Israele si è affermato avamposto della libertà nel mondo, con la sua straordinaria capacità di difesa preventiva dal progetto nucleare di una nuova Shoah da parte dell’abominevole regime dell’Iran, centrale del terrorismo globale. E per questo ha ottenuto la riconoscenza e l’ammirazione degli uomini liberi del mondo intero.
L’audacia del popolo e dell’autodifesa dello Stato ebraico ha reso talmente evidente la pericolosità nucleare del regime killer di Teheran da favorire e stimolare l’azione degli Stati Uniti in un evento circoscritto di alleanza virtuosa. La presidenza Trump ha ricevuto l’aiuto di Israele e poi dato un proprio aiuto a Israele con una efficacissima azione contro gli impianti nucleari iraniani.
Tale opportuna decisione tattica non cambia la strategia globale trumpiana, che resta populista e isolazionista. Ha imposto un cessate il fuoco, immediatamente violato dall’Iran.
Grande l’unità-compattezza nazionale del popolo di Israele: anche l’opposizione a Netanyahu ha sostenuto la guerra preventiva contro l’Iran, mentre nel mondo il dilagante e perdurante antisemitismo israelofobico violento ha mostrato alcune prime incrinature: molti critici di Israele a Gaza hanno invece sostenuto la difesa contro il pericolo nucleare degli ayatollah.
Ritorna Gerusalemme cuore del mondo e luce di libertà e umanesimo per tutte le persone e i popoli. La civiltà ebraica si riconferma radice e linfa della dignità umana e universale in uno spartiacque con la barbarie genocida, terrorista, nucleare con la sua disumanità apocalittica.
Invece, l’Unione Europea resta bloccata dai suoi vizi strutturale e mentali, e opta per una pacificazione con l’Iran, con la piena cecità nei confronti della pericolosità terrorista e nucleare del regime iraniano verso i popoli europei.
Dimentica le tante atroci stragi di cittadini europei ad opera di un terrore islamico spietato. Nell’ora della massima esigenza di unità europea nei settori chiave della difesa e degli esteri, la UE sprofonda nella vergogna del cedimento e della complicità con il fronte totalitario.
Matthias Küntzel, esperto accreditato del jihadismo, chiarificò in una intervista a Niram Ferretti https://www.linformale.eu/la-bomba-e-la-guerra-santa-una-intervista-con-kuntzel/che la politica estera della repubblica islamica dell’Iran ha un carattere rivoluzionario, iscritto nella sua stessa costituzione, ed è determinato ad un “sostegno implacabile” a tutti i movimenti rivoluzionari islamici del globo. Alì Khamenei definì la rivoluzione islamica iraniana come “il punto di svolta nella storia moderna del mondo”, che pianifica l’annientamento di Israele e degli Stati Uniti. Il programma atomico del regime è parte integrante di questa strategia.
Scrive Küntzel:
“Solo l’Iran combina la fantasia sciita della provvidenza divina con la fisica della distruzione di massa. Qui troviamo, per la prima volta dalla scissione dell’atomo, la forza distruttiva della bomba con la furia della guerra santa”.
Da qui si può comprendere il valore liberatorio e di pace per tutti dell’operazione preventiva israeliana. Da qui, si può comprendere che solo un “regime change” per volontà del popolo iraniano può eliminare in modo effettivo l’incubo nucleare. Nella recente intervista di Niram Ferretti a Daniel Pipes https://www.ilriformista.it/pipes-e-le-due-facce-di-israele-attacco-alliran-superba-gaza-guerra-penosa-in-625-giorni-non-ha-capito-come-sconfiggere-gruppo-delinquenti-471741/ è contenuta questa frase chiave: “Meglio l’anarchia che Khamenei”.
Esatto. In effetti, la retorica della stabilità abusata dagli eurocrati e da tanti dirigenti occidentali contribuisce in modo determinante e ottuso alla conservazione del regime infame degli ayatollah, che pratica la guerra civile quotidiana contro il popolo iraniano, e si è costituito come centrale del terrorismo sanguinario; in effetti, è molto difficile che dopo 46 anni di devastazione fisica, morale, antropologica di un regime totalitario orwelliano possa fiorire subito una democrazia matura. Proprio per questo occorre il coraggio che ha mostrato Daniel Pipes. Non farlo e continuare nella litania sterile e vile della stabilità e della de-escalation significa tradire e abbandonare il popolo dell’Iran, che ha mostrato tanta vitalità eroica nella sua audace opposizione. Se oggi, durante i bombardamenti israeliani, solo delle minoranze hanno gridato dai tetti contro la tirannia, è perché naturalmente domina la paura di una repressione terrorista più disumana di prima.
Non possiamo qui entrare nel merito della complessa e controversa questione della “esportazione di democrazia”, ma intanto è evidente che l’Iran esporta la rivoluzione islamica. Probabilmente il “regime change” dovrebbe diventare un asse di una strategia globale di offensiva antitotalitaria e anti-terrore delle democrazie degne di essere tali. Oggi, una tale possibilità è solo uno scandalo. Invece Trump, nell’Air Force One in viaggio per l’Europa, ha dichiarato l’esatto contrario: “Il regime change vuol dire caos”. Teheran ringrazia.
La sinistra si schiera con gli ayatollah nucleari, la destra si barcamena tra giravolte neutraliste e viltà conciliatrici, schiacciata dalle sue componenti putiniana e trumpiana. L’ineffabile ministro degli Esteri, qualunque cosa accada nel mondo, recita formulette onusiane e fraseggi conciliatori senza contenuti. Che sinistra, poi! Il soggetto più furibondo e triviale del campo, quello delle stelle-stalle, non si definisce di sinistra e, in effetti, ha molte caratteristiche di una destra ultrapopulista similfascista; AVS è un amalgama di estrema sinistra antisemita e di un verde più islamista che ecologista; il PD compie una corsa a ritroso, dalle intenzioni originarie maggioritarie e riformiste a un illogico minoritarismo, polarizzato su posizioni veterosindacali da cinghia di trasmissione, con comportamenti da centro sociale antagonista. Tutti insieme caduti nella miseria di un isterismo adolescenziale di masse gregarizzate. Oltre le possibilità e velleità di una sinistra democratica, abbiamo una specie di post-sinistra del nulla e del nichilismo.
A questo punto, non sorprende più il suo fiancheggiare un Iran terrorista. In particolare, l’idolatria pacifista diventa il comodo strumento della guerra di aggressione-invasione e dell’azione terrorista.
Lo spartiacque tra difesa della civiltà e aggressività dei barbari, tra democrazia della vita e terrore della morte, tra giusto e ingiusto, vero e falso, è netta. Gli Ebrei, gli amici di Israele, i militanti della libertà, devono passare dal banco degli eterni accusati alla tribuna degli accusatori. Al tempo dell’affaire Dreyfus, il J’accuse di Emile Zola espresse il risveglio morale della coscienza democratica contro l’antisemitismo e creò un ampio schieramento di passione civile, al quale partecipò tra tanti il genio di Marcel Proust, il figlio di madre ebrea.
Così oggi superiamo la difensiva e lanciamo un urlo di giustizia: “Noi accusiamo”. Abbiamo tanto da accusare, fatti di orrore e sangue. La nostra regola elementare dovrebbe essere: azzerare ogni voce che ripete quella di Hamas e dell’Iran. Con loro non si discute, si combatte soltanto.
La discussione, il dialogo tra naturali legittime divergenze avviene solo in un ambito di civiltà dialogica, dove esistono nel pluralismo persone persuase di avere ragione e persone che sbagliano dal punto di vista di coloro che sono persuasi di avere ragione. Ma, appunto, tra persone e persone, in una relazione che resta umana e dove sono esclusi assassini e assassinati.
Israele, minacciato di eliminazione fisica da sette lati, continua a mostrare e sviluppare un’ultra-democrazia, dove nei caffè e nei ristoranti coesistono in pace ebrei, arabi, drusi, cristiani, samaritani etc.; dove nelle scuole bambini ebrei e arabi studiano e giocano insieme; dove partiti arabi siedono nella Knesset e hanno partecipato a governi nazionali; dove la Rettrice dell’Università di Haifa è una donna araba cristiana che favorisce la cooperazione fra tutti; dove la Corte Suprema emette sentenze favorevoli a persone, famiglie, comunità arabe; dove la cultura della vita e della fraternità vince sulla cultura della morte e della strage.
Qualsiasi altro paese nella tragica situazione di Israele, oggetto di eliminazione fisica, avrebbe stabilito la legge marziale con la sua ovvia limitazione delle libertà. Israele invece mantiene tutte le libertà, e punta alla solidarietà libera e spontanea del suo grande popolo. Chi resta umano vede e comprende, chi è accecato e intossicato, fonte o vittima dell’odio sistematico e mortale, non vede, non sa, non vuole vedere e sapere, e resta uno schiavo che vuole distruggere Israele ma finisce per distruggere se stesso.
Per occultare e ribaltare tale realtà, tanto persuasiva e attrattiva per i giovani mediorientali e ammirata dall’opposizione iraniana, si è creata la notte oscura di un antisemitismo estremizzato di de-umanizzazione.
Quante volte nei rituali del 27 gennaio, Giornata della Memoria fondata sul senso di colpa, abbiamo sentito un tanto solenne quanto ipocrita “Mai più!” da parte delle stesse persone che poi si sono dimostrate nemiche dello Stato ebraico. Ora, di fronte al programma di una nuova Shoah nucleare, Israele ha saputo realizzare un “Mai Più” effettuale.
