Un giorno, nel tempo che verrà, quando la «questione palestinese» avrà trovato la sua risoluzione – ossia quando i «palestinesi» avranno accettato senza riserve né risentimento la legittimità e la presenza di Israele – forse saranno tre i palestinesi celebrati come «eroi nazionali»: Bassem Eid, Mossab Hassan Yousef e Sandra Solomon.
Bassem Eid è nato a Gerusalemme Est al tempo dell’occupazione giordana ed è cresciuto nel campo profughi di Shuafat. Attivista per i diritti umani, da decenni è uno dei critici più feroci di Hamas e dell’Autorità Palestinese, denunciandone abusi e corruzione.
Mossab Hassan Yousef è invece nato a Ramallah, figlio maggiore di Sheikh Hassan Yousef, uno dei fondatori e leader più prominenti di Hamas in «Cisgiordania». Arrestato da Israele a 18 anni, durante la detenzione rimase disgustato dai metodi brutali e dalla corruzione all’interno dell’organizzazione di suo padre. Questo lo portò a diventare una talpa per il servizio di sicurezza interno israeliano, lo Shin Bet, per circa un decennio, durante la Seconda Intifada, contribuendo a sventare numerosi attentati suicidi.
Sandra Solomon (al secolo Sandra Sabih), anche lei nata a Ramallah, nipote di Zakaria Habash, uno dei terroristi che guidarono la Seconda Intifada. Ha raccontato di essere cresciuta in una cultura che glorificava il terrorismo e incitava all’odio nei confronti degli ebrei. Oggi ha abbandonato l’Islam e condanna fortemente la «causa palestinese» come veicolo del jihad globale.
Queste tre personalità, veri e propri «dissidenti» del totalitarismo islamico, non hanno solo condannato Hamas e le altre organizzazioni jihadiste, ma hanno denunciato e deplorato il fanatismo religioso, la cultura del vittimismo e dell’odio, nonché l’antisemitismo profondamente radicato nella società «palestinese». Inoltre, rifiutano il «diritto al ritorno» e reputano la «causa palestinese» come negativa in sé, generatrice di violenza e intolleranza. Tutti e tre si sono detti contrari alla creazione di uno «Stato di Palestina» nelle attuali circostanze e in futuro, sostenendo che i palestinesi avrebbero più diritti, più libertà e una vita più prospera come cittadini di Israele che sotto un governo di Hamas o dell’AP.
Le loro voci sfidano la narrazione dominante sulla presunta «occupazione» israeliana e gettano una luce sinistra sulla matrice religiosa del conflitto, come sulla società «palestinese» nel suo complesso, che soprattutto nella testimonianza della Solomon emerge in tutta la sua ignobiltà: «Ci hanno insegnato che Israele deve essere spazzato via, che gli ebrei non hanno il diritto di esistere».
Bassem Eid, Mossab Hassan Yousef e Sandra Solomon sono le figure pubbliche a cui andrebbe affidata la gestione di Gaza dopo Hamas. Tali «dissidenti» sono la migliore garanzia per un futuro pacifico e stabile, perché conoscono dall’interno i meccanismi della «società della paura palestinese» e sanno come contrastarli efficacemente.
La loro emarginazione attuale all’interno della società palestinese ricorda da vicino quella dei dissidenti sovietici come Natan Sharansky, che negli anni ’70 e ’80 venivano isolati, incarcerati e diffamati dal regime che sfidavano, mentre all’Ovest erano celebrati come eroi e profeti di un futuro più libero. Allora, il sostegno fermo e inequivocabile dell’Occidente a quelle voci solitarie non fu un atto di interferenza, ma un investimento morale e strategico sulla verità e sulla libertà, che contribuì in modo decisivo al crollo dell’Impero del Male.
Oggi, sostenere i dissidenti palestinesi che lottano contro il totalitarismo islamico e la corruzione significa schierarsi dalla parte di coloro che, pagando un prezzo personale enorme, hanno riconosciuto la responsabilità univoca dei loro connazionali nella perpetuazione del conflitto. Onorare il loro coraggio è il primo, necessario passo per applicare la lezione della storia e non abbandonare coloro che, in minoranza, combattono la battaglia più importante: quella per le coscienze del loro stesso popolo.