Islam e Islamismo

L’Islam contro se stesso nella profanazione della Tomba di Giuseppe

Ormai è passato quasi un mese dagli scontri che, a Nablus in Cisgiordania, hanno portato all’incendio dell’edificio che ospita quella che è considerata la Tomba di Giuseppe.
Secondo la tradizione, in quel luogo, sono conservate le spoglie del Profeta Giuseppe, figlio di Giacobbe, nipote di Isacco e pronipote di Abramo; quel personaggio biblico che fu protagonista anche di un lungometraggio animato anni fa realizzato dalla Dreamworks Animation che rappresenta il prequel, se mi si concedesse il termine cinematografico, della più famosa epopea di Mosè con il racconto di come il popolo ebraico giunse in Egitto per sfuggire a una grande carestia.
Giuseppe, infatti, fu un personaggio chiave nell’evolversi della storia del popolo di Abramo; fu un bambino a cui Dio concesse il dono di interpretare i sogni per prevedere il futuro e che, dopo esser stato venduto a dei mercanti di schiavi dai fratelli invidiosi, giunse in Egitto dove passò da schiavo a visir utilizzando il suo dono per comprendere un sogno fatto dal faraone e scongiurando gli effetti di una lunga carestia che avrebbe potuto piegare lo stato africano.

Fu durante questi anni che si ricongiunse con la famiglia, perdonando i fratelli, e spingendo la tribù di suo padre a trasferirsi lungo le rive del Nilo per sfuggire agli anni difficili che stavano vivendo in Patria.
Cosa c’entra questo racconto con l’Islam?
La storia di Giuseppe è narrata nella Genesi, primo libro del Pentateuco che è uno dei libri sacri della religione musulmana. Giuseppe, infatti, è uno dei profeti venerati e citati dal Corano, esattamente nella XII Sura, dove si riprende la tradizione biblica narrando le gesta di questo antico patriarca definendola “la più bella delle storie”.
La Tomba di Giuseppe, quindi, diventa un luogo di venerazione per tutti i devoti delle tre fedi abramiche per quanto incerta dal punto di vista archeologico. La Genesi dice, infatti, che Giuseppe morì in Egitto e là fu imbalsamato e sepolto. La tradizione racconta, poi, il trasporto delle ossa di Giuseppe nella terra dei Padri, come egli stesso aveva fatto con il corpo del padre Giacobbe, anch’egli morto in Egitto e la cui tomba è oggi mostrata a Hebron, nel sito detto delle “Tombe dei Patriarchi”.

Nell’Islam non esiste un vero e proprio culto dei santi, benché la Sura 5 parli apertamente dei Wali, gli “amici di Dio”, benché queste figure considerate molto vicine alla divinità siano considerate degne di venerazione e tra di essi figurano a pieno titolo i Profeti del passato (come anche Isa bin Maryam che altri non è che il Cristo).
L’assalto alla tomba di Giuseppe a Nablus, quindi, non si configura come un affronto a un luogo sacro ebraico ma un affronto a uno dei Profeti dell’Islam, di un Wali la cui venerabilità viene addirittura dal Corano, prima ancora che dal Pentateuco.
Poco importa che questo sito fosse un’enclave israeliana nei territori palestinesi in Cisgiordania.
Poco importa che da oltre vent’anni la zona non fosse più presidiata dall’esercito in quanto considerata di difficoltosa difesa.

L’incendio provocato è un’offesa ad Allah, un atto blasfemo per cui la Sharia’a prevedrebbe una pena che potrebbe arrivare fino alla morte.
Quello che lascia perplessi è come l’odio verso un Popolo possa condurre ad azioni contro la propria stessa fede, contro la propria storia, anche perché qui non si parla di rivendicazioni territoriali, non si tratta di ricerca dell’autodeterminazione, si parla di puro odio e basta.
Neppure l’ignoranza può essere evocata come scusante, in quanto la dottrina islamica è insegnata fin da piccoli, spesso in sostituzione delle materie canoniche, per plagiare le menti dei bambini, per insegnare come l’odio verso l’infedele sia cosa che piace ad Allah.
Nulla importa che il Dio che si adora sia lo stesso, quel Dio dal nome impronunciabile perché sulle note del suo nome si reggerebbe tutta la creazione, nel mito del Tetragrammaton, e che viene invocato usando un nome comune che diviene nome proprio nel sottolinearne l’unicità.
In quell’area del Medio Oriente esiste solo un odio profondo che porta ad azioni contro l’umanità stessa, che sia la distruzione dei siti storici non islamici come attua l’ISIS che sia la profanazione di luoghi sacri anche per la propria religione se adorati anche dal “nemico”, questo è il destino tragico della biblica “terra promessa”.

Foto Repubblica

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