Israele e Medio Oriente

Disconoscere Israele è disconoscere noi stessi

Nello statuto dell’organizzazione politico-terroristica di Hamas si dichiara apertamente il perseguimento dell’ideale della cancellazione dello Stato di Israele liberando la Palestina dal Giordano al Mediterraneo. Tale concetto viene ribadito anche nel nuovo statuto, quello del 2017, che non ha abrogato quello precedente, con toni un po’ più sfumati ma comunque espliciti. Lo stesso discorso vale per quella che, secondo Hamas, dovrebbe essere la possibile convivenza delle altre religioni con l’Islam: possono convivere con l’Islam solo se poste all’ombra di questo.

L’impraticabilità strutturale del modello dei due Stati 

È noto il fatto che medesimi ideali sono anche quelli che da decenni animano la classe governante islamica iraniana. Dalla lettura dello statuto di Hamas, sia il vecchio che il nuovo, emerge ben chiara una postura intellettuale islamica che non tollera minimamente l’idea dei due popoli e dei due stati; si tratta di una posizione esistenziale ben prima che politica e/o territoriale.

Nel corso degli anni Israele più volte si è dichiarato disponibile al riconoscimento di uno Stato palestinese chiedendo, a sua volta, che da parte palestinese venisse riconosciuto lo Stato di Israele. Dopo la guerra dei sei giorni del 1967, Israele prese il controllo della striscia di Gaza, oltre che della Cisgiordania e di Gerusalemme est, dichiarandosi disponibile a una trattativa in cambio della pace e del proprio riconoscimento, ma dal vertice della Lega Araba a Khartoum arrivarono tre no: no alla pace, no al riconoscimento, no ai negoziati. Si tenga presente che Gaza, dal 1949 era stata sotto il controllo dell’Egitto per 19 anni e non risulta vi siano mai stati tumulti per rivendicare l’indipendenza, considerando anche il fatto che gli arabi-palestinesi non fossero certo trattati amorevolmente: ma l’Egitto non è Israele.  

Alla luce di quanto detto, se guardassimo la situazione immaginandoci all’interno dello Stato di Israele, ci vedremmo accerchiati da nemici implacabili. L’uso della forza, con tale forza nella propria difesa, nasce da una condizione reale di assedio ideologico e fisico da parte di chi tenta in ogni modo di annientarti. Il pogrom del 7 ottobre è  stato un atto di guerra a tutti gli effetti, come fu un atto di guerra quello dei giapponesi a Pearl Harbor e come lo fu quello dell’11 settembre del 2001 negli Stati Uniti.

Il nostro ragionare secondo la logica politica ci porta da sempre a inquadrare la questione israelo-palestinese secondo la dialettica hegeliana della tesi, l’antitesi e la sintesi: come facciamo a fare convivere ebrei e palestinesi (Islam) gli uni accanto agli altri? Creiamo due stati nello stesso territorio, e il problema è risolto. Tuttavia non si arriverà mai a tale pseudo-soluzione per la semplice ragione che in ambito islamico non sono utilizzabili le nostre categorie mentali.

La dialettica hegeliana, con il suo punto di caduta nella sintesi che, in parole povere, è il nome filosofico del compromesso, non è contemplabile dalla mentalità musulmana. Il punto di vista islamico, prettamente religioso, costituisce l’unica dimensione ammissibile, non contempla né variabili dipendenti né variabili indipendenti. Non esiste una politica islamica scollegata dall’Islam, come, per la stessa ragione, non esiste nemmeno un concetto di Stato così come noi lo conosciamo e intendiamo dall’illuminismo in poi e non esiste neanche l’idea di contratto sociale di Rousseana memoria. Riprendendo il lavoro di Wael Hallaq, per i musulmani il governo islamico è sottomesso al volere di Dio e quindi è ingabbiato all’interno di norme etico-morali, rinvenibili all’interno del Corano e della Sunna, che non hanno parallelismi con nessun stato europeo. In ragione di quanto detto è altamente improbabile si possa giungere alla costituzione di uno Stato palestinese a fianco di quello di Israele su un territorio che è praticamente il medesimo. Per il musulmano lo Stato si estende fino a dove vi sono musulmani, i non musulmani sono infedeli. Sotto il profilo psicopedagogico la mentalità islamica non è strutturata per concepire cambiamenti di tale portata.   

L’Occidente come male assoluto

Venendo all’oggi, al dramma della guerra a Gaza che vede morire ogni giorno decine di civili arabi palestinesi, fra i quali donne e bambini, è giusto piangerne la sorte e sdegnarci ma sdegnarci contro chi e che cosa? Tutto quello che sta accadendo è stato generato dalla tremenda carneficina del 7 ottobre avvenuta per mano di Hamas, la quale ha condotto inevitabilmente a una guerra. Del resto che cosa avrebbe dovuto esserci?

Dall’8 ottobre 2023 Hezbollah iniziò a lanciare razzi/missili contro Israele e ad oggi, il loro numero è oltre quota 7000. Quale avrebbe dovuto essere la risposta di Israele? Quale dialogo o strategia diplomatica sarebbe stata possibile con un nemico che in un solo giorno ha seviziato e ucciso 1.200 cittadini, entrando nelle loro case, rapendone altri 250? Quale avrebbe dovuto essere l’interlocutore e/o controparte diplomatica? Come è impostabile la trattativa con una controparte per la quale l’interlocutore ebreo non ha diritto all’esistenza? Come trattare, diplomaticamente, con un nemico che è il sicario di un mandante che si trova a migliaia di chilometri di distanza, l’Iran? Chiediamoci anche: perché delle distruzioni operate per mano dell’esercito russo in Ucraina non viene riportato un costante bollettino delle vittime civili come avviene per le vittime di Gaza? Perché non è dato sapere dai giornali e dalle televisioni quante donne, bambini e anziani hanno perso la vita e la perdono sotto quelle bombe? Quanti sono esattamente i bambini ucraini deportati in Russia?

Hamas non perde occasione per informare il mondo sulle perdite delle vite innocenti, e secondo i numeri forniti, l’esercito israeliano avrebbe ucciso solo civili e in sovrannumero, donne e bambini. In un articolo del Wall Street Journal, viene riportato un messaggio di Yahya Sinwar, l’architetto del 7 ottobre, indirizzato ai leader di Hamas a Doha, in cui traccia un parallelismo tra il conflitto a Gaza e la guerra civile algerina, conflitto che ha causato centinaia di migliaia di vittime. «Questi sono sacrifici necessari» scrive Sinwar. Tuttavia, di questo non viene tenuto conto. In quanto rappresenta l’Occidente, Israele deve essere ritenuto responsabile di qualunque efferatezza, fino alla messa in pratica di un genocidio. Si deve narrare il conflitto come una guerra che Israele sta conducendo contro i bambini di Gaza, bambini che Hamas usa come scudi umani. Non si deve chiedere conto a Hamas delle morti dei civili palestinesi, anche se ne è responsabile, in quanto è l’Occidente che deve risponderne comunque. In base a questa narrativa, noi occidentali, insieme agli ebrei, siamo la causa di tutti i mali del mondo, siamo il male assoluto. 

Postilla teologica

In un’Europa indifferente alla verità storica della propria identità culturale fondata dall’incontro fecondo di Atene e Gerusalemme con il diritto romano, c’è poca disponibilità alla presa d’atto delle ragioni dello Stato ebraico. L’identità ebraica, come è noto è definita dal segno nella carne della circoncisione e dalla discendenza matrilineare. A proposito di questo, nel Concilio Vaticano Secondo, alla luce di un approfondimento storico-teologico della mariologia, si è stabilito il concetto di Maria come “Figlia di Sion”, cioè figlia di Israele. Allo stesso tempo nel Vangelo secondo Giovanni, 19, 25-27, è scritto «Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco il tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa».

Come insegna la teologia cristiana, sappiamo anche che ai piedi della Croce l’apostolo Giovanni rappresenta tutta l’umanità. Unendo queste parole evangeliche alla visione del Concilio non ci sembra azzardato sostenere che noi cristiani, per discendenza matrilineare, siamo tutti figli di Sion.   

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