L’inchiostro è ancora fresco sull’accordo di cessate il fuoco a Gaza, eppure la sua struttura portante contiene un difetto catastrofico: l’inclusione della Repubblica di Turchia come co-garante.
La presenza del presidente Recep Tayyip Erdoğan al vertice di Sharm El-Sheikh, sebbene salutata da alcuni come una necessità diplomatica, è un chiaro errore geopolitico. È una concessione strategica a una potenza la cui visione del Medio Oriente è fondamentalmente anti-occidentale, anti-laicista e dedita all’istituzionalizzazione dell’islamismo allineato ai Fratelli Musulmani.
L’idea che Ankara, sostenitrice di lunga data di Hamas, possa essere un arbitro neutrale di pace rappresenta un grave pericolo per la stabilità regionale a lungo termine e per gli interessi di ogni nazione che aspiri a un futuro post-bellico moderato e laico.
L’infiltrazione dell’ideologia
Il posto conquistato a fatica dalla Turchia al tavolo delle trattative affonda le sue radici nel suo rapporto con Hamas, un fatto che dovrebbe immediatamente squalificarla come partner non ideologico. Erdoğan, che in precedenza aveva respinto l’etichetta di organizzazione terroristica attribuita ad Hamas, definendola invece un legittimo “movimento di resistenza”, solo di recente ha aderito a una dichiarazione che esorta il gruppo militante a deporre le armi e a cedere il governo all’Autorità Palestinese (AP). Questo cambio di strategia, tuttavia, è un palese stratagemma per assicurarsi un punto d’appoggio a lungo termine a Gaza.
La minaccia più grave per qualsiasi futura governance moderata risiede nel piano della Turchia di formare il settore della sicurezza di Gaza nel dopoguerra. Ankara ha stipulato un protocollo d’intesa con l’Autorità Palestinese per addestrare le forze dell’ordine, un processo affidato a istituzioni i cui vertici pare nutrano “opinioni anti-occidentali e anti-israeliane” a seguito di epurazioni interne.
Non si tratta di ricostruzione postbellica, bensì di un vettore di contagio ideologico.
Anziché promuovere una forza di polizia professionale e neutrale, essenziale per la stabilità, la Turchia rischia di instillare un ethos di ostilità e un dogma anti-laicista direttamente nelle nascenti strutture di sicurezza di Gaza. Ciò mina attivamente l’obiettivo di istituire un’autorità affidabile e non estremista, garantendo che la prossima generazione di personale di sicurezza di Gaza rimanga intrinsecamente ostile agli interessi occidentali e arabi moderati.
L’interruttore di sabotaggio iraniano
La credibilità della garanzia offerta dalla Turchia è ulteriormente compromessa dalla fatale frammentazione della sua influenza su Hamas. Gli analisti rilevano che l’influenza di Ankara sulla leadership politica non si estende ai “gruppi militari più autonomi e legati a Teheran” all’interno dell’organizzazione.
Ciò significa che l’Iran, che mantiene profondi legami con queste fazioni armate, detiene un “interruttore di sabotaggio” sull’intero accordo di pace. Se Teheran dovesse sentirsi emarginata dall’accordo tra Stati Uniti, Egitto e Turchia, potrebbe minare unilateralmente la durata del cessate il fuoco senza richiedere la cooperazione esplicita dell’ala politica. L’intero accordo di pace è quindi strutturalmente vulnerabile, perennemente ostaggio delle macchinazioni della Repubblica Islamica, con la Turchia che funge da guardiano compiacente, o forse incompetente.
Minare gli alleati e la stabilità regionali
Inserendosi nel meccanismo centrale di pace, la Turchia ha sfidato direttamente l’Egitto, partner tradizionale e indispensabile nella mediazione regionale. Questo rapporto è già caratterizzato da una profonda ostilità ideologica, radicata nel costante sostegno offerto dalla Turchia ai Fratelli Musulmani, un gruppo considerato una minaccia esistenziale dal governo laico egiziano.
Questa rivalità ha immediatamente trasformato in arma gli sforzi di ricostruzione postbellica. Mentre l’Egitto intende ospitare al Cairo una conferenza internazionale per la ricostruzione di Gaza, la Turchia ha offerto con fermezza le proprie risorse per la costruzione su larga scala e la rimozione delle macerie. Questo doppio binario rischia di creare strutture di governance parallele, consentendo alla Turchia di stabilire reti di clientelismo che aggirano e minano la visione incentrata sull’Autorità Palestinese sostenuta dall’Egitto e dalla Lega Araba.
La crisi di Gaza è diventata una merce di scambio per le ambizioni strategiche di Ankara, che non hanno nulla a che vedere con la questione. La politica estera assertiva della Turchia ha generato conflitti in tutto il Mediterraneo orientale, mettendo in discussione alleanze come l’East Med Gas Forum (EMGF), che comprende partner chiave come l’Egitto e la Grecia. La Turchia sfrutterà inevitabilmente la sua garanzia a Gaza per ottenere concessioni strategiche in queste aree altamente controverse, tenendo in ostaggio la stabilità regionale per perseguire la sua visione di espansione geopolitica.
La pace raggiunta a Sharm El-Sheikh è una pausa tattica, ottenuta a scapito della sicurezza strutturale. Finché il ruolo di potenze ideologiche come la Turchia non sarà neutralizzato attraverso una rigorosa e imparziale supervisione internazionale, questo accordo rimarrà pericolosamente compromesso e destinato a crollare sotto il peso delle rivalità regionali e dell’infiltrazione islamista.
Traduzione di Angelita La Spada
https://www.meforum.org/mef-online/why-turkeys-peace-guarantee-in-gaza-is-a-hostage-to-islamism