Mentre Hamas nella Striscia di Gaza continua a giustiziare sommariamente chi non collabora, chi tenta di fuggire o semplicemente chi osa criticare il suo dominio, in Europa si assiste a una recita tragica in cui la realtà viene rovesciata. Diversi governi, guidati dalla Francia, hanno deciso di riconoscere come Stato una Palestina che non esiste: non ha confini definiti, non ha istituzioni credibili, non ha una leadership unitaria. Un’entità mai nata che diventa improvvisamente “realtà” politica per decreto europeo.
Non sfugge a nessuno la contraddizione. Da una parte, un movimento islamista che da anni governa Gaza con la legge del terrore, che usa la propria popolazione come scudo e che proclama apertamente la volontà di distruggere Israele. Dall’altra, i Paesi occidentali che scelgono di premiarlo con un riconoscimento diplomatico. È un gigantesco spot internazionale, pagato con i petrodollari del Qatar, che trasforma l’organizzazione terroristica in interlocutore legittimo e Israele nel colpevole universale.
Emmanuel Macron ha provato a smorzare l’impatto annunciando che la Francia non aprirà la sua ambasciata in un ipotetico Stato palestinese «fino a quando tutti gli ostaggi israeliani non saranno stati liberati». Una precisazione che suona come un’ipocrisia di facciata: prima si riconosce un’entità che non esiste, poi si mette un asterisco, quasi che la liberazione di uomini, donne e bambini rapiti da Hamas fosse una nota a piè di pagina e non la condizione minima per qualsiasi gesto politico.
Intanto, l’Europa vive un collasso interno che somiglia a un’auto-dissoluzione. In Italia, università e atenei sono attraversati da un’ondata di disordini mai vista prima: occupazioni, proteste infinite, rettorati presi d’assalto, eventi accademici cancellati perché “sgraditi”. Gli studenti non sfilano più per il diritto allo studio o per le borse di ricerca, ma per la Palestina, inneggiando a slogan che ricalcano la propaganda di Hamas. Sembra la ripetizione ossessiva di un rituale ideologico, con la differenza che oggi non si inneggia alla rivoluzione, ma a un gruppo terroristico che ha massacrato civili israeliani.
Il virus dell’odio antiebraico si diffonde in ogni settore. Lo si ritrova nella politica, dove non mancano parlamentari che legittimano Hamas come “resistenza”. Lo si vede nello sport, con cori, striscioni e partite trasformate in palcoscenici di propaganda. Qui il Qatar gioca un ruolo diretto: l’emirato che finanzia Hamas e ne sostiene la narrativa sta spingendo apertamente perché Israele venga bandita da tutte le competizioni calcistiche internazionali. Un tentativo di cancellazione sportiva che ricalca quella politica e culturale, e che trova terreno fertile in un’Europa sempre più prona a questa strategia.
Lo stesso clima tossico si avverte nei media, dove interi editoriali indulgono in giustificazioni, omissioni e contorsioni linguistiche per non chiamare il terrorismo con il suo nome. In alcuni quartieri europei, passeggiare con la kippah equivale a esporsi a un’aggressione: un clima di paura che ricorda scenari che il continente aveva giurato di non rivedere.
Il tutto mentre Hamas, a Gaza, continua ad applicare la propria legge spietata. Chi prova a scappare verso i corridoi umanitari viene abbattuto come un disertore. Chi si rifiuta di consegnare beni o denaro viene giustiziato pubblicamente. In parallelo, l’organizzazione investe milioni nella propaganda internazionale, presentandosi come vittima indifesa di un nemico onnipotente. E l’Europa, invece di smontare questa narrazione, la rilancia senza pudore. Il risultato è devastante: un continente che, nel tentativo di apparire “equilibrato”, finisce per diventare complice di chi predica la distruzione di Israele e la cancellazione degli ebrei dalla storia. Hamas osserva compiaciuto, Doha sorride, e le democrazie occidentali si dimostrano fragili al punto da farsi usare come megafoni di una strategia jihadista.
Non serve molta immaginazione per intuire quale possa essere il passo successivo. Quando un’intera generazione cresce educata a considerare Israele un’entità illegittima e gli ebrei come responsabili di ogni male, la conseguenza diventa quasi inevitabile: l’attacco diretto in Europa. Un attentato in stile Bataclan contro un quartiere ebraico non appare più come un’eventualità remota, ma come l’approdo logico di un odio che, giorno dopo giorno, viene alimentato nelle piazze, nei campus e persino nei parlamenti. A questo punto manca solo l’attacco in grande stile a un quartiere ebraico: il tassello finale di un mosaico di odio che l’Europa ha lasciato crescere indisturbato, fingendo che fosse “libertà di espressione”. Quando accadrà, sarà tardi per domandarsi dove si sia sbagliato. Hamas non poteva sperare di meglio: un continente che, invece di difendersi, si auto-demolisce. Un gigantesco spot, pagato dal Qatar, che passa per diplomazia, calcio e libertà accademica. Ma che, in realtà, prepara il terreno alla prossima tragedia.