L’offensiva contro Israele, quella non armata, visto il continuo frustrante fallimento da parte araba di annientare o fiaccare lo Stato ebraico con guerre, guerriglie, conflitti, terrorismo su larga e piccola scala, si è trasformata, nel corso dei decenni in una offensiva di natura fondamentalmente propagandistica.
La propaganda è un’arma formidabile, soprattutto quando è foraggiata da ingenti fondi. I nemici esterni di Israele possono, in questo senso, contare su un ottimo appoggio interno, fornito dalla galassia di ONG che sotto la comoda copertura della tutela dei diritti umani, operano in virtù di finanziamenti soprattutto europei per fornire di Israele l’immagine che serve alla bisogna dei suoi solerti demonizzatori. E’ interessante verificare in che misura il recente rapporto di Amnesty International che dipinge Israele come uno Stato criminale in cui si praticherebbe l’apartheid, si fonda sostanzialmente sulle informazioni fornite da queste ONG, tutte, rigorosamente, di estrema sinistra.
Come ha evidenziato un articolo della Jewish Press, su 597 riferimenti apparsi nel rapporto di Amnesty, 461 (il 77%) proviene dalle organizzazioni in oggetto che hanno ricevuto complessivamente fondi per un totale esorbitante di 105,209, 547 dollari. In vetta alla galassia delle ONG israeliane spicca la più nota di esse, B’Tselem, la quale, da sola, ha ricevuto la parte più cospicua dei fondi, 19,432,237 dollari.
B’Tselem, nel cui ufficio è appeso al muro un attestato di benemerenza di Jimmy Carter, tra i maggiori cantori dell’apartheid israeliano, e il presidente che fece in modo che la presenza ebraica in Giudea e Samaria venisse considerata illegale,https://www.linformale.eu/la-iv-convenzione-di-ginevra-e-il-suo-uso-strumentale è quell’organizzazione per la quale lavorava tempo fa Nasser Nawaja, un tizio che, in un’amabile conversazione con un altro attivista radicale, parlava della necessità di informare i servizi di sicurezza dell’Autorità Palestinese a proposito di un palestinese intenzionato a vendere del terreno nella Cisgiordania a un israeliano.
Il costume palestinese, che fino a qualche tempo fa era una vera e propria legge, punisce la vendita di terra agli israeliani con la morte, e i sospetti sono sottoposti a tortura e uccisi. B’Tselem è la stessa organizzazione dentro la quale uno dei suoi “ricercatori” raccontava al giornalista Tuvia Tenebom che la Shoah era una menzogna. E’ la stessa organizzazione per la quale lavorava anche Lizi Sagie costretta alle dimissioni dopo avere affermato che Israele è uno stato devoto ai valori nazisti. E’, in altre parole, un covo di utili idioti, o meglio di talebani antisionisti il cui intento primario è, dentro lo Stato ebraico, di delegittimarlo agli occhi del mondo.
Il 18 ottobre del 2018 il suo direttore responsabile, Hagai El-Ad si recò alle Nazioni Unite, dove seduto a fianco di Riyad Mansour, presidente del viruale Stato palestinese raccontò agli ascoltatori che Israele commetteva esattamente tutti i misfatti che l’Autorità Palestinese, e prima di essa l’OLP, gli imputa. La sua collocazione a fianco di un alto rappresentante dell’organizzazione retta da Abu Mazen, non poteva essere più opportuna. Le parole più dure nei suoi confronti giunsero da Danny Dannon, ambasciatore di Israele all’ONU, il quale in modo assai poco diplomatico gli disse, “Signor El-Ad, lei è un cittadino israeliano che sta servendo i nostri nemici. La stanno usando contro di noi. I soldati dell’IDF la stanno proteggendo e lei li incrimina. Vergogna su di lei, schifoso collaborazionista”.
Hagai El-Ad in realtà si era già presentato all’ONU nel 2016 fornendo la medesima versione che fornì nel 2018 ; il suo cavallo di battaglia è l’occupazione dei territori della Giudea e Samaria (Cisgiordania, West Bank), occupazione che di fatto è terminata nel 1993 dopo gli Accordi di Oslo, con l’assegnazione all’Autorità Palestinese dell’Area A e a conduzione mista dell’ Area B del territorio e a Israele dell’Area C dove vivono circa 150,000 arabi-palestinesi. L’occupazione, se esistesse, avrebbe a che fare, al massimo, con questo numero di arabi-palestinesi, ma di fatto, al suo posto, esiste da 29 anni una mancata negoziazione tra arabi-palestinesi e israeliani sullo statuto finale dei territori, statuto finale mai definito in virtù della costante indisponibilità da parte palestinese.
A proposito delle ONG israeliane sulle quali si basa in modo sostanziale il rapporto di Amnesty International, si è espresso in modo assai eloquente, Bassem Eid, palestinese, attivista per i diritti umani, in una intervistahttps://www.linformale.eu/la-voce-scomoda-di-bassem-eid-lintervista/ concessa allo scrivente nel 2017:
“Oggi queste organizzazioni lavorano con una precisa agenda politica. Vogliono soddisfare i loro finanziatori piuttosto che i palestinesi e migliorare i loro diritti. Non vedo alcun fatto concreto che mi mostri che organizzazioni come B’Tselem e Breaking the Silence abbiano fatto qualcosa di positivo per cambiare la situazione corrente. B’Tselem ha iniziato ad operare nel 1989 e quale è stato il suo grande risultato? Zero, uno zero completo. La loro agenda principale è di natura politica con la copertura della salvaguardia dei diritti umani. Per lo più si tratta di politica europea. Prova a immaginare che da domani l’Europa smetta di finanziare queste organizzazioni come B’Tselem e Breaking the Silence o il BDS, cosa accadrebbe della gente che ci lavora? Resterebbero senza lavoro. La Germania è una delle maggiori finanziatrici di B’Tselem con mezzo milione di euro ogni anno, e mi riferisco solo a uno dei paesi finanziatori, per non menzionare quello che arriva dalla Francia, dalla Spagna, dal Regno Unito. Oggi B’Tselem assomiglia molto a una specie di Nazioni Unite israeliana. E’ finanziata dai governi non dalle fondazioni. Questa è la questione. Una delle fonti del conflitto arabo-israeliano sono i soldi europei. Se il flusso di denaro dall’Europa e dagli Stati Uniti cesserà sono molto ottimista sul fatto che la situazione qui cambierebbe in meglio”.
Difficile potere dire meglio. Il grande business del conflitto, di chi lucra intorno ad esso, cesserebbe di colpo se realmente ci fosse una soluzione negoziale. Cosa ne sarebbe delle ONG che lavorono precisamente per la sua perpetuazione fornendo di Israele una immagine demoniaca perfetta per alimentare l’odio nei suoi confronti?
Non a caso il rapporto di Amnesty International giunge in un momento in cui, dagli Accordi di Abramo in poi, le relazioni tra Israele e diversi Stati arabi si sono fatte più distensive e aperte, mentre, nel contempo, la questione del conflitto israelo-palestinese veniva messa in secondo piano, soprattutto da parte araba, per la quale non è più da anni una questione prioritaria. Era necessario, è necessario, rimetterla al centro della scena con precisi attacchi, basati tutti sempre sulle stesse accuse.
The show must go on.