Claudia De Benedetti, David Elber, Niram Ferretti, Ugo Volli, Ritorno a Sion. Breve storia dello Stato di Israele dalle origini a oggi, Marcianum Press, 2025
A cura di Ugo Volli, prefazione di Fiamma Nirenstein
Tra l’infernale tempesta antisemita che scuote la terra e l’eccellenza difensiva preventiva dell’autodifesa ebraica contro l’olocausto nucleare del regime degli assassini anti-iraniani antiebraici, si legge questa novità libraria che accende la luce di una verità di ricerca, di una chiarificazione della voce di una minoranza soffocata e capovolta dalle trombe dell’odio fanatico e delle armi mortali di un terrore illimitato satanico.
Israele ha tutte le ragioni dalla sua parte, per una civiltà radicata, un’esemplarità democratica, stile di vita, pluralismo, primato etico-scientifico-culturale, etc. Proprio per questo viene sommerso da valanghe di menzogne e di fango smisurato, da aggressioni armate da sette lati, da terrore quotidiano, da invidia funesta.
Questo piccolo, grande libro ci mostra perché Israele riesce a vivere dove qualsiasi altro soccomberebbe, anzi migliora la propria esistenza in condizioni impossibili: offre la pace e riceve la guerra, vince la guerra e riceve l’odio del mondo.
Israele viene de-umanizzato, perché mentre agisce nella priorità naturale della propria difesa esistenziale contiene nello stesso tempo le ragioni della libertà-dignità di tutti gli uomini, perché fa, come nell’azione anti-atomica contro l’Iran, quello che dovrebbe fare una coalizione di democrazie unite contro il terrore. Perché indica la via dell’onore e della libertà contro il totalitarismo offensivo di oggi.
Da qui l’urlo di morte, la caccia all’Ebreo, l’Ebreo de-umanizzato che prepara l’Ebreo sterminato. Da qui progressisti ciechi e sordi che cadono nello spaventoso regresso di una caduta nel fantasma dell’Ebreo genocida per organizzare la realtà genocida contro gli Ebrei di Israele, accusati del crimine di esistere. L’ideologia del progresso smentisce se stessa, e costruisce l’abisso antropologico di un crollo disumano.
Si inizia con la fisicità di una striscia di terra:
“Parleremo quasi solo di ciò che è accaduto nella piccola striscia di terra che va dalla vetta montuosa del Monte Hermon e dall’altipiano del Golan a nord, fino a Eilat sul Mar Rosso a sud; dal fiume Giordano a est al Mar Mediterraneo a ovest: una lunghezza di 430 chilometri e una lunghezza massima di 110, per una superficie complessiva di poco meno di 28,000 chilometri quadrati, poco minore cioè di quella dell’Emilia Romagna e un po’ maggiore di quella del Piemonte o della Sicilia.
È un territorio difficile, quasi per due terzi arido o desertico, con un solo grande bacino di acqua dolce (il Lago di Tiberiade, 166 chilometri quadrati, di dimensioni cioè paragonabili al Lago di Como) e un piccolo fiume, il Giordano (…) I paesaggi e i climi sono straordinariamente variabili, dall’aspetto alpino del Monte Hermon su cui si scia, al deserto infuocato del sud, passando per gli uliveti delle colline centrali e dalla costa sabbiosa. Dal punto di vista orografico, il territorio è caratterizzato nel senso della lunghezza nord-sud da una stretta pianura costiera, che è stata a lungo malsana e malarica, ma oggi è il centro industriale, residenziale ed agricolo del Paese.” (Volli, p. 25)
Dunque, una realtà piccola e aspra che smentisce la falsità roboante di un “imperialismo-colonialismo”. Una terra trasformata con amore da un popolo già disperso e perseguitato che ritorna nella sua casa, unico posto al mondo che legittima, in un molteplice senso – naturale, storico, religioso, giuridico – la nascita dello Stato ebraico. Legittimità provata e riprovata da un ininterrotto flusso di presenza fisica, profondo legame spirituale, memoria viva, continua realtà esistenziale di corpo e anima, mai venuta meno, che ritrova una sua nuova potenza etica con il Risorgimento Sionista.
Gli Ebrei non sono mai andati via dalla loro Terra, sono stati deportati e sono tornati, sono stati massacrati e i sopravvissuti sono rimasti, sono tornati nella loro casa in via definitiva appena hanno potuto farlo. Prima non hanno potuto. Sono passati tanti secoli, e il legame popolo-terra è vissuto forte e indistruttibile, è stato più che una resistenza; non si è mai incrinato, fino a strappare in piena autonomia il riconoscimento tardivo della legalità internazionale.
Persecuzioni periodiche e sistematiche, pogrom sanguinari, ghetti, Shoah, guerre di aggressione e invasione, intifada, 7 ottobre. Hanno consacrato la Terra e poi lo Stato di Israele come paese-rifugio e indipendenza politica del popolo ebraico.
“La ricerca del ritorno in patria, fu dunque sempre diretta verso la Terra di Israele e in particolare il suo centro politico e spirituale, Gerusalemme, che nella Bibbia è spesso chiamata Sion, dal nome di una delle due colline su cui è costruito l’antico centro della città. Di qui il termine ‘sionismo’, che indica il movimento che vuole riportare gli ebrei nella loro terra, costruire e difendere il loro Stato. La fondazione dello Stato di Israele è un ritorno a Sion.” (Volli, pp. 27-28)
Eventi terribili vengono ricordati:
“La conquista romana, iniziata nel 63 A.E.C incontrò una resistenza accanita e si realizzò solo per mezzo di una terribile repressione genocida, con milioni di morti. È in questo contesto che si colloca storicamente anche l’esecuzione di Gesù di Nazareth, ebreo di nascita e di formazione, che i romani uccisero usando il supplizio riservato ai ribelli, e accusandolo di voler essere ‘rex Iudeorum’. Al suo culmine, i romani distrussero Gerusalemme e il Santuario, e cambiarono nome alla Terra di Israele, chiamandolo per sfregio ‘Syria Palestina’ invece che Giudea, traendo questa denominazione da un vecchio nemico del popolo ebraico da tempo distrutto, i Filistei. Proibirono al popolo ebraico persino, per un certo periodo, la pratica religiosa e l’accesso a Gerusalemme.” (Volli, p. 29)
Inizia la dispersione e l’esilio, ma una minoranza tenace rimase e accese le luci della grande cultura ebraica con la creazione della Mishnà e del Talmud. Attaccati alla santa Terra di Israele, rimasero nei venti secoli in cui la maggioranza era in esilio. Gli Ebrei della diaspora si tassarono per mantenere quelli che restavano, vi furono diversi tentativi di ritorno e continui viaggi spirituali. La preghiera quotidiana era sempre rivolta a Gerusalemme.
“Durante questo lungo periodo si ebbero anche in Terra di Israele notevoli momenti di fioritura economica e culturale. Per esempio, a Safed in Galilea, nel XVI secolo si sviluppò la fase più matura e affascinante della Kabbalà, il misticismo ebraico.” (Volli, p. 30) L’Islam rifiuta il Risorgimento sionista e la patria ebraica indipendente, per un radicato razzismo antiebraico che considera gli Ebrei esseri inferiori. I dirigenti arabi disponibili alla trattativa con Israele vengono uccisi. Nella tradizione araba non c’è posto per le nazioni, tutto si concentra nella comunità (Umma) di tutti i credenti musulmani.
David Elber ricostruisce con precisione documentale “Gli insediamenti ebraici nel periodo ottomano” (cap. II) e “Verso la costruzione del moderno Stato di Israele” (cap. III).
Si focalizza l’opera di Ben Yehuda, con l’eccezionalità della creazione della nuova lingua ebraica:
“Con spirito sionista si mosse Ben Yehuda per far rivivere l’antica lingua ebraica, vista da lui come uno strumento necessario e indispensabile per ‘ricreare’ il popolo ebraico e porlo al pari degli altri popoli. Ben Yehuda (nato Eliezer Perlmann) compì un’opera straordinaria facendo rinascere l’ebraico. Ciò divenne il catalizzatore per tutto il popolo ebraico, con una forza tale da mettere in ombra ogni altro fattore intellettuale e culturale. Non pochi furono i suoi detrattori, anche all’interno del mondo ebraico, e non poche furono le amarezze e le sofferenze subite per portare a compimento la sua impresa. Il lavoro di Ben Yehuda prese forma nel 1891, sotto forma di un dizionario ebraico, che lo impegnò per tutto il resto della sua vita. Ai termini della lingua antica affiancò innumerevoli neologismi da lui stesso coniati, oltre che termini presi da altre lingue come l’arabo, l’aramaico, le lingue occidentali. Il testo fu completato con il sedicesimo volume solo nel 1959 (Ben Yehuda morì nel 1922).” (Elber, p. 43)
Si rende onore a Theodor Herzl, leader del sionismo e tra i fondatori dello Stato Ebraico. Elber si concentra sul ruolo essenziale del Mandato per la Palestina:
“Il Mandato per la Palestina è lo strumento giuridico creato dalla comunità internazionale dopo la fine della Prima guerra mondiale, al fine di ricostruire lo Status nazionale del popolo ebraico per permettere la sua autodeterminazione, al pari di tanti popoli. Esso nasce dal combinato disposto dell’Articolo 22 del Patto della Società delle Nazioni e dai principi espressi con la Dichiarazione Balfour e sulla costruzione del Jewish National Home fatti propri dalla comunità internazionale, a iniziare dalla Risoluzione di Sanremo.” (Elber, p. 57)
Verso la proclamazione dello Stato di Israele, la guerra civile scatenata dagli arabi diventò sempre più sanguinosa e distruttiva: decine di villaggi ebraici vennero aggrediti dagli arabi. Gli ebrei si organizzarono nella Haganah (istituita nel 1920) e altre organizzazioni paramilitari, con una controffensiva in previsione dell’indipendenza e della minacciata invasione araba.
“Il problema maggiore era rappresentato dalla grande carenza di armi ed equipaggiamento militare. Infatti gli Stati Uniti avevano deciso un embargo totale sulle forniture militari dal dicembre del ‘47 (embargo che durerà fino alla metà degli anni ‘60), mentre gli inglesi preferivano fornire gli arabi o distruggere i depositi di armi presenti sul territorio piuttosto che darli agli ebrei. La svolta che permise la sopravvivenza del nascente Stato ebraico fu un importante rifornimento di armi decoslovacche che arrivò in Israele alla vigilia dell’indipendenza, permettendo di controbilanciare gli armamenti in possesso degli arabi.” (Elber, pp. 45-46)
Ugo Volli scrive “La lunga storia del terrorismo arabo e Israele” (cap. V). I primi immigrati ebrei erano in un certo senso filo-arabi e sionisti socialisti, ma vennero attaccati dagli arabi.
“I nuovi immigrati non accettavano di subire le violenze e le umiliazioni che i loro vicini arabi erano abituati a imporre, e avevano il progetto esplicito di creare una società e un’economia autonoma basata sul lavoro ebraico. Non perché disprezzassero i vicini arabi, giacché erano quasi tutti progressisti e socialisti che credevano nella liberazione dei popoli oppressi, arrivavano in Terra di Israele in genere convinti che ci potesse essere amicizia con i vicini arabi, e cercarono in molti modi di realizzarla. Nè erano colonialisti, proprio per le loro convinzioni rifiutavano di sfruttare il lavoro delle masse miserrime dei contadini e pastori arabi, mentre tentavano di riabilitare con le loro mani, e con la moderna tecnologia agricola europea che si erano sforzati di apprendere, una terra abbandonata da secoli e diventata poverissima, paludosa e malarica nelle zone costiere o inaridita fino al deserto nell’interno.
Tutte le attività diplomatiche fondate sul criterio “terra in cambio di pace” fallirono con tutte le loro concessioni e illusioni, mentre l’arroganza e la crudeltà terrorista degli arabi aumentava a dismisura.
Una punta aggressiva e insidiosa dell’antisemitismo militante è costituita dalla questione degli “insediamenti”, definiti con arbitrio “colonie”, cioè gli insediamenti israeliani in Giudea e Samaria.
“Questi insediamenti sono perfettamente legali, dato che quei territori non sono ‘occupati’ ma contesi, giacché alla fine del mandato britannico, dopo l’effimera e non riconosciuta occupazione giordana essi non hanno uno statuto internazionale definito se non per quel che prescriveva la delibera della Società delle Nazioni, che dopo la fine dell’Impero Ottomano istituiva anche su quei territori il Mandato per la Palestina allo scopo di creare una patria per il popolo ebraico. Non c’è nessuna ragione giuridica perchè questi territori dovrebbero appartenere a uno Stato palestinese, per altro mai stabilito con un trattato e inesistente alla luce della definizione giuridica di Stato, che include certezza dei confini e della popolazione, autonomia economica ed esclusività dell’esercizio della forza, tutti requisiti non soddisfatti dall’Autorità Palestinese.” (Volli, p. 164)
Niram Ferretti scrive “Il Jihad di Hamas contro Israele” (cap. VIII).
La terribile teologia-ideologia di Hamas è antisemita in senso assoluto, eliminazionista esplicita, senza mezzi termini. Il 7 ottobre ha realizzato il programma genocidario contenuto nel suo statuto.
La scomparsa di Israele “si fonda su una interpretazione che considera ogni terra conquistata storicamente dall’Islam come suo possedimento definitivo, come recita l’articolo 11 dello Statuto: ‘La terra della Palestina è un waqf islamico’ [sacro possesso].” (Ferretti, p. 170).
Ferretti demolisce con evidenze fattuali e argomenti la guerra psicologica sul genocidio di Gaza, costruito per coprire il loro effettivo tentativo di genocidio.
Ferretti conclude il libro con queste parole:
“L’itinerario storico-politico che abbiamo offerto al lettore, tra le altre cose, ha voluto mostrare come, dal 1948 ad oggi lo Stato ebraico sia stato sottoposto a costanti tentativi di distruzione e a una perenne delegittimazione che la guerra iniziata contro Hamas, a seguito del 7 ottobre, non ha fatto che incrementare. A fronte di queste sfide estreme, Israele ha resistito con continuazione e forza cercando sempre il dialogo e la convivenza con la parte piu disponibile del mondo islamico. Il futuro può essere quello della pace e della concordia, nel rispetto reciproco delle proprie identità. Affinché ciò sia possibile, deve essere un obiettivo condiviso.” (Ferretti, p. 187)
Mirare alla pacificazione-riconciliazione richiede un’inversione del bellicismo antisemita israelofobico imperante, mascherato da pacifismo. Richiede pressione politica e deterrenza sul mondo arabo islamico e non su Israele, richiede fermezza, difesa preventiva a partire dalla condanna politica e morale e dalla distruzione dell’apparato atomico e terrorista e dell’Iran. Richiede la ricostruzione dell’unità occidentale contro le correnti antioccidentali autodistruttive.
Questo libro ci invita a: salvare gli Ebrei dai mostri infernali, salvare Arabi e Iraniani dai tiranni e dal terrore, salvare la civiltà dalla barbarie, in una prospettiva di pace e convivenza.
