Un rapporto delle Nazioni Unite ha concluso che Israele ha commesso atti di genocidio contro i palestinesi di Gaza dal 7 ottobre 2023. Il Ministero degli Esteri ha denunciato il rapporto come «menzogne di Hamas riciclate»
La Commissione internazionale indipendente d’inchiesta delle Nazioni Unite sui Territori palestinesi occupati, compresa Gerusalemme Est e Israele, ha diffuso un rapporto che scuote il dibattito internazionale: secondo i tre relatori, vi sarebbero «fondati motivi» per ritenere che Israele abbia commesso atti di genocidio contro i palestinesi di Gaza dal 7 ottobre 2023. L’organismo, istituito nel 2021 come sussidiario del Consiglio Onu per i diritti umani, è stato incaricato di indagare sulle presunte violazioni del diritto internazionale umanitario nella regione. Nell’ultima relazione, la Commissione sostiene che Israele avrebbe compiuto quattro atti vietati dalla Convenzione sul genocidio: uccisioni sistematiche, gravi danni fisici e mentali, inflizione di condizioni di vita intollerabili e misure tese a impedire nuove nascite. Per i commissari, tali atti sarebbero stati realizzati dalle autorità e dalle forze di sicurezza israeliane con l’«intento specifico» di annientare i palestinesi di Gaza. Le prove citate comprendono episodi di violenza sistematica e su larga scala, dalla distruzione di abitazioni e patrimonio culturale all’uso della carestia come strumento bellico, fino alla negazione dell’assistenza sanitaria e ad abusi sessuali e di genere.Il genocidio, definito dall’Onu «il crimine dei crimini», richiede di dimostrare non solo l’esistenza di violazioni gravi, ma soprattutto il dolo speciale: la volontà di eliminare un gruppo protetto. Secondo la Commissione, tale volontà si dedurrebbe «unicamente» dal comportamento delle autorità israeliane e dalle dichiarazioni pubbliche dei vertici dello Stato, compreso il Presidente, il Primo ministro e il Ministro della Difesa.
Le accuse e il contesto legale
Il rapporto arriva in un quadro internazionale già segnato da tensioni legali e diplomatiche. Nel dicembre 2023 il Sudafrica aveva portato Israele davanti alla Corte Internazionale di Giustizia, accusandolo di violare la Convenzione sul genocidio. La Corte ha concesso misure provvisorie, mentre Amnesty International e l’Associazione Internazionale degli Studiosi del Genocidio hanno sostenuto le accuse in rapporti successivi. Ad agosto 2025, anche l’Associazione Internazionale degli Studiosi del Genocidio ha adottato una risoluzione che definisce le operazioni israeliane a Gaza come genocidio a tutti gli effetti. E solo un mese dopo, la relatrice speciale Onu per i Territori palestinesi occupati, Francesca Albanese, ha invocato un intervento straordinario dell’Assemblea Generale, parlando di «carestia di massa» e «prove schiaccianti» di genocidio. Tuttavia, Albanese è stata a sua volta ampiamente criticata per dichiarazioni considerate antisemite e per un approccio ritenuto squilibrato a favore della causa palestinese. Un’accusa simile grava anche sui tre relatori della Commissione d’inchiesta – Navi Pillay, Chris Sidoti e Miloon Kothari – già contestati in passato per prese di posizione giudicate ostili allo Stato ebraico. Kothari, in particolare, è stato al centro di polemiche per aver parlato di «lobby ebraica» che controllerebbe i media internazionali, suscitando condanne ufficiali da parte di numerosi Paesi occidentali. Sidoti, dal canto suo, ha minimizzato le accuse di antisemitismo, definendole «come riso lanciato a un matrimonio». Dichiarazioni che, sommate alle prese di posizione di Albanese, sollevano seri interrogativi sulla credibilità e sull’imparzialità dei relatori chiamati a stilare un documento di tale portata.
La dura replica di Israele
Il Ministero degli Esteri israeliano ha reagito con estrema durezza. In un comunicato diffuso sui social ha bollato il documento come «falso rapporto della Commissione Pillay, Sidoti e Kothari», accusando i tre autori di «agire come rappresentanti di Hamas» e ricordando che le loro «orribili dichiarazioni sugli ebrei sono state condannate in tutto il mondo». Secondo Tel Aviv, «il rapporto si fonda interamente su menzogne di Hamas, riciclate e ripetute senza alcuna verifica indipendente». A sostegno, viene citato uno studio del BESA Center, think tank israeliano indipendente, che avrebbe «confutato ogni singola falsa affermazione riguardante il genocidio». Israele ha ribaltato l’accusa, sottolineando che il 7 ottobre 2023 Hamas ha compiuto un vero e proprio tentativo di genocidio «uccidendo 1.200 persone, violentando donne, bruciando famiglie vive e dichiarando l’intenzione di eliminare ogni ebreo». Inoltre, il governo israeliano ha fatto notare che i tre membri della Commissione si sono recentemente dimessi, definendo la circostanza «una conferma ulteriore dell’inconsistenza del loro lavoro» e chiedendo «l’immediata abolizione della Commissione stessa».
Le implicazioni internazionali
Il documento Onu non si limita a registrare presunte violazioni: chiede ad Israele di cessare immediatamente ogni azione definita «genocida», imporre un cessate il fuoco permanente e garantire accesso illimitato agli aiuti umanitari. Allo stesso tempo, invita gli altri Stati a sospendere la fornitura di armi e carburanti destinati all’aviazione militare israeliana, per non incorrere nel rischio di complicità. Una raccomandazione che ha diviso le cancellerie. L’Irlanda ha adottato misure concrete in linea con l’appello, mentre il Regno Unito ha rigettato le accuse dopo aver condotto una propria valutazione, come dichiarato dall’ex ministro degli Esteri David Lammy in una lettera al Parlamento.
Un rapporto sotto accusa
La questione, dunque, va ben oltre il piano giudiziario: rischia di trasformarsi in un nuovo terreno di scontro diplomatico e politico tra chi considera Israele responsabile di crimini internazionali e chi, al contrario, denuncia una campagna ostile orchestrata in sede Onu da figure giudicate non neutrali. Con il conflitto a Gaza ancora in corso, il rischio è che la contrapposizione si radicalizzi ulteriormente: da una parte l’accusa pesantissima di genocidio, dall’altra la difesa di Israele che punta il dito contro l’antisemitismo dei relatori e contro la strumentalizzazione politica delle Nazioni Unite. In questo contesto, il nodo centrale rimane proprio la credibilità dei relatori. Le polemiche passate di Albanese, Kothari e Sidoti pesano come macigni sulla percezione del loro lavoro: agli occhi di molte cancellerie occidentali, un rapporto firmato da figure già accusate di antisemitismo difficilmente potrà essere considerato neutrale.