Editoriali

Le prossime ore decisive

Nelle prossime ore si giocherà, con tutta probabilità, l’esito della guerra a Gaza cominciata a seguito dell’eccidio di Hamas perpetrato il 7 ottobre del 2023. Da questo esito non solo dipenderà, fatto marginale, la continuità del governo Netanyahu, ma si giocherà il futuro di Israele.

Dall’27 ottobre, giorno in cui l’IDF è entrato a Gaza ed è cominciata ufficialmente la guerra contro Hamas, l’obiettivo più volte annunciato stentoreamente è stato la distruzione della formazione terrorista e la conseguente fine del suo governo a Gaza. Obiettivo razionalmente inesorabile, di non facile conseguimento ma chiaramente perseguibile. Successivamente, a guerra in corso, questo obiettivo, per quanto costantemente reiterato, ha cominciato ad appannarsi. Al suo posto si è cominciato a porre un altro obiettivo, quello della liberazione degli ostaggi, i 240 cittadini israeliani rapiti da Hamas il 7 ottobre, e di cui 105 sono stati liberati il 30 novembre nel contesto di una breve tregua. Attualmente non si sa con esattezza quanti ostaggi vivi si trovino ancora nelle mani di Hamas. Dalle fonti accreditate sembra che non siano più di 33.

Nel corso di questi mesi di conflitto, tra Israele e Hamas sono intercorsi una serie di negoziati con la mediazione sia del Qatar, sponsor di Hamas insieme all’Iran, sia dell’Egitto, negoziati che non hanno prodotto alcun risultato. I negoziati sono stati costantemente monitorati dagli Stati Uniti per i quali è essenziale e prioritario che si giunga a una intesa che preluderebbe a un cessate il fuoco prolungato e, desiderio americano, alla fine della guerra anche se Hamas non dovesse essere sconfitto.

Contestualmente, Israele, per bocca di Benjamin Netanyahu ha continuato ad affermare che solo con una operazione finale a Rafah, all’estremo sud di Gaza, dove si trovano asserragliati quattro battaglioni di Hamas presumibilmente insieme agli ostaggi e ai leader del movimento, Yahya Sinwar e Mohammed Deif, sarà possibile vincere la guerra. L’operazione militare a Rafah, costantemente annunciata e mai materializzata, è stata fin da subito osteggiata dagli Stati Uniti e dalla comunità internazionale, causa l’ingente numero di rifugiati che si trova ammassato nel luogo. La Casa Bianca soprattutto teme che nell’eventualità di un attacco israeliano a Rafah e la morte di altri civili, Joe Biden subisca un ulteriore indebolimento in vista delle presidenziali, motivo per il quale è prioritario per gli Stati Uniti che Israele non lanci l’operazione più volte annunciata.

Ora siamo arrivati al dunque. Al Cairo, quella che appare come l’ultima proposta negoziale che Israele è disposto ad offrire a Hamas, di fatto, se andasse in porto, siglerebbe la vittoria del gruppo jihadista. Essa infatti prevede che dietro il rilascio dei 33 ostaggi ancora detenuti, sarà permesso a tutti gli sfollati gazawi di ritornare al nord, l’abbandono da parte dell’esercito dal corridoio che separa la parte sud della Striscia da quella al nord e la disponibilità, questa la questione più rilevante, a un cessate il fuoco permanente, il che significherebbe che la residualità di Hamas e i suoi capi permarranno nella Striscia. Epilogo.

Alle indiscrezioni emerse sulla proposta negoziale ha risposto il ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich, in un video pubblicato sul suo profilo X. Per Smotrich se l’operazione a Rafah non avrà luogo, il governo Netanyahu cesserà di esistere, prospettandosi l’accordo come una “Umiliante resa ai nazisti sulle spalle di centinaia di soldati delle Forze di difesa di Israele (Idf) morti a Gaza”.

A stretto giro è arrivata la risposta di Benny Gantz, per il quale, la liberazione degli ostaggi ha la priorità sull’operazione militare a Rafah, in altre parole, Israele può capitolare davanti ai trucidatori del 7 ottobre e consegnare loro la vittoria, pur di ottenere in cambio gli ostaggi imprigionati. Nulla di nuovo. Gantz si era già espresso in questo senso mesi fa, nonostante, dopo essersi recato a Washington il mese scorso avesse detto esattamente il contrario usando la metafora dell’incendio. “Non entrare a Rafah equivarrebbe a dei pompieri chiamati per spegnere un incendio che ne spegnessero solo l’80%”. Ora che resti acceso il 20% gli va bene.

Il paradigma umanitario impone che gli ostaggi, la loro vita, abbia la precedenza sul conseguimento militare, il paradigma militare impone che l’obiettivo della guerra, la vittoria, abbia il sopravvento sugli obiettivi umanitari. Nessuna guerra, dall’epoca più remota ad oggi, è stata mai vinta dando la precedenza al paradigma umanitario (che oggi, soprattutto se non sono gli Stati Uniti a combattere, è diventato prioritario). Non è necessario essere cinici, la vita di ogni ostaggio vale smisuratamente, ma dare ad essa la precedenza sulla vittoria, come nel caso di questa guerra, significa consegnarla all’avversario. Tertium non datur.

Se Hamas dovesse accettare i termini proposti da Israele, per come sono trapelati, e non si conoscono ancora tutti i dettagli, nessuno dotato di senso della realtà può pensare seriamente che la guerra riprenderà e quindi che Hamas sarà sconfitto in seguito.

Se Hamas dovesse accettare, e ci sono tutti i presupposti che lo faccia, la guerra sarà finita e Israele avrà subito la sua maggiore sconfitta. L’Amministrazione Biden potrà festeggiare, e insieme ad essa potrà farlo l’Iran, di fatto, ormai, un partner americano.

Si tratta di uno scenario distopico? Lo vedremo a breve.

 

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