Interviste

La necessità di essere forti: intervista con Amir Avivi

In questi giorni in Israele, Emanuel Segre Amar ha incontrato per L’Informale, il Generale Amir Avivi, analista militare e fondatore di IDSF Habithonistim, un think thank che comprende più di ventimila ufficiali israeliani, comandanti, ex soldati dell’IDF ed ex funzionari del Mossad e dello Shin Bet.

Quello che è successo il 7 ottobre ha colto di sorpresa tutti e ha mostrato come Israele non fosse preparato per una eventualità di questo tipo. Fino a che punto quello che è accaduto era imprevedibile?

Due anni fa abbiamo presentato al comitato per la Sicurezza Nazionale un rapporto molto approfondito di trecento pagine nel quale facevamo presente che Israele sarebbe entrato in guerra e che era necessario preparare l’esercito e mettere in allerta la società civile. L’intero apparato di sicurezza, per come la vedevamo noi, era collassato, non eravamo in grado di esercitare alcuna deterrenza. Facevamo presente che l’Iran e i suoi proxies si stavano preparando per la guerra e che avrebbero impiegato come risorse gli arabi locali, sia in Cisgiordania sia tra gli arabi israeliani. Facevamo presente che avrebbero scelto loro il momento e  che quando sarebbe accaduto non lo  avremmo saputo.

Cosa le faceva fare una affermazione di questo tipo?

Il fatto che nel tempo si è data molta più importanza alle risorse di intelligence tecnologica rispetto a quella umana. Sapevamo che i nostri nemici avevano raggiunto un livello di preparazione che gli dava la sensazione di potere sfidare Israele. A questo va aggiunto il fatto che negli ultimi anni gli Stati Uniti si sono progressivamente ritirati dal Medio Oriente consentendo alla Russia e alla Cina di diventare più dominanti. In seguito, le dinamiche della guerra in Ucraina hanno ulteriormente saldato l’asse sino-russo-iraniano con l’aggiunta della Corea del Nord. Questo asse è unito da una valutazione: l’Occidente è più forte militarmente ma ha una scarsa propensione a volere usare la forza militare, pensano solo a imporre delle sanzioni, e noi possiamo neutralizzarle. Abbiamo visto con chiarezza emergere in Medio Oriente un fronte russo-iraniano. A marzo siamo andati a Washington e abbiamo detto all’Amministrazione, al Congresso e al Senato, c’è un fronte, è emerso, dovete intervenire. Due settimane dopo la Cina è intervenuta come mediatrice tra l’Arabia Saudita e l’Iran. Questo episodio è stato una doccia fredda per gli Stati Uniti, e infatti, in seguito hanno accelerato perché si saldasse l’alleanza tra Israele e Arabia Saudita, cioè per determinare un’alleanza israelo-sunnita-americana. Questa alleanza non è soltanto un accordo come quelli di Abramo. La pace con l’Arabia Saudita significa estenderla all’Indonesia, alla Malesia, al Pakistan, all’Oman e quindi contrapporsi al fronte sino-russo-iraniano. Quando l’Iran ha visto che le cose si stavano muovendo velocemente in questa direzione ha deciso di intervenire, e il modo di farlo è stato quello di spingere Hamas ad attaccare Israele.

Quindi il piano dell’Iran era di fare saltare questo accordo non quello di lanciare una guerra su larga scala contro Israele?

Sì, lo scopo principale dell’Iran era quello di fare saltare l’accordo. Il loro ragionamento era, guardando alla società israeliana, estremamente divisa e lacerata, al modo in cui i media la rappresentavano, che nonostante l’entità dell’attacco essa non sarebbe stata in grado di rispondere con forza. Non pensavano che Israele avrebbe reagito come ha reagito, che sarebbe entrato a Gaza con questo impatto, che la società si sarebbe ricompattata come ha fatto. Mezzo milione di soldati si sono presentati per servire il paese e il governo ha stabilito obiettivi molto chiari per la guerra, la distruzione di Hamas sia come apparato militare sia come apparato di governo, portare a casa gli ostaggi e assicurarsi che quanto è accaduto il 7 ottobre non possa più ripetersi. Tradurre questi obiettivi in azione militare significa conquistare tutta Gaza, ed è quello che sta avvenendo fase dopo fase. Abbiamo preso il controllo della parte nord di Gaza e ora stiamo espandendo l’attacco al sud, a Khan Yunis, dove è localizzato il cuore del governo di Hamas, al contempo stiamo attaccando anche il centro di Gaza, e, all’occorrenza, ci spingeremo verso Rafah. Ci vorrà del tempo, ma alla fine Hamas verrà distrutto.

E dopo?

Da un punto di vista militare noi non possiamo assicurare gli israeliani che Hamas non si riprodurrà senza avere il controllo del confine egiziano. Tutto entra dal confine egiziano, è imperativo controllarlo. Non si tratta di controllarne solo una parte, va controllata tutta l’area e bisogna che l’IDF abbia una completa capacità operativa in tutta Gaza e in Cisgiordania. La cosa fondamentale è avere pieno controllo di quanto avviene all’interno della Striscia. Da un punto di vista civile, quando Hamas cadrà, l’unica entità che potrà controllare Gaza al principio è Israele, nessuno potrà assumersi la responsabilità per questo caos, e questo sarà un beneficio, soprattutto per coloro i quali, liberamente, vorranno emigrare, e personalmente ritengo che ci siano diverse centinaia di migliaia che desiderano farlo. Quando faremo saltare per aria tutti i tunnel, tutta Gaza collasserà. C’è una intera città sotterranea che dobbiamo distruggere. Successivamente si può ipotizzare un governo locale della città tramite clan e famiglie locali, e cosa accadrà nei tempi lunghi non lo so, ma una cosa so, che senza avere l’esercito all’interno e un controllo del confine con l’Egitto, torneremo alla casella di partenza.

E il Libano?

I cittadini israeliani non torneranno a vivere al nord senza che prima Hezbollah lasci il sud del Libano, e questo è un grosso problema. Come si fa a fare in modo che se ne vadano? Abbiamo tre opzioni. Finire la nostra missione a Gaza e spostare l’esercito a nord e continuare la guerra, e una guerra con Hezbollah non è come una guerra con Hamas, è una grande guerra, che implica una grande devastazione all’interno di Israele, perché Hezbollah lancerebbe missili e razzi ogni giorno. L’altra opzione è portare l’esercito al nord, minacciare la guerra ma, al contempo, chiedere alla comunità internazionale di intervenire e implementare la Risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza la quale stabilisce che Hezbollah arretri al nord del fiume Litani. C’è una terza opzione, finire la guerra a Gaza, e prima di occuparci del Libano, ricostruire la coalizione che si stava formando prima del 7 ottobre in modo da affrontare la questione globale dell’Iran, degli Houti, di Hezbollah, delle milizie sciite in Iraq e in Siria, come coalizione, con molto più potere. Perché questo possa avvenire ci vuole la guida americana. Sicuramente, in vista delle elezioni, Biden vorrebbe questo accordo, in modo da esibire un risultato positivo. Dal punto di vista dell’Europa, se dovessimo andare in guerra contro Hezbollah, il che significa un probabile conflitto con l’Iran, ci sarebbe la destabilizzazione di tutto il Medio Oriente, è ciò avrebbe delle ripercussioni economiche a livello globale. Dunque una coalizione forte in funzione anti iraniana è anche nell’interesse dell’Europa. In questo senso dovrebbe incoraggiarla. Una coalizione forte di questo tipo che possa considerare realmente l’opzione militare sarebbe decisiva per la stabilità regionale. Solo un’opzione militare reale costituisce la deterrenza. L’Iran può essere tenuto a bada unicamente attraverso la minaccia della forza, perché è l’unica cosa che comprende.  Quando gli Stati Uniti conquistarono l’Iraq, l’Iran fu molto impressionato, ma dal momento in cui gli Stati Uniti hanno iniziato il loro arretramento regionale, l’Iran si è imbaldanzito. Gli Stati Uniti sono obbligati a essere presenti in Medio Oriente come forza di stabilizzazione.

Tuttavia l’Amministrazione Biden ha assunto con l’Iran una postura morbida. Ha cercato, prima della guerra in Ucraina di riaprire il canale dell’accordo nucleare, ha scongelato miliardi di dollari in suo favore, non sembra certo che si sia posta in posizione minacciosa, salvo, dopo il 7 ottobre dispiegare qui le sue portaerei. 

Quando abbiamo posto agli americani la questione della deterrenza in Medio Oriente, ci hanno risposto, che cosa volete da noi?, abbiamo il problema della Cina nel Pacifico, stiamo costruendo delle basi nelle Filippine, dobbiamo badare alla Russia in Ucraina, e adesso ci volete anche molto proattivi in Medio Oriente? La mia risposta è stata, sfidare frontalmente la Cina e la Russia non è la cosa migliore, l’anello debole è l’Iran, sfidate gli iraniani, siate forti con l’Iran, questo fungerà da deterrente per la Cina e per la Russia, perché se mostrerete che siete disposti a impiegare la vostra forza ovunque, la Cina e la Russia ne terranno conto. Togliamo dall’equazione l’Iran, stabilizziamo il Medio Oriente. Non si tratta di dichiarare guerra, si tratta di mostrare la volontà di farla, colpendo, dove necessario i loro proxies. Bisogna avere la disponibilità di mostrare il proprio potere. Se questo non avverrà, dovremo aspettare l’esito delle prossime elezioni e sperare per il meglio. Abbiamo bisogno di un presidente che sia disposto a usare la forza, che sia disposto a minacciarne l’uso. Senza che ciò accada il Medio Oriente non potrà che essere destabilizzato, con ripercussioni globali.

Esiste una possibilità che Hezbollah attacchi dalla Giordania dove c’è la più lunga frontiera israeliana e dove non c’è difesa?

Ci sono centomila miliziani iraniani in Iraq, ci sono anche due divisioni in Siria, e l’Iran sta incrementando le proprie forze nel sud del Golan sul confine giordano, quindi questa area che è vicino al confine giordano sta diventando molto problematica e Israele sta osservando la situazione con grande attenzione. L’Iran sta cercando di destabilizzare la Giordania. Va tenuto a mente che la Giordania è circondata dall’Iran, sulla frontiera irachena ci sono milizie iraniane, sulla frontiera siriana anche, all’interno della Giordania ci sono attualmente più di un milione e mezzo di rifugiati siriani che stanno cambiando la situazione nel paese. Quindi, certamente, dobbiamo prestare la massima attenzione su quello che sta accadendo lungo il confine giordano con la consapevolezza che in futuro potrebbe essere destabilizzato.

Vorrei cambiare un attimo argomento. Attualmente Benny Gantz sembra avere rafforzato molto la sua posizione politica. Cosa ne pensa?

Come sa non sono un commentatore politico, sono un generale, ma quello che posso dirle è che tutte le discussioni sulla politica interna israeliana al momento sono irrilevanti, perché penso che dopo la guerra e con le prossime elezioni, l’intero ecosistema politica cambierà. Il popolo israeliano è saturo di tutti questi partiti e di questi politici. Hanno fallito tutti, miseramente. Hanno condotto il paese al caos, e non mi riferisco a un politico in particolare, ma a tutto il sistema. Penso che la società israeliana voglia qualcosa di nuovo. Relativamente ai sondaggi attuali, ritengo che lascino il tempo che trovano e che dopo la guerra cambierà tutto. Se vogliamo realmente analizzare la responsabilità dei politici in merito a quello che è accaduto, non c’è nessuno di loro che non sia compromesso. Non sono stati in grado di preparare l’esercito, di organizzare le cose nel modo corretto, non si sono preparati per questa guerra.

Di chi è la responsabilità, solo dei politici?

No. È anche dell’esercito. L’intera leadership dell’esercito se ne deve andare. Hanno tutti fallito miseramente. Quasi tutti i generali, i colonnelli e i militari che erano consapevoli della situazione, che erano connessi con la realtà, sono stati messi da parte. Al loro posto sono stati promossi militari che condividevano il medesimo frame concettuale che ha portato al disastro del 7 ottobre. Si tratta di un fallimento enorme, molto più grande di quello dell’intelligence, l’intelligence non rappresenta neanche il maggiore fallimento, non si può dare la responsabilità di quanto è successo al Mossad e allo Shin Bet, non è loro il compito di raccogliere le informazioni all’interno di Gaza,  ci sono questioni molto più grandi che dovranno essere discusse a guerra finita. L’intera cultura dell’esercito deve cambiare. I cambiamenti non possono essere fatti adesso, a guerra in corso, ci vuole tempo. La prima sostituzione che dovrà essere operata è quella del Capo di Stato Maggiore. I problemi attuali sono problemi vecchi, che risalgono ad almeno quindici, vent’anni fa. Il Capo di Stato Maggiore e il ministro della Difesa hanno preso delle decisioni devastanti negli ultimi vent’anni, le cui conseguenze sono in atto adesso. Dirò una cosa senza entrare troppo nel dettaglio, negli ultimi vent’anni si è imposta una tendenza che io e altri militari abbiamo fortemente contrastato senza successo, basata sul concetto che si possa vincere una guerra con l’aviazione e l’intelligence.

Un’idea di Ehud Barak.

Sì. Questa concezione inaugurata da Barak è stata sempre presente da allora, e ricordo che una volta quando mi trovai di fronte a tutta la leadership dell’esercito, quando Benny Gantz era Capo di Stato Maggiore dissi che la guerra è un evento fisico, e che quando comincia una guerra l’unica cosa che conta veramente è quante truppe hai, di quante munizioni disponi, di quanto gas e rifornimenti alimentari disponi, della tua capacità di muovere le truppe da una parte all’altra del territorio. Logistica. Non fa tendenza parlare del rifornimento di munizioni, fa più tendenza parale di tecnologia cyborg, ma se investi tutto nel cyborg e non hai le munizioni per combattere è un problema. Guardiamo alla guerra in corso, a chi interessa dei cyborg? Abbiamo a che vedere con le munizioni per i carri armati, con gli esplosivi, con i bulldozer. A qualsiasi comandante di unità ti rivolgi e gli chiedi cosa gli occorre, ti risponde, dammi i bulldozer, dammi più munizioni.

Ritiene che il modo in cui la guerra è stata condotta fino ad ora sia adeguato?

Sono meno preoccupato del modo in cui è gestita la guerra di quanto lo sia per ciò che avverrà dopo. È qualcosa su cui stiamo lavorando con il governo in modo approfondito. È il governo che deve fornire una prospettiva, l’esercito è molto tecnico. Quando parlo del futuro, desidero essere ottimista. Più decisiva sarà la vittoria, migliore sarà la prospettiva per il paese e per il popolo ebraico. Sarà una guerra dura, sarà una guerra lunga e forse dovrà implicare anche Hezbollah e l’Iran, ma una volta che ne usciremo vittoriosi ci sarà un accordo per la pace e si creeranno numerose opportunità di crescita e prosperità. Davanti a noi c’è un futuro luminoso ma prima dobbiamo vincere. La società dovrà modificare la propria pelle e basarsi su tre pilastri complementari. Uno deve essere quello di una maggiore coesione sociale basata sullo spirito di servizio nelle strutture di difesa. Essere come Sparta non ci impedirà di coltivare lo spirito di Atene, di apprezzare gli aspetti piacevoli e acculturanti della vita. Il secondo pilastro è quello di coltivare lo spirito patriottico e di essere legati alle proprie radici ebraiche. Il terzo è quello di unire la nostra superiorità militare al nostro sviluppo tecnologico in molteplici settori.

Vivendo in Europa è difficile immaginare che in un vicino futuro essa possa avvicinarsi a questi valori nonostante i problemi che essa ha, in alcuni paesi in modo particolare, con l’estremismo islamico. 

Noi dobbiamo fornire un esempio, e credo che ci siano già paesi in Europa e altri ci saranno, che vedranno il nostro come un modello da seguire. Noi dobbiamo fare quello che è giusto per noi, l’Europa dovrà sapere gestire i suoi problemi. Le voglio raccontare una storia.

Prego.

Quando ero deputato del comando di divisione della Striscia di Gaza, ogni volta che c’erano dei gruppi in visita che mi chiedevano di dare loro spiegazioni su Gaza, all’epoca ero colonnello, dicevo loro che di base, dall’epoca dei Giudici non è cambiato nulla. C’erano popoli che da Gaza ci combattevano e noi rispondevamo, e questo per molteplici volte. Sono le stesse dinamiche descritte nella Bibbia, ma nel Libro dei Giudici, dopo un giudice, e dopo un altro ancora, alla fine c’è scritto, “e nella terra ci fu la quiete per quarant’anni”. Desidero pensare che per la nostra generazione riusciremo ad ottenere una vittoria che ci consentirà di replicare quello che viene descritto nel Libro dei Giudici. Qui, per potere avere la pace c’è solo un criterio, bisogna essere forti. Siamo costretti a essere una nazione forte.

Traduzione di Niram Ferretti

Torna Su