Antisemitismo, Antisionismo e Debunking

Tovarish Sanders

La confusione regna sovrana, non sotto il cielo dove ha sempre il suo domicilio, ma in questo caso nella testa di Bernie Sanders, candidato ebreo alla Casa Bianca.

Sanders è, tra i candidati alla presidenza degli Stati Uniti, quello più a sinistra, ed è, questo la dice lunga, il candidato preferito del vecchio guru del radicalismo di sinistra, Noam Chomsky. Se Chomsky, il quale da cinquanta anni ci racconta che il male assoluto sono gli Stati Uniti e che tutto ciò che si antepone ad essi è, per antonomasia il bene, guarda con simpatia a Sanders allora dovremmo considerare con adeguato allarmismo il rischio che egli si possa insediare nello Studio Ovale.

Riguardo a Israele, in una intervista recentemente data a Daily News il candidato Sanders ha manifestato in modo evidente la sua inadeguatezza sull’argomento, dando un colpo al cerchio e uno alla botte con un pressapochismo da dilettante allo sbaraglio.

Esaminiamo alcuni campioni dell’intervista.

L’intervistatore gli chiede se a proposito degli insediamenti nella West Bank, una volta diventato presidente, metterebbe in atto ciò che ha dichiarato: la richiesta a Israele di ritirarsi. “Se avessi dei documenti davanti a me potrei dare una risposta migliore (sic), ma penso che se l’espansione è stata illegale, l’ingresso in territori che non sono loro, allora ritengo che andarsene da quei territori sia appropriato”.

Sanders non sa assolutamente di cosa sta parlando. Non sa che il Mandato Britannico stabilì incontrovertibilmente il diritto per gli ebrei di insediarsi a ovest del fiume Giordano, in altre parole in Giudea e Samaria ovvero West Bank. Questo diritto non è mai stato revocato e può esserlo solo attraverso un negoziato tra Israele e l’Autorità Palestinese. Così come non sa che le linee del 1949 non sono confini territoriali ma unicamente linee armistiziali e che quindi possano essere superate senza che questo comporti la violazione della legalità internazionale. Questo non significa che gli insediamenti possono allargarsi a dismisura, ma che non sono i confini armistiziali del ’49 a delimitarne i confini legali.

Su Hamas, Sanders dà un giudizio appropriato, la definisce un’organizzazione terroristica, però poi usa il solito cavallo di battaglia dei detrattori di Israele, relativo alla “reazione sproporzionata” dello stato ebraico quando, da Gaza, Hamas lancia razzi sulle città israeliane. A questo proposito le cifre delle vittime palestinesi nel conflitto 2014 a Gaza diventano iperboliche: oltre diecimila. Una cifra completamente grottesca che l’intervistatore si limita a considerare “probabilmente alta” (sic) perché anche lui non ha la più pallida idea del numero reale (1423 secondo l’Onu, meno secondo Israele).

Alla seguente domanda su cosa avrebbe dovuto fare Israele per evitare le vittime, Sanders risponde di non essere sufficientemente qualificato per prendere decisioni per l’esercito israeliano (bontà sua). Il fatto drammatico è che Sanders non è sufficientemente qualificato per parlare dell’argomento in modo appena accettabile per chi, come futuro presidente americano, dovrebbe avere idee chiare sul più persistente e controverso conflitto del dopoguerra.

Il fatto che Sanders, diversamente da altri duri e puri della sinistra americana e internazionale, qualifichi Hamas come una organizzazione terroristica non deve trarre in inganno. Sanders è soprattutto un duro e puro della sinistra dura e pura e spesso antisemita, come quella da lui tanto apprezzata che governava l’URSS e a cui si votavano in Nicaragua i sandinisti, per i quali faceva il tifo. Ed è sempre Sanders quello che, nel 1971, due anni prima della Guerra di Yom Kippur, diceva che a Israele non dovevano essere date armi. Lo stesso concetto ribadito nel 1988. “No guns for Israel”.

Qualcuno ha detto ingenuamente (anima bella da cullare), “Ma Sanders è stato in un kibbutz!”, come se andare in un kibbutz per un ebreo significhi legarsi a Israele. Ma poi si scoprì che questo kibbutz, più che a Israele, era devoto a Stalin e che l’Unione Sovietica era un modello a cui guadare. Allora erano anni in cui si poteva ancora sognare. E Sanders sognava e sogna ancora con il pugno alzato e contro gli squali di Wall Street. Certo rimetterebbe tutto a posto se fosse eletto presidente. A casa giù le banche e i conglomerati e all’estero togliere ossigeno a Israele, nonostante quelli di Hamas siano “terroristi”. Si rimpiangerebbe allora Obama come un vero grande amico, un sionista della stessa schiatta di Ben Gurion, se questo “sognatore” degli anni Sessanta e Settanta, quelli tutti anti-Vietnam e Libretto Rosso, diventasse presidente.

Bernie Sanders sarebbe il primo presidente socialista americano, alla faccia di McCarthy, altro che il primo presidente americano ebreo. Sarebbe la rivincita postuma dei Rosenberg, e la gioia dell’ottantanovenne Chomsky, il quale, probabilmente, diventerebbe una sorta di consigliere esterno.

Bernie Sanders: il candidato ebreo su Israele

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