Storia di Israele e dell’Ebraismo

Diversità ebraica e pluralismo nel mondo

Spesso come ora, mentre sosteniamo la causa di Israele, della sua libera esistenza, una pioggia di missili del terrore si scatena contro e/o si preparano  e si realizzano attentati omicidi contro sedi e persone ebraiche nel mondo.

Con il cuore straziato, ma con la calma dei liberi e forti, condividiamo il destino dell’amata Israele, ma non siamo certo sorpresi, sappiamo bene che sono eventi seriali di lunga durata.

È un dovere agire per Israele e per l’intero popolo ebraico nel mondo, per la loro libera diversità. Contro nemici assassini furiosi, e contro il mito di un’uguaglianza astratta che dissolve e nega le diversità delle identità che costituiscono la reale pluralità del mondo. Un’astrazione ideologica che disconosce le libertà singolari dei popoli e delle persone e impone un anonimato e un’atomizzazione sotto i freddi mostri delle invadenti burocrazie statali.

La strenua, giusta, sacrosanta, necessaria difesa di Israele è parte integrante e primaria della resistenza dei popoli e degli uomini liberi verso la violenza anti-umana dei totalitarismi aggressori invasori genocidi.

Nel conflitto arabo-israeliano non si tratta certo di divergenze, controversie territoriali, incomprensioni. Si tratta di vita o di morte. Di esistenza in libertà o eliminazione fisica.

Che dopo l’orrore infinito indicibile della Shoah, le Dichiarazioni dei Diritti dell’Uomo, la Carta delle Nazioni Unite (resa lettera morta e tradita dall’ONU come è diventata) ci sia un diffuso e mortale antisemitismo diretto alla cancellazione dello Stato ebraico dalla realtà del mondo, e dunque allo sterminio degli ebrei nella loro terra-rifugio, è veramente il culmine delle ingiustizie, della criminalità politica, della falsità, dell’infamia, della disumanità smisurata, in un’esplosione di odio e di morte, talmente cieco e spietato da generare l’autodistruzione degli stessi assassini antisemiti.

Terribile ma vero: si tratta di una vittoria postuma di Hitler.

L’antifascismo diventa una buona intenzione, una retorica. Se dimentica o occulta che l’asse, lo scopo primario del totalitarismo nazifascista è stato l’annientamento fisico totale del popolo ebraico. Credevano di vincere e avevano preparato il Museo della “razza estinta”. Sono stati sconfitti, ma sono rinati. Il crimine di esistere per gli ebrei precede e segue il nazionalsocialismo hitleriano. Precede con l’antigiudaismo cristiano che ha perseguitato gli ebrei per il loro monoteismo antitrinitario, in profondità di fede e identità, di una fede che vive in azione, negata e sottoposta a violenza psicofisica fino al tardivo riconoscimento del Concilio Vaticano II. Continua con l’altro totalitarismo, il comunismo, che perseguita gli Ebrei nei territori che domina e costruisce il crimine di esistere per lo Stato di Israele, e scatena continue aggressioni e invasioni arabe, continua con il totalitarismo islamista, culmine di odio genocida antisemita e ondate di morte.

Il mondo è distratto, e lascia correre. Si inventa scusanti e diversivi, equiparazioni fittizie, o sonnecchia per quieto vivere. Questa miseria la chiama pace. Falsissima pace, che chiede agli ebrei di collaborare con i loro massacratori, di cedere agli infami motivi dell’eliminazione e della negazione della realtà ebraica, alla Umma islamica e alle fazioni dei due totalitarismi.

Una leggenda nera dell’antisemitismo attuale ha costruito il mantra di un Israele forte e dei palestinesi deboli, diffuso a larghissimo raggio nella sua nuda falsità. Le rappresentanze palestinesi, terroriste, islamiste, criminali, mafiose sono invece la punta di lancia dell’imperialismo della Umma, mentre l’autodifesa di Israele è la realtà dei “deboli”, è la giustizia della resistenza antimperialista, la continuazione della guerra di indipendenza, un contributo prezioso e coraggioso di Israele alla difesa antiterrorista delle democrazie e della libertà su scala globale.

Il mondo si è abituato a considerare “normale” la costante aggressione mortale alla terra di Israele, cerca un impossibile vita tranquilla, lascia indisturbata la corsa atomica dell’Iran e la repressione sanguinaria del suo stesso popolo, vaneggia di pacificazione diplomatica con il mondo del Terrore islamista.

Questo e altro è dimostrato con lucidità e ampiezza di motivi da articoli e libri di Niram Ferretti, Ugo Volli, Fiamma Nirenstein, Davide Cavaliere. Sottoscrivo ogni parola. E continuo nelle interrogazioni e nelle esplorazioni.

Ci chiedono :

ma perché gli Ebrei sono tanto odiati? Ci sono molteplici perché e insieme la pura irrazionalità di nessun perché.

Provo a dirne qualcuno. Perché hanno resistito e rifiutato il crimine di esistere, hanno potuto farlo per l’intima e pubblica persuasione radicata di essere se stessi nella loro libera diversità. Per aver dato al mondo il primato dell’etica, il dovere dell’esistenza con regole di condotta, nel vivente Patto con Dio, per il principio di libertà-responsabilità, per una vita nei diritti e nei doveri, per la cultura della persona. Cioè gli Ebrei sono odiati proprio per ciò che amano e vivono.

Per la straordinaria potenza etica del messaggio biblico, dove la creazione divina dell’uomo significa il diritto originario, inalienabile, sacrosanto, pre-politico, antropologico alla umana libertà della scelta. Un diritto alla libertà, dato da Dio, non concesso da un potere. L’analisi storica mostra che la santa radice ebraica è stata il fondamento e l’alimento dell’intera storia delle libertà costituzionali, nel modello del Patto tra Dio e il Popolo di Israele (nella Torah la parola Patto – B’rith- si trova trecento volte in posizione chiave). Infatti il Patto, in inglese Covenant, è stato il messaggio animatore delle due rivoluzioni inglesi del ‘600, della rivoluzione americana, della spinta originaria della rivoluzione francese prima del Terrore, e delle diverse lotte per la libertà e l’indipendenza dei popoli.

Nelle storiografie ufficiali e scolastiche, gli Ebrei sono solo un punto marginale della storia universale. Ma in questa storia la memoria, quando c’è, è individuale, museale, passatista. Mentre la Memoria ebraica ha una intensità, particolarità, luminosità tutte diverse.

Scrive Ugo Volli in “Mai Più – Usi e abusi del Giorno della Memoria” che la parola zakhòr (‘ricorda’) “è usata per esprimere relazioni quasi sempre sociali e prevalentemente asimmetriche; in secondo luogo si estende sempre sul piano pratico, implicando azioni da compiere: la memoria nella Torah non è mai fine a sè stessa, celebrativa, meramente identitaria, ma sempre la-assot, ‘per fare’. Dunque vi è una forte tensione tra memoria e storia (la quale si esprime in ebraico secondo una strategia oggettivante, con una parola che significa ‘generazioni’: toledot – mentre nella tradizione occidentale la storia è definita secondo una prospettiva soggettivante e metodologica, come ricerca, historia).”

Volli ci ripete che la memoria ebraica è imperativa, che il principale brano liturgico Shemà Israel (‘Ascolta Israele’) “è più un’intimazione di memoria che una preghiera, proclama l’unità divina per non dimenticare.”

L’esperienza dello Shabbat è ricordare e osservare, zakhòr e shomèr, che si fondono nella rivelazione del Sinai. “Ricordare davvero è un ordine, un precetto, un contratto, un’invocazione, equivale a rispettarli, assecondarli, eseguirli, agire secondo il loro senso. La memoria si realizza davvero solo nell’azione.”

Gli ebrei vivono una continuità esistenziale per la vitalità della loro propria memoria, e non si diluiscono tra le popolazioni tra cui vivono. Proprio questo viene rimproverato loro, dal Faraone prima dell’imposizione dei lavori forzati, da Amman nel Libro di Esther, Tacito e Seneca parlano di un popolo nemico della ‘humanitas’, “così poi faranno la Rivoluzione francese, la Chiesa cattolica e l’Internazionale comunista”.

Così si esprime Ugo Volli:

“Tutti combattono contro la separatezza ebraica della memoria e dell’identità, tutti hanno sempre richiamato questo popolo all’’universalismo’, cioè all’accettazione del ricordo, dei valori e delle pratiche della maggioranza, al conformismo, a scambiare il suo aspro ‘egoismo’, la sua ‘grettezza nemica dell’umanità’ (cioè ben decisa a non fondersi in essa) nel nome della dolcezza di essere politeisti ‘come tutti’, persiani ‘come tutti’, romani ‘come tutti’, francesi ‘come tutti’, cristiani ‘come tutti’ (non a caso questo è il significato del nome ‘cattolico’, katà olos, ‘verso tutti’, che indica l’ambizione a ricomprendere nella sua forma di vita tutto il corpo sociale), soprattutto laici, comunisti, progressisti ‘come tutti’, o tutti ‘boni cives’, interessati solo al buon andamento dello stato o della rivoluzione, non alla propria identità o alla propria memoria.

È successo anche con la Shoah, in cui il tentativo di costruire un’immagine condivisa si è spesso risolto in una distruzione del suo senso.”

La Giornata della Memoria, celebrazione dopo celebrazione, inflazione retorica, rischia di diventare un omaggio astratto. Ugo Volli ha individuato i molti fraintendimenti e ipocrisie, banalizzazioni e ribaltamenti che in prospettiva arrivano, in casi estremi, al negazionismo. Ci ammonisce a sfuggire “alla sirena universalistica che porta all’autodistruzione culturale delle differenze”. Si tratta dell’equivalente culturale della globalizzazione, di una tendenza distruttiva di culture, che tenta di applicare a tutta la vita l’ideale di burocrazie sradicate come quelle dell’Unione Europea e dell’ONU.

Un mondo che tende a un conformismo universalista, a una religione sociale dell’umanità, che vuole cancellare le differenze identitarie, che vuole dunque isolare ed eliminare la differenza più viva e più forte, quella Ebraica.

Di recente, nella sinagoga di Napoli, Rav Roberto Della Rocca (direttore del Dipartimento Educazione e Cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, docente di Esegesi biblica e pensiero ebraico presso il Collegio Ebraico Italiano) nella presentazione del suo ultimo libro, ci ha ricordato e ammonito che:

“ La continuità padre-figli, figli dei figli, e maestri-allievi mostra la vita ebraica nei secoli dei secoli come unità vivente delle generazioni. In tal senso, la parola historia nella lingua ebraica è derivata e secondaria, mentre Toledot, le generazioni, è una parola chiave, significa la trasmissione di generazione in generazione e spiega la vitalità e la permanenza di valori e regole che continuano e si rinnovano nel tempo.

Settanta anni fa l’Ebreo era classificato in base all’antisemitismo, era eterodiretto, oggi la situazione è cambiata, si è Ebrei per libera scelta, ma resta la condizione minoritaria misconosciuta, incompresa, aggredita. Nei libri di scuola gli Ebrei appaiono nel mondo antico tra i Sumeri, gli Ittiti, gli Egizi, poi scompaiono per tanti secoli e ricompaiono con la Shoah. Che fine hanno fatto? Restano ignoti. Nostro dovere è far conoscere gli Ebrei per quello che sono. Contro il mito dell’uguaglianza astratta, del dominio della maggioranza, del perbenismo benpensante, la verità è che non siamo tutti uguali, siamo diversi.”

La vitalissima radicata esistenza ebraica è capace di resistere alla pressione del resto del mondo, di resistere con grande coraggio alle ondate di morte del terrore antisemita, in nome della cultura della vita e della pace, del primato dell’etica.

Il relativo isolamento di Israele dipende in parte dallo stato precario della difensiva delle democrazie e libertà del mondo globale, di fronte all’offensiva dei totalitarismi e delle dittature. Situazione di debolezza che espone al massimo l’esistenza stessa di Israele, che sta in prima fila, come l’Ucraina, di fronte a barbari invasori e ricatti atomici.

Se il mondo pratica indifferenza, sonno della ragione e crimine genocida verso l’esistenza ebraica, gli Ebrei invece riconoscono la pluralità del mondo con tutte le sue diversità, la sua stessa vita cultura fede è plurale al suo interno, non dogmatica.

La diversità ebraica riconosce tutte le altre diversità, cioè la pluralità del mondo. È un messaggio radicale contro l’idolatria e la tirannia. Dunque è un fattore di libertà, di pace, di apertura, dialogo, comprensione.

 

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