Note a margine

È sempre Cartabianca: la politica come trash tv

La scena è già nota: nello studio tv di È sempre Cartabianca si parla di Gaza, tema delicatissimo, e a confrontarsi ci sono due figure che più inconciliabili non si può. Da un lato, Eyal Mizrahi, presidente della Federazione Amici di Israele, che nega o ridimensiona i numeri delle vittime palestinesi. Dall’altro, un comico televisivo, Enzo Iacchetti, che invece di portare analisi, testimonianze o competenza, decide di usare il registro dell’insulto: «Ignorante!», «Non sai la storia né del tuo Paese né dei palestinesi!». Poi la caduta libera: «Cosa hai detto stronzo? Vengo lì e ti prendo a pugni». Ed è qui che emerge la responsabilità della padrona di casa. Perché mettere nello stesso studio un rappresentante filo-israeliano di professione e un attore comico indignato, e pretendere che ne esca un dibattito civile, è un’illusione o, peggio, una precisa scelta editoriale. La rissa come format. Lo share come unica bussola.

Enzo Iacchetti a È sempre Cartabianca non ha solo perso le staffe: ha svelato, suo malgrado, la vera natura del talk show di Bianca Berlinguer. Non informazione, non approfondimento, ma un’arena in cui il valore degli ospiti si misura sulla capacità di urlare più forte e trasformare la tragedia in spettacolo.

La Berlinguer non è nuova a queste alchimie: da anni il suo talk show vive di coppie improbabili, di ospiti caricaturali, di intellettuali improvvisati che recitano il ruolo di antagonisti perfetti per scatenare il caos. La qualità degli ospiti è secondaria, conta la loro “telegenia conflittuale”: devono litigare, alzare i toni, sbattere i pugni sul tavolo. Se poi a farlo è un volto noto della tv leggera come Iacchetti, ancora meglio: la clip è garantita, i social la rilanceranno in loop. Il problema è che in questo teatrino a rimetterci non sono né la Berlinguer né i suoi ospiti, che comunque portano a casa visibilità. A pagare il prezzo è la credibilità dell’informazione televisiva. Gaza, con le sue macerie e le sue vittime, viene relegata a sfondo scenografico per l’ennesimo scontro da salotto. La tragedia ridotta a pretesto per fare audience.

Iacchetti ha sbagliato toni, senza dubbio. Ma chi lo ha messo lì a recitare il ruolo del “cane sciolto” contro Mizrahi lo ha fatto scientemente. È la regia che cerca la scintilla, che spera nella frase choc. Non è un incidente, è il cuore del programma: non importa cosa si dice, basta che si dica urlando.E così la Berlinguer conferma la sua linea editoriale: la qualità non interessa, la competenza annoia, la verità è troppo complessa. Meglio il comico indignato, l’opinionista da bar e lo scontro costruito a tavolino. In questa logica, Gaza non è più un dramma da spiegare, ma un ring dove due personaggi incompatibili devono inscenare una lite. Alla fine, resta l’immagine di una conduttrice che si compiace del caos che lei stessa ha orchestrato. Non c’è moderazione, non c’è approfondimento, solo l’ennesimo talk show che confonde l’informazione con il wrestling. Iacchetti ci ha messo la faccia, e ne esce malissimo: da comico satirico a urlatore livoroso. Ma la vera regista del disastro è Bianca Berlinguer, che continua a presentare al pubblico il solito menù: ospiti improbabili, risse preconfezionate e tragedie internazionali usate come scenografia per il teatrino dell’audience. In sintesi: Iacchetti ha perso la testa. La Berlinguer, invece, ha perso ogni pretesa di serietà.

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