La negoziazione diretta tra l’Amministrazione Trump e Hamas è una delle mosse più basse, sleali e immorali che un cosiddetto “alleato” possa mai condurre. Secondo le ultime notizie, l’ostaggio americano-israeliano Edan Alexander potrebbe essere rilasciato nelle prossime 24-48 ore e l’inviato speciale statunitense, Steven Witkoff, dovrebbe arrivare in Israele oggi per facilitarne il rilascio. È inoltre emerso che gli Stati Uniti non hanno informato Israele degli sforzi per il rilascio di Alexander prima di avere raggiunto l’accordo, conducendo di fatto la trattativa a insaputa di Israele.
Domenica, durante una riunione della Commissione Affari Esteri e Difesa, il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu non ha escluso la possibilità che Hamas rilasciasse Alexander “come gesto verso gli americani”. Il governo israeliano era a conoscenza dei negoziati? Anche se non lo era, lo scenario era quantomeno prevedibile, dato che Trump aveva già voltato le spalle a Israele qualche giorno prima, stringendo improvvisamente un accordo con gli Houthi, a condizione che le navi statunitensi non venissero prese di mira. La strada intrapresa con Hamas sembra essere molto simile. È questo il significato di “America first”?
In effetti, Hamas sta abilmente sfruttando la situazione per raggiungere quattro obiettivi principali: ampliare la frattura tra l’Amministrazione Trump e Israele, impedire a Israele di lanciare la presunta operazione su larga scala annunciata da Netanyahu, consentire l’ingresso degli aiuti a Gaza e, possibilmente, porre fine alla guerra con la rassicurazione che all’organizzazione terroristica sarà consentito di svolgere un ruolo nella Gaza del dopoguerra.
Trump, d’altro canto, ha bisogno di presentarsi come un grande amico del mondo arabo nella sua prossima visita in Medio Oriente, perché ha un disperato bisogno di concludere accordi commerciali con le tre principali nazioni arabe ricche di risorse energetiche della zona: Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti.
Come riportato dalla CNN, questi tre paesi “stanno procedendo veloci per trasformare la loro influenza su Donald Trump in guadagni tangibili. Hanno costruito legami personali con il presidente e collettivamente promesso miliardi di dollari in investimenti statunitensi, presentandosi al contempo come intermediari chiave nei conflitti che Trump vuole risolvere, da Gaza all’Ucraina e all’Iran”. Non dimentichiamo le recenti voci secondo cui Trump potrebbe rinominare il Golfo Persico “Golfo d’Arabia” e persino riconoscere potenzialmente uno Stato palestinese. Nel complesso, è una situazione vantaggiosa per tutti, tranne che per Israele, che viene sacrificato dal suo più stretto alleato, perché Trump ha bisogno di concludere accordi.
Domenica sera, il Times of Israel ha rivelato che una fonte coinvolta nella mediazione ha dichiarato che Hamas ha ricevuto rassicurazioni dagli Stati Uniti tramite mediatori sul fatto che il rilascio di Alexander “guadagnerebbe molti punti” con il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che vuole vedere rilasciati gli ostaggi rimasti e porre fine alla guerra a Gaza.
La situazione è davvero brutta; l’Amministrazione Trump si è impegnata direttamente con un’organizzazione terroristica palestinese inserita nella lista nera degli Stati Uniti stessi; un’organizzazione che ha perpetrato il peggior pogrom contro gli ebrei dai tempi dell’Olocausto. Gli uomini di Trump hanno negoziato il rilascio di un solo ostaggio, l’unico cittadino statunitense, operando quindi una discriminazione tra ebrei americani e non americani. È questo il tipo di sostegno che ci si aspetta da un cosiddetto “alleato”? Come potranno sentirsi i parenti degli altri ostaggi ancora detenuti da Hamas?
Inoltre, interagendo direttamente con Hamas e raggiungendo un accordo, Trump sta legittimando e rafforzando l’organizzazione terroristica palestinese, incoraggiando indirettamente altre nazioni a riconoscere Hamas come un’entità politica legittima piuttosto che per quello che è realmente: un’organizzazione terroristica spietata. Hamas sarà ora incoraggiata a perpetrare ulteriori attacchi terroristici perché si sente rassicurata dalla politica sconsiderata di Trump.
Trump sembra incapace o non disposto a distinguere tra accordi e affari con partner legittimi e trattative con un’entità terroristica, e questo rappresenta un problema molto serio per la guerra internazionale al terrorismo e anche per la credibilità internazionale degli Stati Uniti.
Trump riuscirà a fare pressione su Israele affinché cessi l’offensiva militare contro ciò che resta di Hamas o addirittura ponga fine alla guerra? Ora tocca al Primo Ministro Benjamin Netanyahu. La cosa giusta da fare sarebbe lanciare rapidamente l’operazione militare su vasta scala a Gaza annunciata e concludere l’opera con Hamas; qualcosa che avrebbe dovuto essere già fatto mesi fa.
Quanto più a lungo si protrarrà la situazione a Gaza, tanto peggiore sarà per Israele, sia a livello nazionale che internazionale, sia dal punto di vista economico che diplomatico. Hamas deve essere rapidamente rimosso e si deve raggiungere una nuova fase per non permettere più ai nemici di Israele di sfruttare la crisi a Gaza per accusare Israele di “genocidio”, “pulizia etnica” e così via.
Purtroppo, l’impressione è che non ci sia mai stata una reale volontà, da parte di Netanyahu, di sradicare Hamas da Gaza. La guerra è stata condotta a singhiozzo, il che ha danneggiato il morale delle truppe e l’immagine delle IDF. I numerosi annunci di un’imminente operazione militare terrestre che avrebbe soffocato Hamas non hanno trovato seguito sul piano pratico. In breve, qualcosa non funziona da entrambe le parti, sia da parte americana che da parte israeliana.
Traduzione di Niram Ferretti
https://blogs.timesofisrael.com/trump-is-throwing-israel-under-the-bus-will-netanyahu-allow-it/
