I resti di tre corpi consegnati la scorsa notte da Hamas a Israele attraverso la Croce Rossa Internazionale non appartengono a nessuno degli ostaggi rapiti il 7 ottobre. Lo hanno accertato gli esami forensi eseguiti all’Istituto di Medicina Legale Abu Kabir di Tel Aviv, come riportato dal Times of Israel. Secondo fonti militari israeliane, l’IDF si era preparato alla ricezione dei resti parziali di tre ostaggi uccisi a Gaza, ma i test genetici hanno smentito l’annuncio. La Croce Rossa ha consegnato i resti alle truppe israeliane nella notte di venerdì, senza che Hamas chiarisse la provenienza dei corpi. L’esercito ha poi confermato che non si tratta di alcuno degli 11 ostaggi ancora in attesa di restituzione, contraddicendo così le promesse diffuse dal gruppo islamista.
La restituzione degli ostaggi, vivi o morti, fa parte degli accordi firmati in Egitto per la pace a Gaza, un’intesa sostenuta da Donald Trump e mediata da attori regionali e internazionali. Israele, da parte sua, ha rispettato l’intesa, restituendo i corpi di 30 prigionieri palestinesi come gesto di distensione. Hamas, al contrario, ha violato le clausole dell’accordo, non consegnando i corpi degli ostaggi e interrompendo di fatto la cooperazione prevista. La mancata restituzione rappresenta una grave violazione degli impegni sottoscritti, che mette in discussione la credibilità delle dichiarazioni rilasciate dal movimento jihadista e le aperture diffuse attraverso i canali diplomatici appaiono oggi come meri tentativi di guadagnare tempo o consenso internazionale, privi di riscontro concreto sul terreno.
Il Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) ha spiegato di aver operato come “intermediario neutrale”, su richiesta e con l’approvazione di entrambe le parti, per la consegna dei resti. Tuttavia, l’organizzazione ha precisato di non essere coinvolta nella localizzazione dei corpi, compito che spetta esclusivamente alle parti in conflitto secondo il diritto internazionale umanitario. «Il CICR può agire solo attraverso la cooperazione di tutte le parti interessate e nel quadro dell’accordo in vigore», si legge nel comunicato ufficiale. Una cooperazione che, tuttavia, manca completamente da parte di Hamas, che continua a trattenere le salme e a ostacolare ogni progresso nei negoziati. Dopo aver annunciato di voler favorire la stabilità della regione attraverso un piano di disarmo parziale, è chiaro che Hamas non ha fatto altro che ingannare i mediatori internazionali con la complicità del Qatar mai neutrale. Mentre Israele ha rispettato le clausole dell’accordo, il movimento islamista si è trincerato dietro un silenzio che lascia presagire la volontà di mantenere il controllo militare sulla Striscia di Gaza.
Le verifiche forensi condotte sui corpi consegnati la scorsa notte hanno riportato la situazione al punto di partenza: nessun ostaggio restituito, nessuna prova di buona fede. Un’ennesima dimostrazione di come, nonostante le promesse di tregua e di disarmo, Hamas continui a disattendere gli accordi e a compromettere qualsiasi prospettiva di pace stabile e credibile. Per Israele, l’assenza di un reale processo di disarmo da parte di Hamas e di Hezbollah rappresenta un problema di sicurezza esistenziale. Lungo il confine meridionale, le cellule armate di Hamas si sono riorganizzate nei tunnel sotterranei, ricostruendo arsenali di razzi a corto e medio raggio. Sul fronte nord, Hezbollah continua a potenziare le proprie postazioni in territorio libanese, sostenuta dall’Iran con droni d’attacco e missili di precisione.
Secondo l’intelligence israeliana, i due gruppi agiscono sempre più in coordinamento operativo, condividendo informazioni e obiettivi militari. L’eventuale smantellamento delle brigate di Hamas, previsto dagli accordi egiziani, avrebbe dovuto segnare un primo passo verso la de-escalation, ma la loro persistente attività armata lascia presagire l’opposto: un conflitto su due fronti simultanei.
A Gerusalemme, i vertici della sicurezza parlano apertamente di una minaccia strategica convergente, con il rischio che una nuova ondata di razzi da Gaza coincida con offensive coordinate dal Libano meridionale. In questo scenario, l’assenza di un disarmo verificabile mina la stabilità dell’intero equilibrio regionale e riduce drasticamente le possibilità di una tregua duratura. Le promesse di Hamas di voler “mettere fine alla resistenza armata” appaiono oggi prive di fondamento. Le prove raccolte dai servizi israeliani indicano che, al contrario, il gruppo sta ricostituendo la propria rete di comando e accumulando armamenti forniti clandestinamente da Iran e Siria. Per Israele, dunque, il fallimento del disarmo non è solo una questione politica, ma un rischio immediato per la sicurezza nazionale. L’idea di un cessate il fuoco stabile si scontra con la realtà di milizie che non hanno alcuna intenzione di abbandonare le armi. E la mancata restituzione dei corpi degli ostaggi diventa il simbolo di questa duplice inganno: la negazione della verità e la prosecuzione della guerra sotto nuove forme.