Nell’ora delle svolte drammatiche, nell’ora delle scelte di vita o di morte per la libera esistenza di Israele, si impone per noi il dovere, l’onore, l’amore di stare in toto con Israele, contro un nemico genocida, sadico, apocalittico. Anzi, non basta solidarizzare in pieno, ma è necessario, doveroso, giusto, vivere una immedesimazione identitaria con Israele.
Dobbiamo passare da stare con Israele a essere Israele.
Questo vale prima di tutto per le Comunità Ebraiche nel mondo, che già sono lo stesso popolo, di israeliti e israeliani, dalla diaspora a Eretz Israel (ma non sempre se ne traggono tutte le conseguenze). Poi per noi sionisti, e per gli amici di Israele.
Inutile, meschino, ingiusto lamentarsi di essere in pochi. Più del numero conta il peso. Certo, il numero è piccolo e può aumentare di poco con difficoltà; il peso, quello che conta in questa terribile contesa, invece è grande.
La stessa esistenza ebraica è stata ed è un miracolo di fede, vita etica, identità, da sempre e per sempre, roccia incrollabile di fronte a una catena plurimillenaria di persecuzioni, stragi, deportazioni, stermini. Con alcune tregue di relativa distensione.
Sappiamo che l’elezione di Israele è costitutiva, il popolo del Patto con Dio viene scelto da Dio come un piccolo popolo. Il messaggio biblico venne rifiutato dagli imperi, dalle grandi nazioni, e invece accolto e fatto proprio da un piccolo popolo. Popolo eletto perché si fa carico del primato dell’Etica e del primato del Dovere.
La rivoluzione sionista, come passaggio dall’ebreo ricurvo sottomesso all’ebreo orgoglioso e sfidante, pilastro della rinascita ebraica è, per definizione, una scelta minoritaria. Gli amici di Israele sono sempre stati in minoranza, nel coinvolgimento di persone e settori di opinione pubblica dalla mente aperta, liberali, di fede democratica.
Giorno dopo giorno si scatena la furia antisemita e antisionista della disinformazione, della menzogna, del ribaltamento della realtà di fatto e dei valori, da parte degli imperi mediatici, delle potenze, delle democrazie arrendevoli e capitolarde. L’incessante flusso mediatico e dell’idiozia digitale è diventato il megafono di Al Jazeera e di Hamas. Nel migliore dei casi, una mezza Al Jazeera in una fragile, equivoca “equidistanza”.
Questo accade in una cornice democratica, dove è presente almeno una crosta sottile di civiltà sopra un magma espansivo di odio, rancore, cultura della morte e indifferenza. Sappiamo e immaginiamo cosa sia la terribile “informazione” diretta e e massicciamente orwelliana dei paesi totalitari e del Sud globale. In queste condizioni, la vittoria della guerra ibrida dei regimi totalitari e dei sistemi terroristi nazislamici è facile, scontata.
Una competizione quantitativa risulta impossibile. Le ragioni della civiltà ebraica restano confinate in ambiti di nicchia, se non di samizdat da eroico dissenso. Ma quello che si perde nella piccolezza dei numeri si ottiene nella grandezza dei motivi, delle ragioni, della nobiltà del messaggio, dalla particolarità-singolarità ebraica alla universalità umana della ricerca della verità.
Tra cinquanta o cento anni quasi tutti comprenderanno, se le democrazie saranno capaci di salvare sé stesse dall’offensiva totalitaria e terrorista. Ma noi abbiamo bisogno oggi di salvezza vitale, difesa intransigente, resistenza ad ogni costo. La coscienza che l’eroismo resistenziale di Israele – insieme a quello del popolo ucraino, dei paesi baltici, di Taiwan e Hong Kong, l’opposizione iraniana, le donne afgane, il dissenso arabo, le correnti occidentali fedeli ai valori – moltiplica le energie, anima i combattenti della libertà, apre la via della pace futura.
Dopo il 7 ottobre, nell’immediatezza incandescente di un orrore infinito, ci siamo detti che avevamo l’obbligo morale di imparare la lezione. L’amara verità che le illusioni e le concessioni avevano reso possibile l’orrore di quell’azione genocida ci aveva fatto comprendere che non dovevamo ripetere quegli errori. Invece, in larga misura, li stiamo ripetendo. Una parte dell’establishment israeliano ed ebraico continua a ripetere quegli errori.
La sconfinata entità del 7 ottobre e la realtà della pianificazione di nuovi e più estesi 7 ottobre richiedeva come necessaria e giusta una vera guerra di difesa per l’annientamento di Hamas e il contenimento dell’Iran.
Invece, tranne alcune azioni efficaci esemplari, Israele si è limitata ad operazioni di polizia: Hamas, pur duramente colpita, si ricostruisce con nuovi reclutamenti e finanziamenti. Una parte delle famiglie degli ostaggi ha costituito una lobby dove la comprensibile, umana disperazione è stata strumentalizzata a favore di inaccettabili riconoscimenti e concessioni al terrore sterminazionista. Soluzioni dannose per l’insieme delle famiglie ebraiche, perché avrebbero incentivato la criminalità cinica di Hamas per una permanente strategia di presa di ostaggi, per ricattare e dividere Israele.
L’amministrazione Biden aveva imposto continui impedimenti alla difesa israeliana; l’amministrazione Trump ha fatto scempio delle sue roboanti, fasulle promesse e oggi realizza una politica israeliana che oscilla tra l’abbandono e il tradimento; certo sta praticando l’isolamento di Israele. Il viaggio in corso del capo della Casa Bianca in Medio Oriente esclude perfino una sosta in Israele, perché mira ad accordi di potenza alle spalle e a discapito di Israele. Gli inviati di Trump in Medio Oriente, buffoni e gaglioffi analfabeti, definiscono i rappresentanti di Hamas “bravi ragazzi senza le corna”. La politica mediorientale trumpiana si allontana dagli storici accordi di Abramo e rischia di allinearsi all’infame voltafaccia sulla libertà dell’Ucraina, a favore di accordi di spartizione con il regime fasciocomunista di Putin. Trump preferisce e favorisce il regime di Putin, che è alleato ufficiale di Hamas, Hezbollah e Iran.
L’Unione Europea si sta risvegliando in parte di fronte alla minaccia diretta del terrore russo, ma resta fissata in una ottusa politica anti-israeliana e per una pacificazione con il terrore islamico. Più l’ebreo tra gli Stati è costretto a difendersi da solo, più si amplifica la violenza antisemita della guerra ibrida da parte di tutti gli attori antiebraici e antioccidentali. Chi ha occhi per vedere e mantiene un cuore umano sa bene che la retorica sui bambini arabi di Gaza capovolge realtà e verità.
Di recente Niram Ferretti ci ha ricordato una cosa che sappiamo, ma che spesso dimentichiamo: la continuità nell’aggiornamento di un tremendo antisemitismo.
“Da perfido ebreo a perfido sionista, da ebrei assassini di bambini cristiani a ebrei assassini di bambini palestinesi, da ebrei avvelenatori di pozzi ad ebrei genocidi, da ebrei usurai ad ebrei ladri di terra altrui, ecc. (…) Dalla Germania libera dal veleno giudaico e quindi poi libero il mondo, si è giunti alla Palestina libera dal fiume al mare”.
Di tutti i morti tra gli abitanti arabi di Gaza il responsabile politico, militare, morale è in tutto e per tutto Hamas con il padrone iraniano, con la loro disumana cultura della morte e della schiavitù, che non ha nessuno scrupolo nel mandarli a morire, anzi invoca la gloria e il dovere del martirio. Israele, in una terribile situazione a Gaza, continua a compiere azioni selettive e mirate precedute da evacuazioni annunciate della popolazione. Ve la immaginate Hamas che prima del 7 ottobre chiede l’evacuazione degli ebrei? Eppure questo dato così semplice ed elementare continua a non interrogare la coscienza di chi si crede persona civile.
Bisogna fare quanto è necessario per salvare la vita ebraica e la causa universale della libertà e della democrazia, senza preoccuparsi di farsi accettare da un mondo sordo e ostile, senza persistere nella illusione che le concessioni possano ammorbidire spietati, abominevoli genocidi. L’esperienza e l’orientamento valoriale ci hanno insegnato che i pacifisti sono i primi a essere massacrati, e che la difesa dal terrore deve raggiungere la sua sconfitta e solo così si può aprire la strada della pace.
La bettola razzista a Napoli
Orribile e grottesca la vicenda della Trattoria a Santa Chiara a Napoli, dove una titolare fanatica antisemita caccia una civilissima coppia di turisti ebrei israeliani. Una militante in servizio permanente di odio razzista antiebraico che pretende di instaurare la pratica del negozio ariano vietato agli ebrei. Poi, una piazza antisemita invoca la barbara sistematicità di questa prassi di odio nazista.
Si invoca la consueta demonizzazione de-umanizzazione di Netanyahu, quando invece la gentile signora israeliana espulsa fa liberamente parte di un partito della sinistra israeliana che esercita una legittima critica del primo ministro. Ma l’estremismo dei sostenitori del nazislamismo ignora ogni limite.
Un grigio e vile Sindaco di Napoli che, dopo aver espresso una fredda e formale solidarietà alla coppia israeliana espulsa, passa poi al sostegno ufficiale all’attivista antisemita della bettola, in continuità con le gesta del famigerato talebano antisemita “sindaco di strada” De Magistris, che ovviamente si era posto in prima fila nell’antisemitismo militante e permanente.
Una vergognosa azione antisemita, antisionista e anche anti-napoletana, se è vera una tradizione cittadina di umana ospitalità e generosa accoglienza per tutti. Che si è espressa nella presenza storica delle giudecche, liberi quartieri ebraici nel cuore della città, nel regno del saggio imperatore Federico II protettore degli ebrei e delle minoranze, e nel ritorno degli ebrei sia pur provvisorio per volere di re Carlo di Borbone. I fanatici antisemiti napoletani di oggi, lo sappiano o meno, sono i continuatori dell’espulsione degli ebrei dal vice regno spagnolo, della folla plaudente alla visita ufficiale di Hitler a Napoli per la parata navale, del colonnello Scholl che versò il sangue degli insorti delle Quattro Giornate.
Speranza di dialogo
Il dialogo ebraico-cristiano potrebbe riprendersi, dopo i gravi passi indietro causati da gesti di restaurazione anti-giudaica e anti-conciliare. Il Conclave ha evitato certi rischi, da certi curiali italiani; da un diplomatico colpevole di una pericolosa concessione al regime totalitario cinese che opprime i cattolici, da un cardinale con la kefiah. Ha eletto Papa Leone XIV, che si presenta con diversi aspetti positivi, anche se, come sottolineato sulla rivista Shalom, non ci sono precedenti sui rapporti con gli ebrei nella sua biografia. Ci sembrano positivi questi aspetti:
1) i cattolici degli Stati Uniti vivono in una realtà di pluralismo religioso, con un elevato grado di partecipazione e osservanza: evangelici, cattolici, ebrei. Maurizio Molinari, che conosce bene la realtà religiosa di New York, dagli ebrei ai cristiani, ha parlato di una religiosità “fervida”.
Ricordiamo del capolavoro di Roberto Rossellini, il film “Paisà”, il toccante fresco episodio dell’apparizione in un convento di fraticelli francescani di esponenti religiosi dell’esercito degli Stati Uniti: due cappellani militari, uno evangelico e uno cattolico, insieme al rabbino militare. Per gli americani si tratta di una normale abituale coesistenza-convivenza, mentre i fraticelli sono scandalizzati dalla inusuale presenza del rabbino e vengono tranquillizzati dai cappellani cristiani.
2) È un agostiniano, cioè in una tradizione di “fede che pensa”, che era presente anche in Benedetto XVI. Ci hanno ricordato che Agostino aveva scritto: “La guerra è giusta, quando è finalizzata a conseguire la pace.”
Da vescovo missionario in Perù aveva preso una esplicita posizione a favore dell’Ucraina “contro l’imperialismo russo”.
3) Si presenta come un Uomo di Dio, capace di ascolto, di dialogo, di mediazione. Esprime una sincera spiritualità.
4) Supera i segni della retorica pauperistica, mentre mostra un’azione reale a favore degli ultimi.
5) Nella sua prima omelia, Papa Leone ha evitato con chiarezza un populismo assolutorio e accattivante che accontenta tutti, e ha parlato invece di un “ateismo di fatto” nei comportamenti di molti battezzati. Inoltre, Robert Francis Prevost ha espresso un significativo slittamento dalla religione-istituzione alla vivente comunità religiosa orizzontale. In questo, vi sono analogie significative con le posizioni dello storico Rav Abraham Joshua Heschel, storico alleato di Martin Luther King. E anche in affinità con le “comunità morali” di Jonathan Sacks, molto attivo nel dialogo interreligioso nel Regno Unito.
Israele e la diaspora ebraica vivono da millenni grazie a una tradizione di Trascendenza che si rinnova ad ogni generazione, sono radice e linfa santa del monoteismo etico e del dialogo interreligioso, con finalità anti-idolatriche, per azioni etiche affini e comuni.
