I “canti eroici” sono un po’ datati, si ispirano al VII secolo (il nostro VII secolo), ma almeno il messaggio è chiaro. Alle “marce del ritorno” partecipano “manifestanti” che non hanno mai messo piede, così come i loro genitori e forse anche i nonni, nel posto in cui vorrebbero tornare. Ma intanto si fanno nuovi appelli a mettersi in marcia: quelli del sud vadano verso il nord, quelli del nord vadano verso il sud. Se mai si dovessero incontrare si scannerebbero. Lo hanno già fatto, lo rifaranno.




Le case vecchie cento e più anni abbandonate chissà dove si dovrebbero aprire con chiavi realizzate su richiesta nel 2018. Sembrerebbe l’ennesima patacca, ma la cautela ci spinge ad aspettare fiduciosi la prova della serratura. La dottrina “due popoli due stati” è costantemente sostenuta da cartine in cui ne compare uno solo di stato. Bianco, nero, rosso e verde. I “prigionieri” hanno la sola colpa di aver compiuto un attentato terroristico o di aver ammazzato qualcuno. I “martiri” vengono ricordati per aver compiuto l’intero percorso: attentato, morti, morte. Ma il cuore del borghesuccio, intristito dalle perdite, si rianima subito. Sono tutti, prigionieri e martiri, proletariamente onorati: con i soldi. La dirigenza degli oppressi lancia proclami culinari non esattamente marxisti (“mangeremo i fegati degli israeliani”). O forse sì, ma sono camerati che sbagliano. Quello che non sbaglia, al secolo Abu Mazen, invece è più attento all’aspetto igienico della questione (“i piedi lerci degli ebrei”). Nel dubbio, tutti i leader, dal primo all’ultimo, si intascano i soldi dei fessi. I loro fessi, noi fessi. Tengono famiglia. Ci sono “coloni” ma non una lontana madrepatria dalla quale partire o un giorno tornare. Anzi, pare proprio siano già a casa loro. Ci sono “colonie” ma non “colonizzati”. Non c’è sfruttamento alcuno, solo duro lavoro. Chi vuole partecipare è il benvenuto. Come un tempo quando per fronteggiare l’ideologia imperialista si costruivano i kibbutzim e i moshavim. Pare ne esistano ancora, ma dalla parte sbagliata.

Gli “eroici combattenti” scavano tunnel sottoterra per entrare di nascosto in casa altrui e rapire o uccidere. I “coraggiosi militanti” utilizzano bambini, donne, anziani, disabili per farsi scudo della debolezza. La propria e la loro. Scuole, ospedali e moschee per celare il proprio “coraggio” al nemico. I “guerriglieri per la libertà” usano cani e asini e cammelli come esplosivi. Le “nobili richieste” alle nazioni imperialiste hanno fatto sì che quella briciola di terra ricevesse negli anni più soldi dell’Europa intera, con il piano Marshall, dopo la Seconda Guerra Mondiale. E sono ancora ridotti peggio dell’Europa di prima della Seconda Guerra Mondiale. Bruciano copertoni e bandiere, perché i best seller di quei luoghi sono il Mein Kampf e i Protocolli dei Savi di Sion: e questi non si bruciano come in quei bei falò di un tempo, si imparano a memoria.




L’aspetto religioso, come detto, rimane sullo sfondo. Non sono loro che. Siamo noi che. Anzi, la religione non c’entra proprio nulla. Ed è proprio questa l’unica consolazione per i borghesucci di sinistra sinistra. Questi qua – i loro idoli – sono tutti atei e antireligiosi come ogni buon compagno dovrebbe sempre essere. Infatti quando si lanciano all’assalto del confine o quando sgozzano qualcuno o poco prima di farsi saltare in aria su un autobus o in un locale affollato urlano “Allahu akbar”, che in arabo, i borghesucci ce lo insegnano, significa “hasta la victoria”. O al limite: scusate, ero depresso oppresso e non sapevo come venirne fuori. Esiste dunque oggi un sogno più nobile per un borghesuccio di sinistra sinistra? Esiste qualcosa di meglio di un perdente che odia così tanto se stesso da rinunciare al suo bene più prezioso (la vita, l’anima), cercando di infliggere morte e dolore al prossimo? Il borghesuccio certamente scuote il capo. Noi non capiremo mai. Ma cosa c’è ancora da capire?

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