Israele e Medio Oriente

Come confezionare la guerra selettiva

A seguito del confitto più lungo di Israele contro Hamas antecedente quello in corso, l’Operazione Margine di Protezione del 2014, il leader del gruppo jihadista, Khaled Mishal dichiarò, “Ci siamo focalizzati nel colpire le truppe che ci hanno attaccato, mentre loro hanno ammazzato donne e bambini. Questa è la vera immagine della battaglia”.

La parola chiave della frase di Mishal è “immagine”. Si tratta dell’apparenza, della sintesi rappresentativa di un conflitto, la cui realtà è stata sostituita dalla sua percezione mediatica. Mai nessuna guerra tra quelle combattute negli ultimi venticinque anni è stata il centro costante ed ossessivo della attenzione dei media, mai nessuna guerra come questa, causata dall’eccidio di Hamas del 7 ottobre 2023, è stata rappresentata come un conflitto di tale devastante violenza e ferocia.

Costruzione della realtà parallela

Il moltiplicarsi delle immagini di distruzioni, bambini gazawi sofferenti, di feriti, morti, donne, soprattutto madri urlanti, straziate, ha generato in una larga fetta dell’opinione pubblica mondiale la convinzione che quanto sta accadendo a Gaza non abbia paragoni con nessun altro teatro di guerra, passato e presente (ci sono attualmente altri 22 conflitti sparsi per il mondo), che questa sia di fatto la prima e più terribile guerra combattuta dall’umanità dall’inizio del millennio. Per essa è stato impiegato il termine “genocidio”, ormai un marchio indelebile che gli è stato posto sopra. Un’altra specificità che le è  caratteristica è la morte dei bambini il cui numero, fornito dal Ministero della Salute pubblica di Gaza, cioè da Hamas è, come quello generale dei morti civili, inverificato da fonti terze e imparziali. Tutto ciò è irrilevante. Per tornare alle parole di Khaled Mishal, ciò che conta è l’immagine, è la percezione collettiva della guerra, è la sua orchestrazione.

Mai, come nella nostra epoca, l’immagine, ovvero la percezione rappresentativa della realtà, quando si tratta appunto di realtà e non di finzione esplicita, è stata così pervasiva e decisiva per orientare e condizionare l’opinione pubblica, dunque mai come oggi chi riesce a proporre di un conflitto una sintesi di immagini potenti associate a parole significative, si trova ad avere il vantaggio predominante sul piano della comunicazione. È l’essenza stessa della propaganda alterare un fatto o una serie di fatti per fornirne una percezione errata o totalmente menzognera.

La capacità di comunicazione di Hamas ha una netta supremazia su quella israeliana, poiché si fonda su due fattori essenziali e vincenti, uno, quello dell’emotività (la propaganda deve sempre arrivare alla pancia, deve sintonizzarsi sul livello più immediato della percezione umana), l’altro, quello della narrazione, ovvero del racconto più convincente e persuasivo. Hamas ha avuto buon gioco, in questo senso nel potere fare leva sulla narrazione degli arabi palestinesi considerati oppressi e vittime, umiliati e offesi, proponendosi come avanguardia resistenziale, come esercito che ha il suo obiettivo principale nella loro redenzione.

Non ha alcuna importanza se il 7 ottobre ha suscitato orrore e indignazione, Hamas sapeva bene che la reazione israeliana sarebbe stata dirompente e che ben presto, il meccanismo della narrazione anti-iraeliana consolidato da cinquanta anni, si sarebbe attivato con la consueta efficacia, come infatti è stato.

Israele nel banco degli imputati al posto di Hamas

Ci troviamo oggi al cospetto di un assedio mediaticopolitico senza precedenti nei confronti di Israele, con picchi isterici e convulsi, in base al quale è diventato pressochè un luogo comune reputare che l’esercito israeliano a Gaza stia massacrando intenzionalmente e con compiaciuta crudeltà, (con netta preferenza per i bambini), la popolazione civile.

La colpevolezza di Hamas, l’essere stato l’agente scatenante di questa guerra, l’avere commesso crimini che rientrano nel catalogo delle nequizie più efferate, è stata completamente obliata e sostituita dalla colpevolezza di Israele.

Tuttavia, se passiamo dal livello della propaganda, quindi da quello dei una realtà parallela costruita per prendere il posto di quella vera, dove i fatti non sono più inseriti in un racconto, incasellati in una struttura ideologica, ma sono esaminati con freddezza, possiamo fare subito un confronto con un’altra guerra, per altro ancora in corso seppure a intensità bassa, quella siriana, scoppiata nel 2011, la quale per numeri e conseguenze catastrofiche sulla popolazione del Paese non teme confronto con nessun’altra guerra recente, e che, come la guerra a Gaza, ha come teatro il Medioriente.

La guerra siriana ha provocato circa 580,000 morti civili, 6,7 milioni di rifugiati, costringendo 12 milioni di siriani a lasciare le loro case, e portando il 90 per cento della popolazione sotto la soglia della povertà.

Tra la copertura mediatica ricevuta dalla guerra siriana e quella ricevuta dalla guerra a Gaza, proporzionalmente non esiste confronto, né per la continuità ininterrotta dei riflettori sempre accesi su di essa, né per l’insistenza accusatoria nei confronti dei crimini contro l’umanità perpetrati dalle forze lealiste di Assad, né per la messa sotto accusa del suo regime, né per il numero di manifestazioni per farla terminare, né  per l’ossessiva insistenza sul numero esorbitante di bambini morti, calcolati oltre i 30,000, né per le richieste di cessate il fuoco o di invii di aiuti umanitari.

La potenza di fuoco mediatico contro israele non ha uguali con quella attuata contro nessun altro Stato. Potenza selettiva al cubo. Solo quando questa guerra avrà termine, la coltre della propaganda si dissiperà, come accade sempre con la fine di un conflotto e, come è già accaduto con altre guerre combattute da Israele contro Hamas, si sarà in grado di vedere i fatti in modo molto più aderente alla realtà.

Nel 2009  a seguito dell’ Operazione Piombo Fuso avviata da Israele contro Hamas, venne istituita una Commissione ONU atta a verificare se Israele avesse commesso crimini di guerra. L’esito fu scontato, sì li aveva commessi, sennonchè nel 2011, il giudice Richard Goldstone che l’aveva presieduta, in una intervista al Washington Post, dichiarò:

“Oggi sappiamo molto di più di ciò che accadde a Gaza nella guerra del 2008 2009 di quanto sapessimo quando presiedetti la missione  per investigare i fatti…Avevo sperato che la nostra inchiesta di tutti gli aspetti del conflitto di Gaza avrebbe inaugurato una nuova epoca di imparzialità al Consiglio ONU per i Diritti Umani, la cui storia di pregiudizio contro Israele non può essere messa in dubbio”.

Questo articolo è apparso in una versione più breve su Informazione Corretta.

 

 

Torna Su