«L’Occupazione ci ha corrotto. Io sono assolutamente convinto del fatto che la maledizione di Israele sia nata con l’Occupazione dei territori palestinesi nel 1967».
Così afferma David Grossman a La Repubblica, prima di fare propria anche l’accusa di «genocidio» mossa a Israele dai suoi nemici jihadisti e dai loro fiancheggiatori. Grossman vorrebbe che Israele arretrasse sulle linee pre-1967, ossia alle «frontiere di Aushwitz» (come le chiamò Abba Eban), quelle che non potrebbero più garantire allo Stato ebraico la sua attuale sicurezza. Ma questo allo scrittore non interessa. A lui preme mettere fine alla «Occupazione» dei «territori palestinesi», che «palestinesi» non sono mai stati: né per il diritto internazionale né per la storia. Alla domanda sul riconoscimento dello «Stato palestinese» da parte di Macron, risponde:
«Credo sia una buona idea e non capisco l’isteria che l’ha accolta qui in Israele. Magari avere a che fare con uno Stato vero, con obblighi reali, non con un’entità ambigua come l’Autorità palestinese, avrà i suoi vantaggi. È chiaro che dovranno esserci condizioni ben precise: niente armi. E la garanzia di elezioni trasparenti da cui sia bandito chiunque pensa di usare la violenza contro Israele».
Grossman, completamente colonizzato nel pensiero e nel linguaggio dalla retorica «pacifista», non si rende conto che l’erezione di uno «Stato palestinese» non metterebbe fine al conflitto, tutt’altro, lo esacerberebbe come non mai. Non ha ancora compreso − e insieme a lui tutta l’intelligencija progressista israeliana − che ai «palestinesi» non importa nulla di ottenere uno Stato, loro vogliono la distruzione di quello ebraico. La creazione di uno «Stato palestinese» sulle colline della Giudea e Samaria, come ha dichiarato Yoram Ettinger, rischierebbe di innescare «un effetto a rimbalzo che potrebbe devastare gli interessi occidentali in accordo con i regimi pro-occidentali nella penisola araba e in Giordania».
Grossman, inoltre, glissa su una questione fondamentale: a chi dovrebbe essere affidato il governo dello «Stato palestinese»? Alla corrotta Autorità Palestinese, che non ha mai rispettato nemmeno gli Accordi di Oslo; oppure a qualche leader di Hamas opportunamente ripulito e incravattato per i media occidentali, sul modello dell’ex jihadista al-Jolani? O magari, in accordo col suo spirito «democratico», lo scrittore vorrebbe far votare i «palestinesi»; peccato che questi, quando hanno potuto votare in elezioni legislative, abbiano scelto Hamas, un’organizzazione islamista e terrorista che, ieri come oggi, trae la sua popolarità dal rifiuto di scendere a compromessi duraturi con lo Stato ebraico.
Grossman è ancora legato alla fallimentare formula «terra in cambio di pace», che animò il catastrofico «processo di pace» di Oslo, avviato nel 1993, il quale si basava sull’impegno di entrambe le parti a rinunciare alla violenza come mezzo per risolvere la controversia; ma i «palestinesi» non hanno mai abbandonato la violenza e nel 2000 scatenarono la terribile Seconda Intifada.
I «palestinesi» violarono gli Accordi di Oslo proprio grazie alla generosità israeliana. Quando il governo di Ehud Barak si offrì di soddisfare il 95% delle loro richieste, inclusa la cessione di parti di Gerusalemme al loro controllo – una possibilità un tempo considerata impensabile – tali concessioni misero Yasser Arafat di fronte all’unico risultato che non desiderava: la pace con Israele. Infatti, Arafat respinse la proposta israeliana, accompagnando il suo rifiuto con una nuova esplosione di terrorismo.
Israele, per risolvere definitivamente l’annoso conflitto, dovrebbe seriamente «occupare» i territori oggi amministrati dai «palestinesi» e sottoporre la loro popolazione a un «lavaggio del carattere» sul modello della «denazificazione» imposta dagli Alleati ai tedeschi. Solo bonificando il venefico retroterra culturale e religioso dei «palestinesi» sarà possibile edificare una pace solida e durevole.