Israele e Medio Oriente

Riconoscere uno Stato palestinese, una vittoria del jihad

Potrebbe essere solo una coincidenza che Canada, Australia e Regno Unito abbiano deciso di riconoscere uno Stato islamico e terrorista – la cui identità si basa sull’uccisione degli ebrei – proprio a ridosso di Rosh ha-Shana, una delle più importanti festività ebraiche; ciò che, certamente, non è casuale, è che abbiano dato ai terroristi esattamente ciò che desideravano.

L’idea di riconoscere uno «Stato palestinese» costituisce un’assurdità e un’offesa alla storia per almeno due motivi. In primo luogo, perché non esiste un «popolo palestinese» distinto, ma comunità arabe musulmane locali che, dopo la cocente sconfitta del 1967, hanno adottato l’identità «palestinese» per mascherare l’obiettivo di distruggere Israele sotto la rispettabile vernice della «liberazione nazionale». I «palestinesi» come popolo autoctono sono, in realtà, un’invenzione recente. In secondo luogo, perché il loro obiettivo non è mai stato costruire uno Stato in cui vivere in pace e in buoni rapporti con Israele, bensì sottrarre territorio agli ebrei e consolidare le proprie postazioni d’attacco.

Recenti sondaggi dimostrano che il 64% degli arabi che vivono sotto il governo dell’Autorità Palestinese ritiene che la «soluzione dei due Stati» non sia più praticabile; il 72% approva il massacro del 7 ottobre e il 41% sostiene una «lotta armata» – ovvero il terrorismo – per annientare Israele. Starmer, Carney e Albanese hanno frainteso le reali aspirazioni dei cosiddetti palestinesi.

Inoltre, non è chiaro dove questo «Stato palestinese» dovrebbe sorgere e con quali modalità. Non esistono confini concordati a livello internazionale, né una capitale definita, né un esercito, né un governo unitario. Gaza è nel mezzo di una guerra e la Cisgiordania non ha un esecutivo stabile: l’Autorità Palestinese esercita un controllo effettivo solo su porzioni limitate del territorio (zona A e parti della B).

Nei discorsi dei vari leader internazionali si è fatto riferimento ai «confini del 1967», in riferimento a quelli antecedenti alla Guerra dei Sei Giorni, come linee di demarcazione per un futuro Stato palestinese. Tuttavia, quei confini non sono mai esistiti e non compaiono in alcun documento internazionale. Non si trattava di frontiere riconosciute, bensì di semplici linee armistiziali rimaste in vigore dalla fine del primo conflitto arabo-israeliano del 1948 fino al 1967.

Benjamin Netanyahu ha più volte ribadito che, se Israele dovesse ritirarsi a quelle linee, lo Stato ebraico diventerebbe militarmente indifendibile. Pertanto, Israele non permetterà mai la nascita di una «Gaza su larga scala» a ridosso delle sue città principali.

La scelta di Starmer, Carney e Albanese non è dunque un «atto di pace», ma una capitolazione di fronte al ricatto della violenza. Premiano il terrorismo invece di isolarlo, ne legittimano le rivendicazioni più estreme e tradiscono le idee di sicurezza e sovranità nazionale. Riconoscere lo «Stato palestinese» significa voler erigere un santuario per il jihad. E Israele, giustamente, non abbasserà la guardia mentre l’Occidente, ancora una volta, cede alla tentazione di una «pace» concordata al prezzo della sua esistenza.

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