Durante i primi anni della Guerra Fredda, il maresciallo Josip Broz Tito fu un improbabile alleato per Harry Truman e l’Occidente anticomunista guidato dagli Stati Uniti. Tito salì al potere in Jugoslavia da comunista, ovviamente, e si comportò come tale: fattorie collettive, processi farsa paranoici e altri tratti tipici delle dittature comuniste arrivarono in Jugoslavia dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Ma Tito voleva essere più di una semplice marionetta di Mosca, e Truman sfruttò la crepa nella sfera sovietica. Gli Stati Uniti fornirono a Tito armi e aiuti nonostante la sua leadership non democratica e il suo desiderio di essere corteggiato sia dall’Est che dall’Ovest perché, geograficamente, così facendo estendevano la sfera d’influenza della NATO e limitavano la prossimità sovietica. Considerando il ruolo che la NATO avrebbe svolto nel corso del successivo mezzo secolo, il compromesso di Truman era chiaramente difendibile, anche se costoso.
Gran parte del dibattito sull’attuale rapporto tra Stati Uniti e Qatar, un nemico-amico strategicamente posizionato ma in ultima analisi inaffidabile, riecheggia il discorso su Truman e Tito. Ma al Qatar manca l’ingrediente principale che rende un simile Stato degno di rischio: non offre alcun vantaggio evidente.
Ciò non significa che non ci siano vantaggi nei nostri rapporti con il Qatar. Ma la natura sproporzionata degli scambi commerciali implica che l’alleanza richiederà sempre una giustificazione. Non c’è bisogno di chiedersi perché abbiamo voluto porre la Jugoslavia sotto l’egida della sicurezza occidentale nel 1951. Bastava guardare una mappa.
Il Qatar, d’altro canto, cerca di rientrare in una categoria di alleati completamente diversa, composta da paesi che occasionalmente minano la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, ma non abbastanza da annullare il vantaggio di averli dalla nostra parte.
Si potrebbe sostenere, ad esempio, che questa categoria includa l’Arabia Saudita, sede della visita del Presidente Trump tre giorni fa. Abbiamo relazioni strategiche con ogni tipo di Stato, e non tutti condividono i nostri valori o necessariamente i nostri obiettivi strategici.
Ma questi stati hanno una cosa che manca al Qatar: la capacità di tenere a freno i problemi che causano. Il Qatar può occasionalmente aiutarci strategicamente, ma non è quasi mai in grado di controllare il caos che scatena. Il meglio che il Qatar possa fare è fermare (o mettere in pausa) i problemi che è in grado di creare. Ed è lecito chiedersi se questo sia davvero sufficiente.
Ad esempio, considerate il sostegno del Qatar a Hamas. Il motivo per cui i leader israeliani credevano di potere convivere con una situazione in cui il Qatar garantiva che Gaza non rimanesse senza fondi era perché quei fondi avrebbero dovuto essere forniti con delle condizioni. Il Qatar avrebbe mantenuto a galla Hamas come costo per mantenere stabile il tenore di vita della popolazione di Gaza. (Se avete visto i post sui social media che dicevano “questo è ciò che Israele ha distrutto”, saprete che non solo Gaza non era una prigione a cielo aperto, ma aveva anche molto da perdere dall’invasione di Israele.)
In cambio, i qatarioti si sarebbero assicurati che il livello di terrorismo fosse mantenuto stabile a un livello gestibile. Sotto Hamas, Gaza non sarebbe mai diventata una colonia di pace, ma porre un limite alla minaccia di Hamas valeva il prezzo – almeno, questa era la scommessa.
Il 7 ottobre ha distrutto questa narrativa. A quanto pare, i qatarioti non stavano tenendo a freno l’estremismo di Gaza; stavano invece usando il denaro per tenere a galla Hamas mentre pianificava la massiccia violenza da pogrom di quel giorno.
Prima del 7 ottobre, si poteva dire: “Sì, i qatarioti finanziano Hamas, ma…”. Ormai non c’è più alcun “ma” nell’equazione.
Un altro esempio sarebbe l’inondazione di denaro da parte del Qatar nelle università d’élite americane. Queste donazioni a volte raggiungono cifre inimmaginabili e consolidano una certa tolleranza nei confronti dell’estremismo nei campus quando si tratta di Israele e degli ebrei. Ma si è scoperto – sebbene sicuramente molti in queste istituzioni si aspettassero gli eventi degli ultimi 18 mesi e molti di loro approvino le rivolte – che l’argomentazione accademica contro Israele era anche l’argomentazione accademica contro l’America. Anche gli studenti di Harvard vogliono che Harvard venga distrutta, e lo dicono apertamente. Lo stesso vale per la Columbia e le altre università.
Poi c’è la questione più ampia di cosa si possa controllare. Pianta una carota, dichiara Bellomy in The Fantasticks, e otterrai una carota. Ma il Qatar ha piantato tra le menti giovani e impressionabili i semi dell’odio per se stessi, dell’antisemitismo e del malcontento paranoico. Quel genio non tornerà nella bottiglia, nemmeno se il Qatar volesse ricacciarvelo.
I qatarioti non sanno come giocare al gioco della geopolitica. Hanno solo soldi e amano spenderli. Il caos che generano è molto più pericoloso per l’Occidente di qualsiasi risultato ottengano con i loro occasionali gesti di buona volontà.
Traduzione di Niram Ferretti
https://www.commentary.org/seth-mandel/why-qatar-doesnt-pass-the-tito-test/
