Israele e sionismo

Perché sono sionista e rivendico il mio diritto a esserlo

Essere sionista, nel 2025, è diventato per molti una colpa da cui difendersi, un’accusa da respingere. Per me, invece, è un’identità che rivendico con fierezza e con piena consapevolezza storica. Sionista non come insulto, ma come definizione legittima di appartenenza a un movimento che ha garantito al popolo ebraico ciò che per secoli gli è stato negato: la possibilità di vivere libero, sovrano e autodeterminato nella propria terra.

Il sionismo non nasce come ideologia di conquista, ma come movimento di liberazione nazionale. È la risposta a secoli di persecuzioni, ghettizzazione e pogrom in Europa e in Medio Oriente, fino all’apice dell’orrore della Shoah. Theodor Herzl, padre del sionismo politico, lo aveva capito già a fine Ottocento: finché gli ebrei fossero rimasti una minoranza dispersa, nessuna emancipazione, nessuna promessa di integrazione avrebbe potuto proteggerli dall’antisemitismo. La storia gli ha dato ragione in modo tragico.

Il ritorno a Sion non è stato un capriccio moderno, ma la concretizzazione di un sogno millenario. Nelle preghiere quotidiane, nel ricordo collettivo, nella cultura ebraica, Gerusalemme non è mai stata solo un simbolo: è stata sempre un luogo vivo, atteso, reclamato. Il sionismo ha trasformato quella speranza in un progetto politico. Dopo la Dichiarazione Balfour del 1917, il Mandato britannico e le migrazioni forzate, lo Stato di Israele è stato proclamato nel 1948 e riconosciuto dalle Nazioni Unite come patria del popolo ebraico.

Essere sionista oggi significa, quindi, difendere un diritto fondamentale: che Israele esista e viva in sicurezza. Non è odio verso altri, non è negazione dei diritti palestinesi, non è arroganza coloniale. È la semplice affermazione che il popolo ebraico, come tutti i popoli, ha diritto a un focolare nazionale. Eppure, troppo spesso, il termine “sionismo” viene rovesciato in insulto, in etichetta da additare per delegittimare Israele e chi lo sostiene.

Per questo rivendico il mio diritto a essere sionista. Perché nessuno dovrebbe vergognarsi di difendere l’esistenza di uno Stato nato dopo secoli di oppressione e dopo lo sterminio sistematico di sei milioni di ebrei. Perché non accetto che, nel XXI secolo, si cerchi di negare a Israele ciò che è considerato naturale per ogni altro Paese: la legittimità a esistere e a difendersi.

Essere sionista significa anche rifiutare la manipolazione storica che riduce Israele a un intruso. La guerra del 1948 e i conflitti successivi non sono stati causati dall’idea stessa di Israele, ma dal rifiuto di accettarne l’esistenza. Ancora oggi, i movimenti che invocano la “liberazione della Palestina dal fiume al mare” non chiedono due Stati, chiedono la cancellazione di Israele. Davanti a questa minaccia, il sionismo resta l’unica risposta possibile.

Naturalmente il sionismo, come ogni movimento nazionale, non è stato privo di errori e contraddizioni. Ha conosciuto correnti diverse, dal socialismo dei kibbutz al revisionismo più rigido. Israele, nella sua storia, ha commesso scelte discutibili e politiche contestate. Ma nessuno di questi elementi può cancellarne la legittimità. Non si chiede agli italiani di rinnegare il Risorgimento per gli errori del Regno d’Italia, né ai francesi di vergognarsi della Rivoluzione perché sfociò nel Terrore. Allo stesso modo, il sionismo non si misura solo dalle sue imperfezioni, ma dalla sua ragion d’essere: garantire al popolo ebraico un futuro.

Io sono sionista perché credo che la sicurezza ebraica non sia negoziabile, e perché so che senza Israele gli ebrei del mondo sarebbero ancora una minoranza vulnerabile, facile bersaglio dell’odio. Sono sionista perché non accetto che l’unico Stato ebraico venga trattato con parametri diversi da quelli applicati a ogni altra nazione. Sono sionista perché, in un tempo in cui l’antisemitismo torna a crescere sotto nuove maschere, il sostegno a Israele è una forma di resistenza morale. Il sionismo, infine, non è chiusura ma apertura. Difendere Israele non significa negare i diritti dei palestinesi, significa piuttosto cercare un equilibrio in cui due popoli possano vivere fianco a fianco. Il rifiuto del sionismo, invece, non porta pace: porta solo all’illusione che un popolo intero possa essere cancellato. E mentre il mondo discute, Hamas giura apertamente di voler ripetere i massacri del 7 ottobre ancora e ancora. Questo è il terrore che Israele e il mondo libero devono affrontare: la minaccia dichiarata di chi non vuole la pace, ma la distruzione. Ed è per questo che io sono, e resto, sionista.

 

 

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