Interviste

“Un probabile mezzo fallimento”: intervista con Daniel Pipes

Subito dopo l’inizio della guerra tra Israele e Hamas abbiamo intervistato Daniel Pipes, ospite abituale de l’I’Informale, e tra i maggiori esperti e analisti del Medio Oriente. A oltre un mese e mezzo dall’inizio del conflitto abbiamo voluto nuovamente sentire la sua voce relativamente agli ultimi sviluppi.

Quale è la sua opinione in merito al negoziato di Israele con Hamas per la liberazione degli ostaggi?

Da dove cominciare? Primo, Benjamin Netanyahu si è fatto un nome come specialista dell’antiterrorismo e ha ripetutamente insistito sul fatto che non si negozia con i terroristi. Secondo, Israele ha una storia molto dolorosa di rilascio di prigionieri che poi hanno continuato ad aggredirlo; Yahya Sinwar, uno dei leader dietro il 7 ottobre, è solo l’ultimo  degli esempi. Terzo, Israele ha approvato una legge nel 2014 che vieta proprio questo tipo di scambio; come può essere legale?

Questo accordo impedirà il raggiungimento dell’obbiettivo proclamato, la vittoria di Israele contro Hamas?

Me lo aspetto, sì. Il governo ha rilasciato una dichiarazione in cui insiste che “continuerà la guerra per… completare l’eliminazione di Hamas e garantire che non ci siano nuove minacce da Gaza dirette allo Stato di Israele ”, ma credo che siano parole vuote. Oltre all’accordo sugli ostaggi, Israele ha ripreso a fornire acqua, carburante e cibo a Gaza. Sembra di essere ritornati al 7 ottobre, con la differenza di una Gaza maggiormente devastata.

Alex Nachumson ha scritto che “la liberazione degli ostaggi israeliani, strappati brutalmente dalle loro case, dovrebbe essere un obiettivo primario delle operazioni. Ma… è più probabile che gli ostaggi vengano rilasciati quando Hamas sente che il suo tempo sta per scadere, quando sente lo stivale israeliano premere sul collo”. E d’accordo?

Sì. Ma, cosa ancor più fondamentale, non è possibile combattere una guerra se le famiglie degli ostaggi siedono nel gabinetto di guerra  e hanno un ruolo importante nel determinare la strategia.

Il Qatar ha avuto un ruolo importante nel negoziare l’accordo come finanziatore dell’islamismo e anche come mediatore tra terroristi e democrazie. Cosa ha da dire in proposito?

Hafiz al-Asad il dittatore della Siria, negli anni ’80 giocava a piromane e a pompiere; sostenne i gruppi che catturarono americani e altri ostaggi, poi li rilasciò  cerimoniosamente, con grande successo. Tamim bin Hamad Al Thani del Qatar ha ora ripreso questo ruolo, con non meno abilità.

Mai come in questa circostanza gli Stati Uniti hanno tentato di orientare la risposta di Israele, quasi dal 7 ottobre. È d’accordo?

In modo massiccio. In retrospettiva, il forte sostegno di Joe Biden a Israele è stato sia una vera risposta emotiva sia un tentativo di acquisire influenza sul governo.

Quanto pesano i desideri di Washington sulla politica estera israeliana?

L’influenza di Washington è fluttuante. Di norma aumenta nei periodi di buoni rapporti e diminuisce nei periodi di cattivi rapporti. Ecco perché preferisco che i rapporti non siano dei migliori. In questo modo Israele commette meno errori sotto la pressione americana.

Il titolo di un suo recente articolo http://www.linformale.eu/israele-e-rapidamente-tornato-alle-sue-vecchie-e-cattive-politiche/  è “Israele è rapidamente tornato alle sue vecchie cattive politiche”, quali sono le ragioni?

Le ragioni sono le medesime  per le quali  i palestinesi invariabilmente ritornano alle loro cattive politiche: perché forme di pensiero storicamente radicate hanno intrappolato entrambe le parti. Non importa quanto siano disfunzionali, gli stessi atteggiamenti e riflessi riemergono fino alla nausea: il rifiuto palestinese e la conciliazione israeliana. Subito dopo il 7 ottobre, sembrava che gli israeliani avessero rotto con la conciliazione; ora vediamo che non è stato così, almeno tra i politici e l’establishment della sicurezza.

Per quale motivo Israele non ha mai conseguito una vittoria reale contro i suoi nemici palestinesi?

Perché non ci ho mai provato. Israele ha sconfitto con successo i suoi stati arabi nemici – Egitto, Giordania e Siria in particolare – ma ha desistito dallo sfruttare il proprio vantaggio contro i palestinesi. Pensiamo al 1982, quando desistette dall’uccidere Yasser Arafat. O nel 1993, quando gli diede il controllo sul territorio confinante. O nel 2005, quando si ritirò unilateralmente da Gaza.

Come finirà questa guerra contro Hamas, sarà un fallimento, un mezzo fallimento o una vittoria?

Molto probabilmente un mezzo fallimento. Forse l’insoddisfazione popolare per la guerra contro Hamas successivamente porterà a una rabbia che condurrà a un cambiamento che metterà fine alla storica mentalità israeliana orientata alla conciliazione.

 

 

 

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