Circa una ventina di anni fa, Piergiorgio Odifreddi ebbe, come profetava Andy Warhol a proposito di tutti, il suo quarto d’ora di celebrità, quando, sulla scorta di Richard Dawkins, Christopher Hitchens e company, scrisse dei libricini di didascalismo ateo
I sui libri ebbero un certo seguito, se ne parlò, e il vanesio matematico potè pavoneggiarsi nella veste di “nipotino di Voltaire” come lo ha definito Massimo Cacciari, anche se del tutto privo dell’elegante e sferzante arguzia dell’autore francese.
Nel 2009, Odifreddi scrisse una lettera al Comitato del premio Peano, che gli aveva assegnato il premio per la divulgazione scientifica nel 2002, chiedendo che il suo nome venisse rimosso dall’albo a motivo che quell’anno era stato assegnato a Giorgio Israel, reo, secondo Odifreddi, di essere portatore di un pensiero “fondamentalista”, ovvero di non affermare come fa lui, vero moderato, che Israele è un Paese fascista, pardon, nazista. Successivamente ebbe l’inusitato onore di ricevere una lettera da Benedetto XVI, il quale gli spiegava dove, a suo dire, errava, a proposito di Cristo e cristianesimo. L’umiltà di Ratzinger sta nel magnifico gesto con cui, scrivendogli, si abbassava a dialogare con un compliatore dei più triti luoghi comuni anticristiani. Seguì il cono d’ombra, dal quale il professore è uscito recentemente, sull’onda della forsennata criminalizzazione di Israele. Non gli è parso vero.
Ultimo della fila, si è aggiunto al coro. Ora lo intervistano di nuovo, lo invitano in televisione, lo ascoltano, come è successo ieri, quando, su La 7, l’ammiraglia antisionista di Urbano Cairo, ha detto che un conto è sparare a Charlie Kirk un altro a Martin Luther King.
Se sapesse quello che Martin Luther King pensava di Israele, avrebbe fatto un altro esempio, per evitare poi di dovere aggiungere che la pallottola che lo uccise se l’era meritata.