Il gruppo musicale i Patagarri, che ieri, sul palco del Concerto del primo maggio ha invitato il pubblico a ripetere il grido “Palestina Libera”, con l’aggravante di suonare prima la Hava Nagila, celebre e festosa canzone ebraica, sono l’ultimo ma certo non definitivo esempio della forza dirompente della propaganda.
Ormai incitare alla scomparsa di Israele, alla sua distruzione, è diventato un luogo comune, il fiore all’occhiello della propria autocertificata nobiltà d’animo.
Come si fa, infatti, a non soffrire per il “popolo palestinese”, realtà creata ad hoc nei laboratori di Mosca a metà anni Sessanta per fornire ad Arafat la patente di “resistente” contro l’oppressione “colonialista” e “imperialista”?
La Palestina, come toponimo, ha cessato di esistere dal 1948, dopo essere tornata in essere brevemente a seguito della fine della Prima guerra mondiale in virtù degli inglesi, dopo cinquecento anni di oblio, quando la regione era sussunta all’interno dell’impero ottomano.
Chi oggi pronuncia questo slogan intende una cosa sola, la scomparsa di Israele, e infatti, in genere, viene declinato in modo più completo, “Dal fiume al mare, Palestina libera”. Significa, se non altro, essere più onesti. Ma la propaganda è per sua natura nemica di ogni onestà. D’altronde, una volta che si è cominciato a fare uso del termine “genocidio” privandolo della sua specificità e attribuendolo solo alla guerra a Gaza (nessuno lo ha mai adoperato con pari disinvolta e persistente insensatezza, per il Darfur, per lo Yemen, per la Siria, per l’Iraq), si è ormai entrati in un territorio in cui la realtà è scomparsa. È il territorio appunto della propaganda, che alla verità sostituisce la menzogna, dove il bianco è nero e il nero è bianco.
Questa guerra in corso, più di ogni altra combattuta da Israele, è quella che ha affossato ogni criterio di razionalità e senso in merito alla comprensione di un conflitto.
Molti pensano che “Palestina” sia il nome di una regione a cui appartiene un popolo autoctono e sulla quale si è impiantata una realtà aliena (Israele) che con essa non ha alcun rapporto, dunque deve essere “liberata”.
Sono gli stessi che ottanta anni fa ritenevano che per liberare la Germania dal “virus” ebraico, fosse necessario eliminarne i portatori.
