Da quando i terroristi di Hamas e della Jihad Islamica, insieme a comuni musulmani arabi di Gaza, hanno invaso il territorio israeliano il 7 ottobre, assassinando, violentando e rapendo donne e bambini, il dibattito si è, paradossalmente, incentrato sulla loro innocenza nonché sulla «crudeltà» di Israele nel perseguirli per i loro atti di terrore. Lo Stato ebraico è stato accusato di aver adottato una risposta «sproporzionata» ed eccessivamente «punitiva» nei confronti dei gazawi.
I mass media si sono dati da fare per presentare i «civili palestinesi» come pure vittime, totalmente estranee alle azioni e all’ideologia di Hamas. Ma possono essere, davvero, considerati innocenti? La risposta è ovviamente no. Hamas non è qualcosa di «esterno» che si è imposto sui palestinesi; tutt’altro: il gruppo islamista è il prodotto purissimo della mentalità e della cultura arabo-palestinese. In Hamas si raccolgono e si coagulano tutti gli elementi caratteristici della società palestinese: un antisemitismo ossessivo radicato nella tradizione religiosa, il culto della morte e del martirio, il disprezzo per ogni forma di compromesso e di pacificazione con il nemico «infedele».
Il gruppo islamista, è bene ricordarlo, è arrivato al potere mediante libere elezioni. I palestinesi hanno scelto Hamas perché quest’ultima ha saputo incarnare al meglio i loro valori e le loro ambizioni. Quindi, non sono i terroristi di Hamas a rappresentare un problema – possono, infatti, essere eliminati fisicamente con una certa facilità da un esercito moderno –, ma i «palestinesi» in quanto tali, tra i quali personalità del «genere Hamas», ossia psicotiche e stragiste, possono diventare socialmente rilevanti e politicamente rappresentative.
A sostegno di quanto detto finora vi è un sondaggio condotto dalla società di ricerca Arab World for Research and Development (AWRAD), che rileva, tra l’altro, che più di tre «palestinesi» su quattro hanno un’opinione positiva di Hamas in seguito all’attacco del 7 ottobre. Alla domanda se sostenessero o si opponessero alle azioni di Hamas del 7 ottobre, il 59,3% dei palestinesi intervistati ha dichiarato di sostenere «estremamente» gli attacchi, mentre il 15,7% ha dichiarato di sostenere «abbastanza» la serie di orrendi omicidi.
Il 98% degli intervistati, inoltre, ha affermato che l’eccidio li ha fatti sentire «più orgogliosi della loro identità di palestinesi». Questo significa che l’«identità palestinese» si rafforza a ogni atto di terrore contro gli ebrei, rivelando la sua natura puramente negativa: il «palestinese» esiste in quanto negazione dell’ebreo.
Dunque: ci sono civili innocenti a Gaza? Molti meno che a Berlino o Tokyo nel 1944. I tedeschi sostenevano Hitler e i giapponesi supportavano la macchina da guerra imperiale. Quei dissidenti e oppositori che non erano d’accordo, per motivi tattici o morali, erano una piccola minoranza. Una minoranza ancora più esigua tra i cosiddetti palestinesi – solo il 7% si è dichiarato «estremamente» contrario all’omicidio e al rapimento di bambini (dei soli bambini, si badi bene).
La maggioranza dei «palestinesi» vuole una guerra per distruggere Israele. Se adesso si lamentano e chiedono a gran voce un cessate il fuoco, non è perché non vogliono la guerra, ma perché stanno perdendo la guerra che volevano e che hanno iniziato. Loro desiderano ancora lo scontro, solo non vogliono essere sconfitti del tutto.
Ma vi sono dati ancora più curiosi: il 92% non apprezza l’UE, l’88% non ama le Nazioni Unite e il 69% si dice contrario alla Croce Rossa Internazionale. Insomma, i «palestinesi» odiano i loro sponsor. Cosa c’è dietro questa follia? Esattamente quello di cui si è detto prima: una «struttura spirituale» distorta e un macabro culto della morte.
Come nella Sodoma del libro della Genesi, anche a Gaza è impossibile trovare un numero minimo di «giusti» per mezzo dei quali possa essere salvata l’intera collettività. L’uomo moderno non è a suo agio con questa vicenda biblica, perché non crede più alla realtà di un male radicale e totalizzante. Eppure, questo male esiste, ed è in grado di manipolarci: fa leva sulla nostra compassione quando non ne ha per noi direttamente. Cedere ai ricatti morali di Hamas, alla sua propaganda lacrimevole, alla retorica delle vittime innocenti, significa permettere al male di sopravvivere, rafforzarsi e tornare a colpire.