Da circa sessant’anni s’è diffusa la convinzione che lo Stato di Israele costituisca l’espressione della più bieca prevaricazione dell’Occidente sul Medioriente: lo Stato occupante e colonizzatore di terre non sue. Tale convinzione, profusa a piene mani dall’URSS (che fu la prima a riconoscere de jure lo Stato di Israele tre giorni dopo la sua costituzione) e poi da tutta la sinistra militante, costituisce il principio per il quale lo Stato di Israele deve sparire e la Palestina tornare libera “dal fiume al mare” o viceversa. Tale convinzione ha attecchito come un’edera che scala i muri delle ideologie antioccidentali fino al punto in cui anche il Segretario Generale dell’ONU, António Guterres, ebbe a dire che gli attacchi di Hamas del 23 ottobre 2023 non vengono dal nulla, quindi: se non giustificabili, almeno comprensibili. Secondo questo cliché anche l’annientamento nucleare di Israele da parte dell’Iran diverrebbe, almeno, comprensibile.
Tutto questo è falso perché smentito severamente dalla storia, dunque, non si tratta di uno scontro di vedute o di opinioni schierate politicamente ma si tratta proprio di storia, quella con la “S” maiuscola. Qui è in gioco l’elemento principe atto al conferimento del titolo di verità o realtà fattuale rispetto alla trattazione di un caso, sia questo familiare o mondiale: il fondamento storico.
Esso può essere di varia natura, ad esempio può essere di pietra. Quella che oggi è conosciuta come la Spianata delle moschee, con la Moschea di al-Aqsa e la Cupola della Roccia risalenti al 705 e al 691, è, in realtà, il sito del primo e del secondo Tempio ebraico: il Beit ha-Miqdash, l’importantissimo luogo della memoria degli ebrei, dove sorge il Muro del pianto. I due templi risalgono all’833 a.C. e al 515 a.C. Ci troviamo vicini alla collina di Sion, conquistata da Re David nel 1010 a.C. quando fece di Gerusalemme la sua capitale, quasi 2000 anni prima della nascita dell’Islam. Sempre nella zona troviamo la valle di Kidron, che nelle Scritture ebraiche e nei Vangeli è chiamata la valle dei Re e/o valle di Giosafat. Proprio qui Gesù dodicenne giunse con Maria e Giuseppe nel suo pellegrinaggio della Pasqua ebraica e qui predicò nel tempio. Tuttavia, l’UNESCO ha deciso di ritenere la zona una pura eredità islamica e così la storica denominazione di “Monte del Tempio” è divenuta “Spianata delle moschee”. Tale inesattezza o falsificazione da parte dell’UNESCO dovrebbe essere evidenziata anche a fronte di un importante documento storico di cui sotto.
Lettera del 24 ottobre 1915 di Sir Henry McMahon a Al-Husain ibn Ali Himmat.
Il Regno Unito, Nazione mandataria per la Palestina, secondo la vulgata corrente, avrebbe conferito agli ebrei un ingiusto privilegio: la realizzazione di un focolare in Palestina dopo aver promesso la stessa terra agli arabi. Tale spregio sarebbe, dunque, avvenuto dopo che gli inglesi avevano illuso il mondo arabo, sotto l’egida dell’impero Turco-Ottomano che, una volta finita la guerra (I° guerra mondiale), avrebbe concesso loro la disponibilità di ampie estensioni territoriali sì da formare la grande Nazione Araba. Normalmente si fa riferimento alla lettera del 24 ottobre 1915 di Sir Henry McMahon (Alto Commissario britannico) al governatore della regione di Hijaz Al-Husayn ibn Ali Himmat. Tale documento viene nominato anche su tiktok come prova della disonestà inglese ma senza mai dire che nel testo della missiva non si dice affatto che la Palestina sarebbe stata concessa agli arabi secondo gli accordi presi. Essa non viene nominata ma si dice che le zone non ritenute puramente arabe (si citavano le zone ad ovest di Damasco) non avrebbero fatto parte degli accordi. La Palestina rientrava fra queste.
Nella lettera si parlava dei distretti di Mersin e di Alessandretta, e zone della Siria che si espandono a ovest del distretto di Damasco, Homs, Hama e Aleppo…, ma non si nominava mai il sangiaccato[1] di Gerusalemme, che era la divisione amministrativa ottomana che copriva la maggior parte della Palestina. Tale sangiaccato comprendeva cinque cazà: Gerusalemme, Giaffa, Gaza, Hebron, Beersheba.
Nel Libro bianco del 1922 (Churchill White Paper) stabilì che la frase in cui si parlava dei “distretti a ovest di Damasco” doveva intendersi come inclusiva del Sangiaccato di Gerusalemme e del vilayet di Beirut (cioè la Palestina). Nonostante le due diaspore, l’ultima nel 70 d.C. gli ebrei non hanno mai abbandonato completamente le loro terre ma, in quantità più o meno cospicue sono sempre rimasti là dove avevano le loro radici.
Gli ebrei non sono giunti nell’inesistente Stato palestinese perché lo ha voluto il Regno Unito, essi non sono i colonizzatori di terre altrui ma sono coloro che, in parte, ritornano nell’antica casa della terra di Israele. Gli ebrei in quei luoghi non sono immigrati ma rimpatriati. Il mandato conferito dalle Potenze vincitrici alla Società delle Nazioni (attraverso la lettera Balfour, la conferenza di Parigi e la Conferenza di Sanremo) non fu quello di inventarsi lo Stato di Israele ma quello di fare sì che la comunità ebraica, già esistente in Palestina e già con le caratteristiche proprie di uno Stato, potesse svilupparsi compiutamente in tale senso.
Di seguito quanto scritto in un brano del Libro Bianco inglese del 1922:
«Durante le ultime due o tre generazioni gli Ebrei hanno ricreato in Palestina una comunità, ora di 80 000 persone, di cui circa un quarto sono agricoltori e lavoratori della terra. La comunità ha i suoi organi politici […] I suoi affari sono effettuati usando la lingua ebraica e la stampa ebraica soddisfa le sue necessità. [La comunità ] ha la sua vita intellettuale e mostra una considerevole attività economica. La comunità quindi, con la sua popolazione urbana e rurale, con la sua organizzazione politica, religiosa, sociale, la sua lingua e i suoi costumi, e la sua vita, ha di fatto caratteristiche “nazionali”. Quando viene chiesto cosa significa lo sviluppo di un focolare nazionale ebraico in Palestina, la risposta è che non si tratta dell’imposizione della nazionalità ebraica sugli abitanti palestinesi in toto, ma l’ulteriore sviluppo della comunità ebraica esistente, con l’assistenza degli Ebrei del resto del mondo, in modo che questa possa diventare un centro di cui il popolo ebraico intero possa avere, per motivi di religione e razza, un interesse e un vanto. Ma, per poter far sì che questa comunità abbia le migliori prospettive di libero sviluppo e possa offrire la piena possibilità al popolo ebraico di mostrare le proprie capacità, è essenziale che sia riconosciuto che questo è in Palestina di diritto e non perché tollerato. Questa è la ragione per cui è necessario che sia garantita internazionalmente l’esistenza di un focolare nazionale ebraico in Palestina e riconosciuta formalmente la sua esistenza in base agli antichi legami storici.»
Nel 1922 la Società delle Nazioni riceve e trasmette dalle Potenze vincitrici il Mandato britannico per la Palestina e nel preambolo del Mandato si afferma: «Considerato che in tal modo è stato riconosciuto il legame storico del popolo ebraico con la Palestina e le ragioni per ricostituire la propria patria nazionale in quel paese.»
Tutti gli atti prodotti dalla Società delle Nazioni e dal Regno Unito per giungere alla costituzione dello Stato di Israele partono dal presupposto fondamentale del riconoscimento del legame storico del popolo ebraico con quell’area chiamata Palestina dall’Imperatore Adriano nel 135 d. C, in realtà Terra di Israele ed è questo ciò che è stato riconosciuto a partire dalla dichiarazione di Arthur James Balfour, segretario al ministero degli affari esteri britannico, a Lord Rothschild, capo dell’agenzia sionista per lo Stato di Israele.
La Risoluzione ONU 181 del 29 novembre del 1947
Sappiamo che la Risoluzione ONU fu unicamente una proposta senza alcun carattere vincolante. Come è noto in quella occasione venne raccomandata caldamente la soluzione dei due popoli e due stati. I sionisti accettarono senza riserve e dettero vita allo Stato di Israele. Tuttavia, è opportuno evidenziare il fatto che in tutti i passaggi diplomatici internazionali precedenti, quelli di cui sopra, quindi il Mandato della Società delle Nazioni al Regno Unito, si è sempre parlato di un focolare ebraico in Palestina. A tale proposito la Risoluzione 181 fu penalizzante proprio per gli ebrei. La reazione degli arabi a tale suggerimento e alla proclamazione dello Stato di Israele fu la guerra del 1948 scatenata da Egitto, Transgiordania, Siria, Libano e Iraq contro il nuovo Stato.
Conclusioni
L’illegalità dello Stato di Israele in Palestina è una menzogna di dimensioni colossali sotto tutti i punti di vista. Del resto, chiunque abbia un minimo di cognizione dei Vangeli e/o delle Scritture ebraiche comprende benissimo che gli ebrei e quei luoghi costituiscono quasi la carta d’identità gli uni degli altri. Non si tratta di simpatizzare o avversare nessuno ma solo di riconoscere la verità storica che in molti, troppi, si ostinano a ignorare o a falsificare.
Vorrei concludere con alcune considerazioni personali a proposito della Risoluzione 181 dell’ONU. Questa non concede niente agli ebrei in quanto il diritto alla costituzione del loro Stato in Palestina è sancito dalla verità storica e da quanto stabilito dalle Potenze vincitrici e trasmesso alla Società delle Nazioni nelle varie vicende istituzionali. Tuttavia, c’è chi sostiene che gli ebrei avrebbero dovuto accordarsi con gli arabi prima di passare alla costituzione del loro Stato ma questo è del tutto falso. In primo luogo si deve tenere conto di quanto viene messo in risalto da David Elber nel suo “Il Mandato per la Palestina. Le radici legali dello Stato d’Israele”, «la Risoluzione 181 non è la benevola dichiarazione che ha fatto nascere lo Stato d’Israele”, ma il risultato della decurtazione di una parte consistente di terra che già sarebbe dovuta appartenere, de jure, allo Stato ebraico dal 1922, data in cui la Gran Bretagna operò la prima partizione del territorio mandatario.»
In secondo luogo si tenga presente che gli arabi, anche nelle consultazioni internazionali con l’UNSCOP (Comitato speciale delle Nazioni Unite per la Palestina), che precedettero l’emissione della Risoluzione 181, avevano reclamato a gran voce e con la violenza il diritto all’istituzione di uno Stato arabo su tutta la Palestina e fecero capire in ogni modo la loro indisponibilità ad accettare altre soluzioni. Diritto che non avevano per tutte le ragioni suddette.
La Risoluzione 181, nel suo preambolo, pone tutta una serie di condizioni inderogabili ai fini della formazione dei due stati e una su tutte è quella che si creino stati democratici. A questa dicitura fa seguito un elenco di richieste che caratterizzano le società democratiche. Non si dimentichi il punto di partenza di questa piccola dissertazione: il mondo era da poco uscito dalle macerie della seconda guerra mondiale e si parlava di autodeterminazione dei popoli e di una nuova e diversa capacità di rapportarsi reciprocamente. La Risoluzione 181 propone una concezione dello stato di stampo illuminista, burocratico e lontano da ogni tendenza teocratica, qualcosa che non poteva rientrare nell’orizzonte esistenziale dell’arabo musulmano. A mio parere vi è una questione culturale che sovrasta tutto il resto. Detto in parole povere: gli ebrei avevano la capacità di ragionare in termini politici aconfessionali, i musulmani no. Gli ebrei avevano vissuto per secoli in Occidente, dopo le due diaspore che avevano costretto molti di loro a fuggire e non solo conoscevano le dinamiche culturali occidentali ma le avevano anche acquisite e fatte proprie. In altri termini: per gli arabi musulmani costituirsi in uno stato democratico, secondo i criteri richiesti dall’ONU, avrebbe voluto dire andare contro la propria essenza culturale, quindi, l’esatto opposto del concetto di autodeterminazione di un popolo. Stiamo parlando di etnie avvezze ad assetti “politici” che comprendevano emirati e sultanati sia prima della dominazione Turca-ottomana che, in alcuni casi, durante. Lo Stato palestinese non è mai esistito perché il concetto stesso di “Stato” nel mondo arabo musulmano è incompatibile con quello occidentale.
[1] Il sangiaccato di Gerusalemme (Suddivisione amministrativa dell’Impero Ottomano; sopravvive ancora in alcuni paesi arabi)è stato una provincia dell’Impero ottomano fino al 1918. Parte della Palestina, la quale faceva parte del vilayet di Sham (Siria), il sangiaccato di Gerusalemme era formato da cinque cazà (Gerusalemme, Giaffa, Gaza, Hebron, Beersheba)[1]. Nel 1887 il sangiaccato di Gerusalemme, in quanto sede dei Luoghi Santi, divenne un mutasarriflik indipendente il cui mutasarrif era responsabile direttamente nei confronti del governo centrale di Costantinopoli, dei suoi ministeri e dipartimenti di Stato.
