Israele e Medio Oriente

Convegno antioccidentale a Istanbul, con il puntello dell’Europa

E’ a Istanbul, a casa di Erdogan che si dà convegno l’OIC, l’Organizzazione della Cooperazione Islamica, convocata dall’autocrate turco per un summit straordinario, a seguito del riconoscimento di Gerusalemme capitale di Israele da parte di Donald Trump. La convocazione urgente chiamata da Erdogan è un tentativo di legittimarsi come guida della riscossa islamica contro lo Stato ebraico, definito “terrorista” da uno dei più delinquenziali leader politici in circolazione. Ma così funziona la politica, il grottesco e il paradosso sono all’ordine del giorno, soprattutto in merito al conflitto dei conflitti, quello arabo-israeliano poi trasformatosi in virtù di un sapiente marketing che dura da cinquanta anni, in israelo-palestinese.

E’ la risposta turca a Netanyahu, il quale, a Parigi, nella conferenza stampa con Macron aveva dichiarato di non accettare lezioni di morale da un personaggio come il presidente turco, il che, naturalmente, aveva mandato su tutte le furie Ankara, abituata ultimamente a toni ben più miti, soprattutto da parte della UE. E così è partita la convocazione per affermare in contrasto con la decisione americana che Gerusalemme Est è la capitale della Palestina. In realtà per rivendicare su tutta la città il dominio musulmano.

Ci si incontra e ci si rinsalda nel comune odio per Israele e per gli USA, e tra gli ospiti convenuti, tutti, a turno, a capo di teocrazie, monarchie, dittature, appare anche Nicolas Maduro, in nome della lucha contro “l’imperialismo yankee”. Vecchio afflato quello del Sudamerica revolucionario con i nemici islamici della democrazia. Rispunta dall’album di famiglia la fotografia del conducator Chavez con Ahmadinejad, ricevuto a Caracas con tutti gli onori nel 2009. D’altronde, in Libano, quello stesso anno si recò in visita anche Alieda Che Guevara, la primogenita del natural born killer argentino, per deporre una corona di fiori sulla tomba del fondatore del gruppo terrorista Hezbollah.




L’odio per l’Occidente e per la democrazia è uno dei collanti della costellazione islamica riunita a Istanbul con ospitata venezuelana, Gerusalemme è solo un pretesto, l’occasione formale per riconoscersi affini e motivati. Non c’è mai da sbagliarsi quando ci si schiera contro Israele e ovviamente contro gli Stati Uniti. Si ritrovano a braccetto gli eroi della sinistra terzomondista come Maduro e gli integralisti islamici, i quali hanno preso il posto dei sovietici nel coracon di chi vorrebbe Israele annientato e in sua vece un cinquantottesimo stato musulmano.

Sorrisi, abbracci, come quello tra Erdogan e Omar al Bashir, il presidente sudanese ricercato dalla Corte Penale Internazionale per genocidio e crimini di guerra. Sì, una bella compagnia, che all’unisono, e senza alcuna vergogna, afferma che la decisione di Trump indebolisce il “processo di pace” in Medioriente, il quale, dal 1948 ad oggi, per non farlo antecedere agli anni ’30, non ha mai preso l’abbrivio in virtù del costante rifiuto arabo-musulmano di accettare l’esistenza di Israele in una terra considerata per sempre Dār al-Islām.

Ed è qui, spalleggiato, che il vecchio e abusivo padrino di Ramallah, Abu Mazen, ha recitato uno dei suoi vecchi pezzi di teatro, quello in cui dichiara di volere cancellare gli accordi di cooperazione dell’Autorità Palestinese con Israele, accordi grazie ai quali, come ha ricordato il Ministro della Difesa, Avigdor Liberman, è ancora in vita. Già da tempo il padrino sarebbe morto infatti, se non ci fosse la cooperazione di intelligence tra Israele e l’Autorità Palestinese, che gli consente di non essere fatto fuori dai fratelli coltelli di Hamas, come avvenne ad altri meno fortunati nel 2007 durante il regolamento di conti avvenuto a Gaza tra Hamas e Fatah, con gli esponenti del partitito di Abu Mazen freddati per strada e gettati giù dai tetti con le mani legate dietro la schiena. Ma l’usurato leader palestinese che da anni coltiva il suo feudo multimiliardario (l’impero commerciale di Abu & Sons sorto all’ombra della “lotta di liberazione dall’oppressione sionista” vale non meno di 300 milioni di dollari) nei territori “oKKupati”, è un esperto di doppi e tripli ruoli, come il suo predecessore, l’indimenticato Yasser Arafat.




Fa un certo effetto guardare questa congrega a cui partecipa sonnecchiosamente anche l’Arabia Saudita sempre più stanca insieme ad Egitto ed emirati arabi di doversi spendere per un relitto ideologico del passato come la “causa palestinese”, e prendere atto che le posizioni da essa espresse sono infondo le medesime della Comunità Europea. Ma si tratta di una vecchia storia che risale alla fine degli anni Sessanta e all’inizio dei Settanta, quando l’Europa progressivamente divenne filoaraba e trasformò il palestinismo nella propria religione laica.

Da una parte Trump e Israele, dall’altra l’OIC con puntello della UE.

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