È ancora prematuro determinare in che misura precisa gli attacchi israeliani con ausilio finale americano abbiano danneggiato il programma nucleare iraniano. Sulla centrale di Fordow bombardata pesantemente da sei aerei B-2 con 12 bombe bunker buster, i pareri sono discordanti. Secondo Trump, amante dell’iperbole, Fodrow sarebbe stata “obliterata”, secondo la CNN e il New York Times, notoriamente ostili a Trump, i danni non sarebbero stati molto significativi. Secondo Effie Defrin, portavoce dell’IDF, l’impatto effettivo dei danni inferti all’Iran, sia la comparto nucleare che a quello per la produzione dei missili balistici non può ancora essere determinato con precisione. Il portavoce del ministero degli Esteri iraniano Esmail Baghaei, tuttavia, ha confermato che gli impianti nucleari del Paese sono stati «gravemente danneggiati» dai raid americani del fine settimana.
Saranno i prossimi giorni, le prossime settimane, che ci diranno quale è stato l’effettivo successo delle operazioni congiunte, Rising Lion e Midnight Hammer, ma nel frattempo, al netto del bilancio, una cosa si può dire con certezza, fino a quando il regime integralista di Teheran resterà al potere, il problema non sarà risolto. Pensare che a seguito di questo conflitto, Khamenei e accoliti si trasformeranno da lupi ad agnelli è scambiare la realtà per fantasia. Donald Trump è convinto che adesso l’Iran acconsentirà a un negoziato che offrirà garanzie sia a Israele che agli Stati Uniti, ma l’unica garanzia accettabile può essere solo quella della rinuncia totale dell’arricchimento dell’uranio oltre la soglia lecita per il suo uso civile, clamorosamente superata, e un freno alla produzione del comparto missilistico balistico. Non ci sono altre garanzie, poi, Khamenei e i suoi successori potranno invocare solo retoricamente la distruzione di Israele, ma, ed è un grosso ma, per offrire questo pegno il regime che controlla l’Iran da 46 anni dovrebbe rinunciare alle sue ambizioni regionali, all’impianto rivoluzionario e imperialista che costituisce la sua struttura ideologica, dovrebbe cioè accettare di farsi piccolo e sostanzialmente irrilevante, trasformandosi in un’altra cosa. Non è credibile.
Per sopravvivere, il regime di Khamenei ha bisogno non solo di una salda presa interna ma di una forte proiezione di se stesso sul piano delle ambizioni e della rilevanza internazionale, e per farlo non può rinuciare al suo slancio rivoluzionario-millenaristico. Per questo motivo un eventuale negoziato con gli Stati Uniti può avere al momento esclusivamente un significato tattico, oltretutto in una posizione di oggettiva debolezza. Tra poco meno di tre anni, Trump non sarà più alla Casa Bianca e il suo successore potrebbe essere un presidente più allineato sulle posizioni morbide di Obama o di Biden.
C’è solo un modo per risolvere il problema ed è quello di vedere la fine del regime, tutto il resto è solo un succeddaneo.
