Nel marzo 1899 Yousef Dia Al-Khalidi, un illustre politico musulmano dell’Impero Ottomano nato a Gerusalemme, scrisse una lettera a Zadoc Kahn, capo rabbino in Francia, e gli disse: “L’idea in se è logica, va bene ed è giusta. Chi può mettere in dubbio il diritto degli ebrei in Palestina? Buon Dio, storicamente è davvero la vostra terra. Che magnifico spettacolo sarebbe quando un popolo pieno di risorse come quello ebraico diventi indipendente di nuovo, onorato e gratificato, in grado di poter dare un contributo all’umanità bisognosa di aiuto nel campo morale, come in passato”.
Sembra che molto sia cambiato in 116 anni.
Nell’ottobre 2015 Ilan Pappe, direttore del Centro Europeo di Studi sulla Palestina all’Università di Exeter, affermò ad Al-Jazeera che la ragione alla base della violenza e del terrorismo palestinese nei confronti degli israeliani è l’occupazione e l’espansione della colonizzazione da parte di ebrei. Ciò che è ancor più preoccupante, però, è un’altra affermazione di Pappe sul tema: “più di un secolo di colonizzazione [israeliana, ndr] non ha cambiato nulla e ha negato umanità e il diritto di avere la terra agli abitanti indigeni, i palestinesi”. In questo caso non si riferiva al controllo dell’esercito israeliano in Cisgiordania bensì all’esistenza vera e propria dello stato ebraico nella terra di Palestina. In base alla sua ideologia, quindi, gli ebrei sono stranieri in Terra Santa e i palestinesi, invece, i veri autoctoni.
Nel suo libro, Catch the Jew! (Prendi l’ebreo!), Tuvia Tenenbom descrive il suo incontro a Ramallah con Hanan Ashrawi, un legislatore palestinese, ricercatrice e membro del comitato esecutivo dell’OLP. Racconta a Tuvia come i palestinesi hanno vissuto nella loro storica terra per migliaia di anni e tutto d’un tratto, a ciel sereno, delle persone hanno incominciato ad arrivare e gli hanno detto che avrebbero dovuto rinunciare a maggior parte del loro territorio a causa della formazione di un altro stato a pochi passi di distanza da loro, ossia Israele. Un altro esempio sono le frequenti affermazioni fatte dal precedente Ministro della religione palestinese, Mahmoud Al-Habbash, che rivendicava come i palestinesi avessero vissuto su questa terra per 5.000 anni. Questa affermazione, assieme a quelle sopra, sono solo alcune di quelle usate dalla propaganda per rappresentare i palestinesi come i veri indigeni.
Per poter determinare chi siano i veri abitanti autoctoni andiamo a controllare il diritto internazionale. Secondo le Nazioni Unite la definizione di popolo indigeno è la seguente:
Sono indigene quelle comunità, popoli o nazioni che avendo una continuità storica con società pre-coloniali che si svilupparono sui loro territori prima delle invasioni, si considerano distinte da altri settori della società che hanno finito per prevalere su quei territori o su parte di essi. Esse formano, attualmente, settori non dominanti della società che prevale sul territorio o su parti di esso.
In base a questa definizione una persona potrebbe credere che se i palestinesi sono effettivamente il popolo indigeno in questa terra, rivedendo le dinamiche storiche in questa zona tra il XVII e il XIX secolo, per esempio, dovremmo trovare palestinesi nativi in numero elevato che vivono in più comunità. Le prove che abbiamo a nostra disposizione, però, attestano il contrario.
Nel 1695 Adrian Reland, accademico, geografo, cartografo e filologo olandese, venne in Palestina ed esaminò circa 2500 posti citati dalla Bibbia o dal Mishnah dove vivevano persone. Le sue conclusioni furono le seguenti: prima di tutto le terre erano desolate. Quasi tutti gli abitanti erano concentrati nelle città di Gerusalemme, Acre, Safed, Jaffa, Tiberiade e Gaza, e la maggior parte di loro erano ebrei e cristiani. La maggioranza demografica degli ebrei a Gerusalemme è arrivata fino ai giorni nostri. In seconda battuta, non un singolo insediamento portava un nome con origini arabe. Tutti i nomi derivavano dall’ebraico, dal greco o dal latino. Anche Ramallah (l’attuale capitale per i palestinesi) era chiamata Bet’allah dal nome ebraico BeitEl (Casa di Dio).
Inoltre, non c’è nessuna prova dell’eredità culturale araba nell’area. Il libro rafforza il legame e l’affinità esistente tra la terra di Israele e gli ebrei e l’assenza dell’appartenenza degli arabi ad essa.
172 anni dopo, sembra che niente sia significativamente cambiato quando il noto scrittore Mark Twain visitò la Palestina nel 1867. Nelle sue lettere descrisse cosa vide: “una terra desolata, fertile abbastanza ma lasciata interamente in balia ad erbacce in un’espansione addolorata e silenziosa… Qui c’è una desolazione che nemmeno l’immaginazione può migliorare con lo sfarzo della vita e dell’azione… Non abbiamo mai visto una persona durante tutto il nostro cammino… Difficile fu vedere un albero o un cespuglio. Persino gli ulivi e i cactus, amici dei terreni più aridi, erano rari in quel paese”.
23 anni più tardi, nel 1890, una ricerca britannica stimò il totale degli abitanti arabi in Palestina: 473.000. Sembra chiaro che questo aumento repentino della popolazione araba è giustificata dall’aumento dell’attività economica in Palestina, oltre ad un relativo liberalismo da parte dei leader dell’Impero Ottomano e un aumento dell’influenza in Terra Santa della potenza occidentale della Russia. Molto interessante è il contemporaneo aumento dell’immigrazione ebraica in Palestina (forse una risposta araba all’aumento della popolazione ebrea?).
Andando avanti nel tempo, nel 1915 la popolazione araba crebbe fino a 590.000 persone per una crescita annuale pari allo 0.8%. In base a questo tasso di crescita, nel 1947 la popolazione araba avrebbe dovuto essere circa di 785.000 ma la cifra, invece, è di 1.3 milioni. Com’è possibile?
La risposta è semplice: folle migratorie arrivate da altri paesi arabi. Quando l’impero britannico prese sotto il suo controllo la Palestina dall’Impero Ottomano, l’economia iniziò a crescere, vennero costruite ferrovie e iniziarono ad emergere nuove opportunità. Chi non avrebbe voluto andare e vivere sotto i britannici, dove molte occasioni stavano crescendo?
Perché tutte queste informazioni sono rilevanti? Un’altra volta la risposta è semplice. Al contrario di ciò che molti affermano, ossia che i palestinesi hanno vissuto qui per secoli e sono quindi il popolo indigeno della Palestina, sembra invece che la maggior parte di loro vennero in questa terra a cavallo tra il XIX e il XX secolo. Secondo le Nazioni Unite, un popolo è considerato indigeno nella sua terra se si dimostra una continuità storica su di essa. La domanda quindi è: come si può definire un popolo autoctono quando la maggior parte di esso ha vissuto in suddetta terra solo per 3 o 4 generazioni?
I critici probabilmente direbbero che la maggior parte degli ebrei che vivono qui ora sono arrivati anch’essi in Israele da poche generazioni. Ma al contrario dei palestinesi, gli ebrei hanno continuato a vivere qui per più di 3.000 anni, arrivando fino ad oggi. Le prove possono essere trovate ovunque: nelle scritture, nei siti archeologici, nei manufatti e in molto altro. I critici potrebbero inoltre affermare che la Bibbia non è un libro di storia. Quest’ultima affermazione è opinabile da molti ma in questo caso si suggerisce di leggere l’incredibile storia della scoperta dell’altare di Joshua sul monte Ebal, fatta da un archeologo israeliano, Adam Zertal.
“Farai per me un altare di terra e, sopra, offrirai i tuoi olocausti e i tuoi sacrifici di comunione, le tue pecore e i tuoi buoi; in ogni luogo dove io vorrò ricordare il mio nome, verrò a te e ti benedirò”
“Se tu mi fai un altare di pietra, non lo costruirai con pietra tagliata, perché alzando la tua lama su di essa, tu la renderesti profana. Non salirai sul mio altare per mezzo di gradini, perché là non si scopra la tua nudità”.
In più, oltre ad ulteriori prove archeologiche sulla continuità storica degli ebrei in questa terra, un altro incredibile reperto ritrovato nella Città di David a Gerusalemme sono le due bulle di argilla con iscritti due nomi biblici, originari del periodo del Primo Templio. I nomi che riportano sono identici al testo biblico che si riferisce al medesimo periodo (erano due ufficiali).
Queste importanti scoperte archeologiche si ricollegano quasi completamente alle descrizioni della Bibbia e si rifanno al 1300 D.C.
Tornando a ciò che venne affermato nelle prime righe dell’articolo, i critici potrebbero sostenere che l’affermazione a favore degli ebrei pronunciata da Al-Khalidi fu solo il punto di vista di un eccentrico musulmano. Ebbene, non è poi così eccentrica come visione: il Corano, libro sacro dell’Islam, afferma chiaramente che la Terra Santa appartiene al popolo ebraico. Controllate voi stessi
Credete ancora che gli ebrei siano stranieri in questa terra?
Tradotto dall’articolo di Itai Hacham per il Times of Israel
