Terrorismo

L’attentato di Washington DC è un classico caso di terrorismo pro-Pal

L’attentato di mercoledì 21 maggio a Washington, costato la vita a due giovani israeliani che lavoravano presso l’ambasciata, oltre a riconfermare per l’ennesima volta il dilagare dell’antisemitismo camuffato da “antisionismo”, ha anche fatto emergere un aspetto importante per quanto riguarda il fenomeno terroristico, fino adesso ignorato dai tanti, ovvero che non c’è soltanto il terrorismo di Hamas o Hezbollah, ma anche il “terrorismo pro-Pal”.

Molti, anche tra gli “addetti ai lavori”, storceranno il naso o si scalderanno nel sentire questo termine, ma a noi ovviamente non interessa.

Il terrorismo, ovvero la violenza deliberata e sistematicamente perpetrata per fini ideologici, politici o religiosi, è tale a prescindere dalla causa. Lo è in quanto modus operandi e in base alla volontà di seminare terrore tra la popolazione, all’interno di un contesto specifico. Come dice Boaz Ganor, direttore dell’International Institute for Counter-Terrorism, è “violenza deliberatamente perpetrata contro civili per fini politici”.

L’attentatore di Washington ha ucciso “per la Palestina, per Gaza”, come da egli stesso gridato mentre mostrava una kefya rossa e sbraitava “Free Palestine”, durante l’arresto. L’ideologia è più che evidente e non serve aggiungere molto altro a parte che quanto avvenuto è conseguenza di una violenza verbale ed anche fisica dei pro-Pal e pro-Hamas che va avanti in Europa e negli Stati Uniti da oltre diciassette mesi. 

Non si darà molto spazio al terrorista di Washington perchè è esattamente quello che auspicava con la propria azione, ma ci si limiterà a dire che il soggetto in questione, di origini ispaniche, era legato al Party for Socialism and Liberation (PSL), gruppo di estrema sinistra ampiamente attivo nelle manifestazioni anti-Israele a fianco di una moltitudine di altre formazioni islamiste e della far-left.

Quello che invece faremo è utilizzare l’attentato da egli commesso per indicarne la correlazione tra “teoria e pratica”. L’estremismo è la componente ideologica che alimenta l’azione violenta, l’attentato terroristico. Come illustrato da Noor Dahri, direttore del think tank britannico Islamic Theology of Counter Terrorism: 

La sua azione (dell’attentatore di Washington) ha avallato il manifesto di Hamas per l’assassinio degli ebrei in nome dell’Intifada globale. Questa è la visione della rivoluzione dell’IntifadaL’Intifada globale significa l’annientamento degli ebrei dalla faccia della terra”.

Cos’è il terrorismo pro-Pal? E’ quello che si muove all’interno di quella zona ibrida, non strutturata, indicata da Dahri come “Intifada globale”, dove si fondono formazioni di estrema sinistra, antisemiti, odiatori di Israele e sostenitori di Hamas (che non fanno però parte dell’organizzazione islamista palestinese).  

Negare che esista il terrorismo “pro-Pal” significa essere ideologici, implica il non volere vedere il problema. Il terrorismo è un fenomeno dinamico, adattabile in base agli obiettivi, in costante mutamento e ciò lo abbiamo imparato in particolar modo con l’avvento dell’ISIS. Non serve un’organizzazione gerarchicamente strutturata e con una catena di comando e controllo per poter parlare di “terrorismo”. Non comprenderne i segnali per tempo significa dovere correre ai ripari dopo. Non intervenire per non esasperare le tensioni sociali è tanto insensato quanto affermare “sono estremisti ma non terroristi”, affermazione purtroppo più volte sentita, perché poi subentra la realtà e non perdona mai.

In Italia per mesi si sono viste situazioni assurde: dalle liste di proscrizione del Nuovo Partito Comunista (il cui sito e le cui liste di proscrizione sono incredibilmente tutt’ora online) alle parate per le strade con le immagini della senatrice Segre, del console Carrai, di politici, giornalisti, accusati di essere “agenti sionisti”.   

Dalle aggressioni nelle università, come quella dello scorso 15 maggio a Torino da parte dei pro-Pal, che ha portato all’annullamento di un evento contro l’antisemitismo, al continuo incitamento di odio sui social da parte di personaggi ben noti. 

Come illustrato da Stefano Gatti, dell’Osservatorio sull’Antisemitismo: 

Le aggressive manifestazioni “antisioniste” iniziate dal 10 ottobre 2023 sono dominate dalle organizzazioni islamiche vicine alla Fratellanza, slogan, modi di agire, iconografia, sono quelle tipiche dei movimenti sul modello di Hamas. E sono modelli molto aggressivi e che fanno apologia di violenza, seppur (mal) mascherata da “antisionismo” e da afflati “democratici” ed “antirazzisti”. Questo modo di agire ha influenzato anche i movimenti studenteschi (sia a livello di scuola superiore che di università) dove kefiah che occultano il viso, bandiere bruciate e slogan fideistici dominano incontrastati. 

E ancora: 

Come con i movimenti terroristici degli anni ’70 bisogna fargli terra bruciata e, soprattutto, fermare i “cattivi maestri” non fingere di non vederli come negli anni ’70”.

La mancata prevenzione, come dimostra il caso di Washington, porta a conseguenze drammatiche e se non si va oltre il monitoraggio, senza intervenire per fermare il dilagare della propaganda e della narrativa estremista, c’è il rischio che prima o poi qualcosa accada, con tutte le relative e conseguenti responsabilità.  

 

 

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